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AladdinLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio15 maggio 2019Voto: 5
È tempo di raccontare la storia di Aladdin, della principessa e della lampada?
Secondo Will Smith, presente nel prologo insieme a due bambini, sembra proprio di sì. Ma da dove bisogna cominciare? Diciamo dal racconto persiano “Aladino e la lampada meravigliosa”, che, contenuto nella raccolta di novelle orientali “Le mille e una notte”, ha ispirato nel 1992 l’”Aladdin” diretto da Ron Clements e John Musker, lungometraggio d’animazione facente parte del cosiddetto Rinascimento Disney in cui, tra il 1989 e il 1999, vennero anche inclusi “La sirenetta”, “Il re leone” e “Tarzan”. L’”Aladdin” che, seguìto poi da “Il ritorno di Jafar” e “Aladdin e il re dei ladri”, in un terzo millennio sempre più ricco di riletture live action dei classici sfornati dalla major del caro vecchio Zio Walt rivive sul grande schermo in carne ed ossa, quindi, calando l’egiziano Mena Massoud nei panni del ladruncolo del titolo, affiancato dalla propria scimmietta Abu nel compiere furti per sfamarsi. Ladruncolo che, convinto che devi comportarti come se tutto fosse tuo quando non hai niente, unisce le proprie forze a quelle della bella Jasmine alias Naomi Scott – figlia del sultano – e ai loro amici al fine di salvare Agrabah sconfiggendo il perfido Gran visir Jafar, il suo compare Iago e il soldato Hakim, ovvero Marwan Kenzari, Alan Tudyk e Numan Acar. Perché è proprio quella di riuscire a regnare sulla città l’intenzione del malvagio stregone, contro il quale, come ormai è risaputo, il protagonista viene aiutato anche da una lampada contenente un genio capace di esaudire tre desideri, ma che non può far innamorare nessuno e che non è in grado di riportare in vita i morti. Genio in possesso dei connotati del già citato Smith, che, caratterizzato da pelle bluastra come il personaggio visto nel cartoon, non può fare a meno, però, di risultare decisamente ridicolo agli occhi dello spettatore, tanto da richiamare alla mente determinate figure viste all’interno di spot televisivi riguardanti i detersivi. Rappresentando soltanto uno degli aspetti negativi di un’operazione che, abbondantemente infarcita di momenti cantati atti quasi a conferire al tutto il look di un musical, come gli irriducibili fan disneyani potranno notare stravolge totalmente i brani che vennero composti per la pellicola disegnata di partenza. Pellicola da cui, senza alcun dubbio, derivano le dinamiche sentimentali che arrivano qui a sfiorare il respiro di quelle tirate in ballo nelle soap opera; mentre, tra immancabili escursioni sul tappeto volante e spruzzate d’ironia, a balzare in maniera principale agli occhi è, ovviamente, la sfarzosa messa in scena caratterizzata dalla notevole varietà cromatica. Però, se da un lato la regia del britannico Guy Ritchie – che ricordiamo è l’autore di “RocknRolla” e “Sherlock Holmes” – risulta meno martellante e schizofrenica del solito, dall’altro quel certo sapore di Bollywood dovuto anche al ballo posto nei titoli di coda fornisce alle oltre due ore di visione un forte (retro)gusto degno di determinati fanta-baracconi orientali che, di solito, da queste parti si guardano radunati con amici in cerca di trash di genere. Un trash qui decisamente involontario, complice oltretutto la sarabanda di effetti digitali posti a corredo della fase conclusiva. La frase dal film:
"Io non sono un gigante, sono un genio. C’è una differenza: i giganti non esistono" I FILM OGGI IN PROGRAMMAZIONE: In evidenza - Dal mondo del Cinema e della Televisione. |
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