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Achille Tarallo

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio12 ottobre 2018Voto: 4.5
 

  • Foto dal film Achille Tarallo
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Se abbiamo un esilarante sogno in bianco e nero in cui Biagio Izzo immagina di essere Fred Bongusto, il motivo è presto spiegato: autista di autobus, nonché marito e padre, il suo personaggio Achille Tarallo desidera proprio una vita diversa e di diventare famoso, appunto, come l’artista di origini molisane che ci ha regalato “Una rotonda sul mare” e “Malaga”.
Fermamente convinto che “la canzone napoletana è ‘na grande zoccola”, canta soltanto in italiano perché crede che il napoletano abbia rovinato la sua città e le sue canzoni, e, affiancato dall’amico Café alias Tony Tammaro, ha messo in piedi un piccolo gruppo musicale con cui propone il repertorio denominato “Tamarro italiano” durante i matrimoni procuratigli dal sedicente e improbabile impresario Pennabic, ovvero l’Ascanio celestini regista de “La pecora nera” e “Viva la sposa”.
Residenti in un quartiere popolare del capoluogo campano dove suoni e folklore arricchiscono ulteriormente l’abbondanza di colori dispensata da costumi e scenografie, sono loro i tre disgraziati dalle sincere aspirazioni artistiche destinati a fare da protagonisti alla prima commedia diretta dal napoletano classe 1940 Antonio Capuano, autore, tra l’altro, di “Pianese Nunzio: 14 anni a Maggio” e aggiudicatosi il Premio Internazionale della Critica al Festival di Venezia grazie al suo debutto dietro la macchina da presa “Vito e gli altri”, risalente al 1991.

Una commedia che tenta in maniera evidente di affrontare con leggerezza e una vaga spruzzata di musical un microcosmo partenopeo analogo a quelli portati in scena in alcuni suoi drammi dal cineasta, che non dimentica neppure d’inserire un immancabile omaggio alla sempreverde “Malafemmina” di Totò e che tira in ballo anche il rapporto di Achille con l’anziana madre e una giovane badante di quest’ultima.
Ma, se la breve sequenza erotica in cui l’uomo, appeso ad un lampadario, si concede una scappatella con una formosissima amante integralmente nuda appare decisamente fuori luogo, considerando il tenore generale da film per tutti mantenuto dall’operazione, non sono pochi i difetti e le scelte sbagliate che contribuiscono a rovinare un lavoro dall’apertura solare e accattivante che lasciava sperare, all’inizio, decisamente meglio.

Infatti, sebbene le lodevoli prove sfoggiate dai diversi elementi del cast finiscano per rappresentarne il maggiore pregio, non è difficile intuire che la oltre ora e quaranta di visione tenda ad avanzare in maniera piuttosto stanca, a suon di siparietti che sembrano addirittura slegati tra loro e, a tratti, eccessivamente caotici proprio come la meno digeribile napoletanità.
E, man mano che si apprende che la vrenzola altro non è che una donna frivola, non solo ridere risulta per lo spettatore impresa assai ardua, ma a dare il colpo di grazia al tutto provvede la surreale conclusione con cagnolino canterino che, se poteva apparire una simpatica trovata, si rivela non poco irritante per quanto tirata eccessivamente ed inspiegabilmente per le lunghe.


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