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Passioni e desideri











Passioni e desideri sono le forze che, dietro le quinte, muovono i protagonisti della narrazione; ad alterare un comune denominatore di tutte le storie è il fatto che i protagonisti hanno pochi minuti a disposizione per raccontare la loro vicenda. Non è comune che un film riesca ad affidare il proprio fil rouge ad un insieme così multiforme di personaggi che prendono improvvisamente in mano il capo del plot e lo accompagnano, arricchendolo, finché non lo depositano nelle mani del prossimo testimone. E tutto questo senza interrompere il fascino dell’immedesimazione cinematografica, che fa proprio del saldo protagonista uno dei suoi punti di forza. Il film di Meirelles riesce a farci innamorare, affezionare e compatire molti degli uomini e donne che insegue. La sceneggiatura gioca qui un ruolo primario ed ha il merito di aver delineato una storia limpida, asciutta e facile da consegnare alle immagini. 360, il titolo originale del film, avrebbe diritto qui di esprimere il suo senso, quello di una panoramica orizzontale che compie un intero giro su sé stessa per poi ritornare a far combaciare inizio e fine. Infatti, il turbinante percorso che compiamo insieme alla trama gira su sé stesso avvolgendosi ad un’ipotetica ruota e riportandoci da dove abbiamo iniziato. In questi 360 gradi, la storia di "Passioni e desideri" esplora mezzo mondo, inseguendo i suoi personaggi: passa da Londra, Parigi, Denver, Bratislava e le abbandona dopo le scelte prese dagli uomini e le donne che le abitano. La scelta, casuale o cercata, intenzionale o costretta, difficile o in discesa, è il tema che tutte le vicende affrontano prima o poi, a volte un po’ banalmente, ma sempre puntualmente. E così il plot crea interconnessioni imprevedibili, congiunge storie passate e future, rende il mondo un piccolo quartiere dove si consumano le storie del cinema classico: i tradimenti, le passioni, i crimini e le ingiustizie.
Certamente la regia si innalza a demiurgo di queste iperboli narrative, ma glielo concediamo senza fastidi, per il piacere che i conflitti generano a noi spettatori affamati di pathos. E qui il pathos è al quadrato, poiché genera costantemente altre storie da raccontare, senza tregua, senza respiro. Proprio questo "effetto-domino" è la sensazione che lo sceneggiatore Morgan ha voluto imprimere nel plot: grande metafora della globalizzazione economica, culturale, politica che oggi più che mai si palesa sotto i nostri occhi. Tuttavia, invece che internet o telecomunicazione, i rapporti tra le figure in primo piano sono umani e amorosi per lo più.
Certamente il film cade in alcuni momenti nella trappola del sentimentalismo facile, ma ha il merito di esprimere scene molto forti pur senza l’aiuto di una salda storia alle spalle. Le singole scene che lo compongono e che creano un caleidoscopico universo alla fine, diventano le vere protagoniste, che si imprimono nella memoria, più dei volti dei protagonisti. Ce le portiamo via, sazi di tanti scioglimenti, colpi di scena e liete fini.

La frase:
"Se sulla strada incontri un bivio, prendilo...".

a cura di Matteo Brufatto

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