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13 Aprile 2007 - Conferenza stampa
"Mio fratello è figlio unico"
Intervista al regista e al cast.
di Federico Raponi
In occasione della conferenza stampa di presentazione di "Mio fratello è figlio unico" a Roma, a rappresentare il cast c'erano il regista Daniele Luchetti, gli sceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia, gli attori Elio Germano, Riccardo Scamarcio, Luca Zingaretti, Diane Fleri, Alba Rohrwacher, Vittorio Emanuele Propizio, il produttore Riccardo Tozzi.
I fratelli sono tre, ma il film si concentra sul rapporto tra i due maschi, molto diversi tra loro.
Daniele Luchetti: ognuno ha un senso di unicità. Accio (il protagonista, Elio Germano) si sente escluso, perché il più grande (Manrico, Riccardo Scamarcio) è più amato, e alla fine resta solo. Francesca (la sorella, Alba Rohrwacher) non è contemplata, perché allora la famiglia funzionava così, si parlava solo dei maschi.
La scelta del titolo?
Daniele Luchetti: abbiamo deciso di staccarci da quello del libro perché era fuori fuoco rispetto al film, che aveva preso un'altra direzione. Avevamo una riunione e io mentre andavo stavo ascoltando brani casuali sull'Ipod, ed è capitata la canzone di Rino Gaetano. All'inizio gli altri hanno pensato che non andasse bene, io invece dicevo che qualcosina c'entra. Così ci siamo fidati della casualità.
Perché la canzone non è stata inserita?
Daniele Luchetti: l'abbiamo provata ma descrive molto dettagliatamente un personaggio, poteva essere troppo didascalica e sovrastare il film.
Come è avvenuta la trasposizione del libro?
Daniele Luchetti: il libro me lo ha proposto Cattleya (la società di produzione, ndr). Mi è piaciuto il tono scanzonato, il racconto di prima mano. Lavorando sulla sceneggiatura e soprattutto nelle riprese mi sono accorto che ha qualcosa di emotivamente forte, l'ho sentito. Mi piaceva anche l'idea di costruire la figura del neofascista in maniera diversa dal solito, fino a 15 anni fa sarebbe stato rappresentato come un mostro: penso ad esempio a "San Babila ore 20" di Carlo Lizzani. Più in generale, riguardo al periodo, da un punto di vista personale guardavo a quel mondo con affetto, provo nostalgia di quando gli ideali e la politica erano coscienza collettiva. In alcune scene del film c'è distacco emotivo, mentre in genere nel cinema la stessa epoca è sempre stata raccontata in modo paludato, per legittimare il proprio partito. Ciò fa parte di una spaccatura tipica italiana, che si riflette nella famiglia come microcosmo.
Stefano Rulli: vedo un parallelo con una precedente collaborazione con Daniele, "Arriva la bufera". Lì c'è tutto un paese che rischia di crollare, qui c'è una casa con delle crepe sempre più difficili da tenere. Dal libro abbiamo ripreso l'energia che esprimono i personaggi. Volevamo misurarci con quella realtà, anche confusa, che poi è andata dispersa. Siamo partiti da un personaggio, poi per nostra deformazione abbiamo bisogno di dialettica, di una sponda all'altezza, di un altro personaggio forte. E la famiglia ci è cresciuta in mano. Sui neofascisti, per noi era un modo originale vederli dall'interno, amando il personaggio di Accio. A partire dalla sua buona fede, altrimenti anche il rapporto tra fratelli non avrebbe funzionato, sarebbe stato macchiettistico.
Sandro Petraglia: c'è nel libro un carattere italiano che viene molto fuori, la vitalità che porta anche a sbagliare. I fratelli che spesso fanno a botte rispecchiano un paese che non riesce a conciliarsi. Rispetto al testo, nel film c'è una crescita di entrambi i fratelli.
Riccardo Tozzi: è una commedia popolare, si fonda sulla politica partendo dal famigliare. Recupera la tendenza ad unire il cinema popolare alla qualità, con il divismo utilizzato per tema e linguaggio alti. Una tipologia di film prima abbandonata e che ora sta tornando. Il nostro cinema da segni di vitalità, è stato ripreso con le unghie e con i denti, e la Warner sta spaccando il duopolio 01 - Medusa, avere un terzo soggetto già significa una qualità della vita migliore.
Come siete entrati nei personaggi?
Elio Germano: lavoro molto sulla preparazione. Ho fatto domande a persone, visto video, sentito canzoni. Poi parlando con Daniele abbiamo deciso non di distanziarci da quell'epoca, ma di interpretarla con gli occhi di oggi. Di non porci il problema della ricostruzione storica, ma di viverla. Del periodo mi hanno colpito molto i balli: ci si guardava meno, si era meno narcisisti e più fedeli alle cose che si provavano.
Riccardo Scamarcio: io invece non mi sono documentato, ma concentrato sui sentimenti reali che provo per mio fratello, che sono poi il motore centrale del personaggio. E' protettivo anche se non c'è mai, i suoi gesti sono rappresentativi senza avere un altro significato. Le dinamiche sono legate ai sentimenti, la politica c'è ma entra attraverso i personaggi.
Luca Zingaretti: mi sono documentato, e poi l'attore non deve porsi in maniera etica, ma come un analista per affrontare la struttura psicologica del personaggio. Sono molto contento di aver partecipato. Per quello che esprime, il film mi ha molto commosso, sono pieno delle sensazioni che mi ha dato (Zingaretti ha visto per la prima volta il film proprio in occasione della conferenza stampa, ndr). Un testo che funziona, un regista che ti dice la direzione da prendere: è la condizione ottimale. Gli sceneggiatori sono due autori che adoro e il cast è eccezionale. Germano e Scamarcio mi hanno sorpreso per la loro bravura.
Alba Rohrwacher: per me era interessante far parte di una famiglia, mi è venuto naturale essere figlia e sorella, tutto quello che avevo studiato non contava più. Vivevamo all'istante, nulla di preparato, ed era spiazzante. Tutto immediato, ed è diventato molto vero.
Diane Fleri: Francesca è figlia di ricchi borghesi, potrebbe vivere un futuro perfetto in cui la Storia ti scorre accanto. Invece si avvicina a tutto con curiosità, alla ricerca di valori e d'amore, ad un ambiente completamente diverso dal suo.
Vittorio Emanuele Propizio: sono stato aiutato tanto da Elio. Daniele mi ha dato l'opportunità di essere spontaneo, cosa che mi riesce bene. Con Riccardo: le botte! Quelle, un po' con tutto il cast…
Elio Germano: Lele (Vittorio Emanuele, ndr) ha aiutato anche me. Avevo difficoltà ad avvicinarmi al personaggio. Quando lo si fa esprimendo un giudizio, si ascolta poco. Mi appiattivo, e allora ho cercato una tridimensionalità dandogli una lettura opposta rispetto a come veniva interpretato: da poco raccomandabile a tenero, bisognoso d'affetto. E poi le botte sul set: ritrovare le mani nel Duemila è un piacere infinito.
Daniele Luchetti: continuavano anche dopo lo stop…
Quindi un clima abbastanza singolare…
Riccardo Scamarcio: era una scelta precisa quella di lasciarci liberi rispetto alla macchina da presa, per me è stata una scuola fondamentale rispetto alla capacità di andare incontro al pericolo e all'imprevisto.
Daniele Luchetti: ho girato in modo un po' diverso dal mio solito. Non abbiamo provato praticamente niente. Il copione non andava, il neofascista era raccontato come clichè. Ho detto ad Elio: "prova a vederlo come fosse simpatico". Tendevamo a rovesciare il senso dello scritto. Quando notavo gli attori usare abitudini classiche a mo' di scorciatoie, le azzeravo. A volte giravamo a spalla tipo documentario, senza considerare la luce o la messa a fuoco. Ho chiesto ai tecnici un set a 360 gradi, gli attori dovevano andare dove volevano. Erano liberi (dice scherzando) di fare quello che dicevo io. Loro necessitano di attenzioni diverse: Elio va meglio all'inizio delle riprese, Riccardo ha bisogno di tempo per carburare. Volevo freschezza e autenticità. Quando c'era più tempo, riprendevo in più modi, pedinando gli attori e cercando di coglierete tutto. Per cui mi sono ritrovato molte ore di girato e ho lavorato parecchio in fase di montaggio. Ho avuto un atteggiamento di onestà verso me stesso, evitando ciò che funzionava. Questa è la mia voce, deve assomigliare a me, non è calcolo.
La personalità di Accio?
Elio Germano: mi ha divertito metterlo in scena. Ragiona con la testa e cerca di essere estremo perché ha un complesso di inferiorità, vuole mettersi in mostra, esserci e farsi notare. Troppo concentrato su sé stesso, capisce alla fine che non deve guardarsi allo specchio ma rivolgersi verso gli altri. I neofascisti hanno rappresentato un dramma sociale: non hanno vissuto la stagione di liberazione del sesso, della droga, della musica. Nessuno li amava, erano esclusi e non si divertivano, apposta menavano. Aiutiamoli, hanno bisogno di tanto affetto.
E Accio da piccolo?
Vittorio Emanuele Propizio: ho fatto tutto di testa mia, per esempio scappo da casa perché vedo il diverso trattamento verso i fratelli e dico: "perché loro sì e io no?".
Con il superamento delI'ideologia non si rischia l'omologazione?
Daniele Luchetti: verso quegli anni provo molta nostalgia e invidia, mi sarebbe piaciuto viverli. Il mio è amore e desiderio, non distacco ironico qualunquista. A partire dalla Seconda Guerra Mondiale, non è stato tutto uguale: chi combatteva per la Repubblica di Salò sbagliava.
Nella scena finale volevate esprimere un ripiegamento interiore?
Daniele Luchetti: non lo so neanche io, ci abbiamo abbastanza lavorato. All'inizio era come nel libro: Accio si pente e torna in seminario, ma ci sembrava ancora più ripiegata. Il risultato è che nell'agire sociale l'occupazione della casa è deideologizzata, concreta, mentre nella famiglia Accio deve sostituire il fratello. L'immagine finale è di sollievo dal lutto, Accio cambia espressione. Doveva esserci solo Elio, ma sul set avevo fatto venire pure Lele. A un certo punto l'ho buttato dentro e funzionava. Invece del personaggio che ritrova sé stesso, si può dire che sé stesso ritrova il personaggio. La scena ha una sua ambiguità e leggibilità da diversi punti di vista, mostra anche una spinta verso l'esterno.
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