Fukushame: Il Giappone perduto
Bastano soltanto due lettere per trasformare il nome della città di Fukushima in una città della vergogna, un luogo desolato in cui solo gli animali randagi aspettano la morte per contaminazione da radioattività. Alessandro Tesei, al seguito di un’organizzazione animalista giapponese entra nella "No go zone" di Fukushima, fino a spingersi a poche centinaia di metri della centrale nucleare, pubblicizzata come fonte energia pulita in grado di diminuire drasticamente le emissioni di Co2. Le cose, come insegna la catastrofe del marzo del 2011, sono andate molto differentemente.
Il documentario raccoglie, a sette mesi dalla catastrofe nucleare, testimonianze, scorci e atmosfere che parlano della situazione attuale e della percezione che la popolazione locale ha dell’incidente e di come questo abbia cambiato le abitudini alimentari, senza isterismi o sensazionalismi.
Grande sconfitto di questo documentario è il governo giapponese, che ha assunto una politica di silenzio e di negazione di fronte a un disastro senza precedenti. Secondo i sistemi propri di governi tutt’altro che democratici, i livelli di tossicità radioattiva permessi sono stati aumentati oltre ogni soglia ragionevole, i rischi sono stati sottovalutati la popolazione locale è stata per lo più tenuta all’oscuro di molti dei dati tecnici spesso vitali per la sopravvivenza. Eppure, alla base di questa manipolazione non sembra esserci una volontà criminale, quanto una necessità di autoillusione, il bisogno cioè di trovare conforto nel fatto che le cose non erano poi così gravi come poteva sembrare di primo acchito.
Le argomentazioni di Alessandro Tesei sono lineari e incisive, si preoccupa di fornire dati scientifici inoppugnabili sui livelli di contaminazione e sui possibili rischi per la popolazione umana e animale. A questa parte descrittiva si aggiungono interviste e spezzoni video a personalità che dovettero reagire all’emergenza in prima persona, come il sindaco di Minamisoma che poco tempo dopo il disastro mise su Youtube un video in cui descriveva la situazione e incoraggiava l’intervento dei media per documentare l’accaduto. Molto impressionanti le sequenze riprese nella "No go zone", in cui si vede la vecchia città di Fukushima abbandonata e preda di un nemico invisibile e insidioso: la radioattività. A volte si ha la sensazione che le immagini soffrano di un eccesso di pulizia, ma il potenziale di denuncia di questo documento rimane comunque forte.
La frase:
"C’è un tempo per dire e un tempo per non dire".
a cura di Mauro Corso
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