Autore |
L i b e r e |
Quilty
 Reg.: 10 Ott 2001 Messaggi: 7637 Da: milano (MI)
| Inviato: 01-10-2004 17:13 |
|
Le due Simone sono in Iraq da ANNI.
Come mai sostengono che le truppe devono essere ritirate?
Non si è forse accennato qui al fatto che il nostro esercito aiuta la popolazione civile e bla bla bla...come da propaganda governativa inculcata e ribadita all'ennesima potenza?
Allora la Simona Pari deve essere una totale deficiente nel sostenere il ritiro. Come può chiedere che le truppe vengano ritirate se operano del bene?
Se fanno quello che la pari ha sempre fatto da anni, senza l'aiuto del Governo Italiano, a sostegno degli iracheni?
O è cretina oppure le ragioni che sostiene sono più che serie. |
|
Tenenbaum
 Reg.: 29 Dic 2003 Messaggi: 10848 Da: cagliari (CA)
| Inviato: 01-10-2004 17:23 |
|
ma di cosa stai parlando ?
ma vai per conto tuo ?
si parla dell'attuale situazione
ma non hai letto niente di quello sopra ?
_________________ For relaxing times make it Suntory time |
|
Quilty
 Reg.: 10 Ott 2001 Messaggi: 7637 Da: milano (MI)
| Inviato: 01-10-2004 17:29 |
|
Sei in grado di rispondere alla questione da me posta? Non sviare.
Come mai la Simona Pari ,volontaria da anni in Iraq, sostiene che le truppe non sono di aiuto ma che devono addirittura ritirarsi dal conflitto attualmente in corso in Iraq? |
|
gatsby
 Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 01-10-2004 17:32 |
|
|
Quilty
 Reg.: 10 Ott 2001 Messaggi: 7637 Da: milano (MI)
| Inviato: 01-10-2004 17:37 |
|
Quindi sostieni che la Pari non abbia accumulato, in tutti questi anni , una sufficiente competenza ma che dovremmo invece affidarci a voci governative (di parte,ovviamente) che (ovviamente) sostengono i loro interessi (anche economici,ovviamente)?
Credi che una persona coinvolta in un'associazione umanitaria non conosca la situazione del paese in cui opera, non conosca o non riconosca gli eventuali miglioramenti o peggioramenti e le cause che scatenano quesri eventi?
Pensi che il ministro Martino sia più competente di un volontario operante da anni su quella realtà? |
|
gatsby
 Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 01-10-2004 17:45 |
|
|
REWIND
 Reg.: 19 Apr 2004 Messaggi: 604 Da: roma (RM)
| Inviato: 02-10-2004 16:44 |
|
quote: In data 2004-10-01 17:13, Quilty scrive:
Le due Simone sono in Iraq da ANNI.
|
Anni??? ma spari dati a casaccio o qualcuno ti ha detto bischerate? una delle 2 era la dalla primavera 2003, l'altra da molto ma molto meno.....quali anni scusa?
_________________ MI ALZO DAL LETTO E PENSO AL POVERO MIO FEGATO FEGATO FEGATO SPAPPOLATO!!! |
|
Tenenbaum
 Reg.: 29 Dic 2003 Messaggi: 10848 Da: cagliari (CA)
| Inviato: 02-10-2004 17:02 |
|
non mi ricordo quale delle due dovrebbe frequentare Bagdad dal 1998 se non erro
ciò non mi pare sia sufficiente a dare ordini su cosa si debba fare
_________________ For relaxing times make it Suntory time |
|
Quilty
 Reg.: 10 Ott 2001 Messaggi: 7637 Da: milano (MI)
| Inviato: 03-10-2004 11:01 |
|
Simona Pari non ha ordinato nulla. Ha espresso il suo parere ,ed è un parere di grande rilevanza dato che lei stessa opera in quell'ambiente da ANNI . Questo non significa che sia la verità assoluta, è solamente una voce diversa dalla propaganda filogovernativa e della quale si deve tenere conto per una seria analisi degli eventi. |
|
Chenowith
 Reg.: 20 Lug 2004 Messaggi: 115 Da: Milano (MI)
| Inviato: 04-10-2004 10:35 |
|
quote: In data 2004-10-01 09:02, ipergiorg scrive:
quote: In data 2004-09-30 22:32, Chenowith scrive:
quote: In data 2004-09-29 11:10, ipergiorg scrive:
Grazie molte Chenowith. Pensavo di aver fatto moltissimo per farti incazzare e non mi aspettavo tutto questo tuo Fair Play. Ti ho sottovalutato e chiedo scusa
|
Scusami IperGiorg ma non ho capito cosa intendi dire e per quale motivo dovresti scusarti
Avrai opinioni molto diverse dalle mie, potrei anche considerarle sbagliate, ma cmq in fondo penso che ognuno sia libero di esprimere quello che pensa
[ Questo messaggio è stato modificato da: Chenowith il 30-09-2004 alle 22:35 ]
|
mi scuso perchè ti ho giudicata male.
|
Non preoccuparti per le scuse
Cmq sono un maschio! |
|
ipergiorg
 Reg.: 08 Giu 2004 Messaggi: 10143 Da: CARBONERA (TV)
| Inviato: 06-10-2004 15:18 |
|
Capuozzo - Terra - Il ritorno a casa, a volte, è un sollievo amaro.
No, non per quello che dichiarano le due Simona. Su questo bisognerebbe essere chiari: hanno il diritto di dire quello che vogliono, ed è persino piacevole sapere che sono tornate a essere quelle di prima, che il sequestro non le ha piegate, non ha cambiato il loro modo di vedere il mondo, o che sono riuscite a sfuggire ai fantasmi aggrappandosi alle vecchie abitudini, come per un riflesso automatico: sono sempre io, le stesse di sempre.
Non è questione di gratitudine, o di quel mediocre senso dell’opportunità che spinge persino gli eroi della partita, la domenica, a dire che il merito è di tutta la squadra, a ringraziare il mister e l’assist, e l’importanza del risultato.
No, dobbiamo essere contenti che siano così, di nuovo, e ripetere, aggiustandola all’occasione, la vecchia frase: non sono d’accordo con quello che dici, ma mi batterò fino in fondo perché tu abbia il diritto di dirlo.
A volte, quando parliamo, parliamo di cose diverse: il loro islam non è il nostro islam, la loro resistenza non è la nostra resistenza, la loro occupazione americana non è la nostra occupazione americana, e perfino le loro donne e i loro bambini non sono le nostre stesse donne e i nostri stessi bambini: quando noi sentiamo la parola islam ci scappa di pensare a una sacralità della vita individuale che in quel gorgo di passioni si è persa e sarebbe sleale nei loro confronti non ricordarglielo, non imputargli le loro sviste, non pretendere che si assumano le proprie responsabilità, che riscattino se stessi e il loro mondo.
Quando loro parlano di resistenza, noi abbiamo in mente Kenneth Bigley in gabbia.
Quando loro parlano di occupazione americana noi abbiamo in mente che quel paese va aiutato a farcela da solo, e se gli americani andassero via sarebbe un macello peggiore.
Quando loro parlano di donne, noi abbiamo in mente l’umiliazione della donna come un segnale, a tutti, dell’umiliazione dei diritti, delle diversità, della dignità.
Quando loro parlano di bambini, noi abbiamo in mente le caramelle e le autobombe.
Ma non è a loro che dobbiamo chiedere di essere normali, o speciali, o rimproverare a loro l’affetto e la pena che abbiamo provato per loro, chiedendole di continuare a essere chissà che cosa.
Sono state, per poco più di venti giorni, due figlie d’Italia, e ai figli si finisce per perdonare tutto, e non si può chiedere loro di assomigliarci troppo: alla fine, vanno sempre per la loro strada, e dobbiamo voler loro bene per quello che sono, non per quello che vorremmo che fossero.
Sono altri, quelli che sbagliano. Sono altri, che sotto i faretti delle telecamere rivelano smagliature etiche che si sciolgono come un trucco precario.
La loro organizzazione, ad esempio
Non erano campioni di libertà prima. Avevano ingoiato senza fastidio, e con una buona dose di relativismo morale, tutti gli orrori del regime di Saddam Hussein.
Passavano davanti ad Abu Ghraib e guardavano dall’altra parte. Vedevano gli sfarzi della corte e i miserabili tornaconti dei funzionari internazionali, eppure era solo contro l’embargo che puntavano il dito.
Scendevano i gradini di un abisso morale, tacendo, e salivano quelli della nomenclatura: distribuivano visti, e mettevano a tacere la propria coscienza scavando un pozzo per la povera gente, facendo un doposcuola, portando medicine: più o meno, come aprire un pronto soccorso in un lager nazista, infermieri buoni e ciechi e sordomuti.
Un patto sordido, su cui l’informazione italiana stendeva un velo, in cambio di visti, o con il solo ammiccamento di un sentire comune: l’odio per l’America, più forte di quello per Saddam, piccolo Saladino delle resistenze.
E come si fa, quando il tuo passato è questo a dire, che so: hanno tirato dei colpi di mortaio contro la nostra sede, facciamo tornare a casa le ragazze. Era solo un incidente di percorso, via.
E nel concordato amichevole ci sta tutto: dire che le ong restano in Iraq, armiamoci e partite.
Dire che il sequestro è anomalo, vuoi vedere che c’è lo zampino dell’America, un compagno resistente non può averlo fatto.
Dire molte cose, ma dette tutte da Roma, lascia che in Iraq ci vada Scelli, e ci restino i ventiquattro della Croce rossa, che non è una organizzazione non governativa, che non è un piccolo partito mascherato di bontà, che non ha ideologie, e solo tante piccole competenze professionali, e buona volontà di gente comune, medici napoletani e analisti milanesi, che votano ognuno per conto loro, e non fanno manifestazioni, o le fanno come singoli, gente senza striscioni e con una sola, banale bandiera, un tricolore così, solo per dire siamo italiani.
E’ normale, allora, che alla fine della constatazione amichevole scappi detto, nell’ora della gloria: “Sono libere, adesso torni a casa il contingente italiano”.
Non una parola per gli altri ostaggi, non una parola per il ricordo di Nassiriyah, non una parola per Fabrizio Quattrocchi, non una parola per Enzo Baldoni, non una parola per chi resta in gabbia.C’è da aver paura di gente che vuole fare il bene e nutre così tanti rancori, e tutta l’umanità di cui sono capaci è di tornare alle parole d’ordine, alla politica, alla trincea.
C’è da capire che quegli occhi socchiusi sulle tragedie dei curdi uccisi con i gas, sull’inferno delle prigioni, sui fedayn di Saddam che allora impararono a usare il coltello sul collo della gente, sui massacri degli sciiti, quegli occhi hanno imparato a guardare altrove come un mestiere.
Non vogliamo fare grandi discorsi, e le storie lievi a volte sono meglio.
C’è un bambino che a scuola, nelle scuole di Saddam raccontò una barzelletta: l’aveva sentita da altri, da qualche adulto.
Dunque Saddam decide di liberalizzare i visti di uscita dal paese, e subito si crea una grande coda. Allora Saddam dice, ci vado anch’io, voglio anch’io il mio visto. Arriva, e tutti se ne vanno.
Ma perché, chiede Saddam.
Se vai via tu, allora possiamo restare noi, dicono tutti.
Non fa molto ridere, ma ha riso una sola volta il bambino che la raccontò: è scomparso per sempre, e i missionari armati di bandiere non hanno avuto modo di aiutarlo.
Insomma, prima dei misteri dei venti giorni del sequestro, c’è il mistero di dieci anni di relativismo morale.
Appunto, il sequestro. Che purtroppo non era opera della Cia, né di comodi criminali comuni. Ma della resistenza.
Una resistenza sospettosa e pronta al colpo alla nuca.
Ma se tu li convinci, e se non ti sfiorano, e se ti chiedono perfino perdono, e ti assolvono, ecco che perfino il ghigno del terrore, del sequestro delle libertà, diventa un sorriso.
E i fantasmi di Quattrocchi e di Baldoni, e degli americani che non destano pietà sono ombre sullo sfondo: qualcosa che assomiglia alla devozione perduta di quei comunisti che finivano davanti ai plotoni di Stalin, e benedicevano il comunismo, e l’abiezione dell’ideologia li portavano qualche volta a confessare colpe non commesse, a fare nomi di compagni di sventura, a morire come si accetta un castigo meritato; chi non lo faceva impazziva, e il regime esigeva le confessioni non per dare una morte che sarebbe venuta comunque, ma per dominare i cuori e le anime, prima che i corpi.
Volevano ucciderle, un fuoco amico perché le spie vanno uccise.
I camionisti turchi, gente che non va all’estero per salvare il mondo ma per dare da mangiare a una famiglia, gente senza faretti di telecamere e che per bandiera hanno pance da autisti e pantaloni sporchi di diesel, sono stati uccisi nel numero di trenta, finora, senza constatazione amichevole: e senza pietà, non hanno regalato loro neanche una paginetta del Corano, né dolci, né scuse.
Ma quelli sono altri incidenti, che non fanno statistica, o forse collaboravano con l’occupazione, anche la pietà ha i suoi confini.
I sequestratori non volevano soldi, volevano giustizia, a modo loro. E siccome gli sfuggiva che l’argomento riscatto è un dolcetto per le polemiche italiane, si sono arrabbiati con i mediatori, quando la storia è saltata fuori, sospettando un’avidità che stonava con la severità del loro tribunale da inquisizione, con la loro feroce purezza, chiedono scusa anche se solo ti sfiorano una gamba.
Tant’è che hanno gestito a modo loro la liberazione, firmandola con la consegna di una pistola, perché i mediatori hanno portafogli, non pistole.
Portafogli vuoti, perché la resistenza non si vende, e pistole scariche, perché si uccidono solo le spie, o solo gli ostaggi cattivi, o solo nepalesi e turchi, che non commuovono neanche il cappellano del quartiere.
I segreti non sono nel sequestro, che è perfino una storia piccola, con qualche casualità, e troppi padri nella vittoria, quando la sconfitta di Baldoni non ebbe neppure una madre.
I segreti stanno dopo, in quel mondo che appare semplice, allo sguardo abbagliato di chi solleva il velo, ma anche allo sguardo storto di chi il velo non lo ha mai messo, tocca sempre agli altri, o alle altre.
Il segreto è una parola d’ordine, una giaculatoria di appartenenza, come quelle frasi che sono il cemento delle sette, americane oppure orientali, qui non importa.
Dice la formuletta: terrorismo no, resistenza sì.
Nel bollettino di guerra forse vuol dire autobomba contro il convoglio americano, ok, il prezzo è giusto, autobomba contro le reclute in fila, insomma vediamo, autobomba contro i bambini e le caramelle, errore, forse succede, sequestro di Quattrocchi, bè se l’erano cercata, sequestro di civili: se sei innocente ti liberano, certo il sequestro di civili non va.
Ora se uno pensa che i terroristi siano quattro gatti, o Zarqawi e altri tre, si sbaglia.
Il terrore gode simpatie, in Iraq. Appoggi, complicità. Il terrorismo paga, funziona, vince le sue battaglie.
Tu uccidi gli interpreti, e io mi guardo bene dal fare l’interprete.
Un solo esempio storico, per i più giovani, tanto per capire come il terrorismo funzioni, e come diventi una maledizione, se lo abbracci come una tattica usa e getta, e invece torna fuori perché il terrorismo è una metastasi che corrompe anche le ragioni comprensibili, che si ribella a essere un mezzo, che diventa un fine, e fine a se stesso.
Come credete voi che Arafat sia arrivato al Nobel per la pace? I palestinesi, dimenticati dal mondo, scelsero il terrorismo, quando voi non eravate neanche nati.
Uccisero atleti alle olimpiadi, dirottarono aerei, uno dopo l’altro. E imposero il loro problema, vero e reale, al mondo. Diventarono qualcos’altro: un popolo in esilio a casa sua, una causa rispettabile, palchi e sedie ai convegni, e una rivolta, ragazzino con le pietre contro i blindati, che suscitava la tenerezza che si prova per i ragazzi della via Pal – ma anche quello è un libro d’altri tempi.
E dunque, Nobel e kefiah.
Poi è tornato fuori, il terrorismo, come un fiume carsico, a dannare e sporcare le ragioni dei palestinesi, perché le condanne del sangue nei bar dei ragazzi, nelle discoteche di Israele, erano condanne di opportunità, e relative: e i nostri bambini, e i nostri profughi, e l’occupazione?
Se uno pensa che le radici del terrorismo siano solo nelle cause, nella povertà o nell’assenza di diritti, e che questo in qualche modo lo legittimi, salvo incidenti di percorso disdicevoli, allora uno ha il velo davanti agli occhi.
Perché non si rende conto che una volta che hai sacrificato al fine, nobile e bello, ogni mezzo possibile, hai venduto l’anima, sei perso.
Se hai ucciso un camionista qualunque oggi, quale mondo migliore costruirai domani?
Se fai strage di ragazzini con la mano tesa alle caramelle, che scuole farai nel mondo migliore?
Allora accettare la distinzione tra terrorismo e resistenza è un suicidio: la resistenza che accetta il terrorismo è morta, o assassina, che fa lo stesso.
Ma se si chiudono gli occhi sulle barbarie di Saddam, si possono anche chiudere gli occhi su altre barbarie, e rifugiarsi nelle certezze sgranate come un rosario.
Ma voi, voi che non avete bisogno di eroi e di eroine, voi che non smaniate per fare del bene, né per andare in Iraq, voi che vi augurate sì che i vostri coetanei di Nassiriyah tornino tutti, dal primo all’ultimo a casa, ma con la soddisfazione di un lavoro compiuto, non con la vergogna di essere stati complici di chissà cosa, voi provate a immaginare, come se fosse un videoclip, come se fosse una pubblicità, che in una piazza di Baghdad, in un tempo futuro che sa di passato, provate a immaginare un vecchio uomo che parla alla folla, iracheni qualunque, che dice che ognuno ha diritto a pensarla a modo suo, e ci si può contare nel voto, e le elezioni sono un modo leale di dirimere le questioni, e di rispettarsi l’un l’altro, chi ama il velo e chi se ne infastidisce, e d’altronde, che altro si può fare, non c’è un’altra scelta.
Sì, è un’immagine scippata o sequestrata alla pubblicità, sempre meglio che appropriarsi della parola resistenza per mettere una medaglia al petto dei nazisti dei giorni nostri: Dio è con noi, gli ebrei e i capitalisti di Wall Street governano il mondo.
La purezza del velo e i versetti del Corano valgono adesso come gli occhi azzurri e i capelli biondi.
Toni Capuozzo
_________________ Spock: We must acknowledge once and for all that the purpose of diplomacy is to prolong a crisis. |
|
DonVito ex "quentin83"
 Reg.: 14 Gen 2004 Messaggi: 11488 Da: torino (TO)
| Inviato: 06-10-2004 17:07 |
|
CAPUOZZO RULZ
_________________ Regista: "Digli che mi chieda qualsiasi altra cosa, ma questo é un favore che non posso fare"
Tom Hagen: "Lui non chiede un secondo favore se gli si rifiuta il primo, capisci?" |
|
ipergiorg
 Reg.: 08 Giu 2004 Messaggi: 10143 Da: CARBONERA (TV)
| Inviato: 25-08-2005 10:44 |
|
Colpo di scena
ROMA (Reuters) - Le autorità italiane avrebbero prestato cure mediche a "quattro presunti terroristi iracheni" per favorire la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta, le due operatrici umanitarie rapite in Iraq nel settembre 2004 . Lo scrive oggi il quotidiano La Stampa citando l'ex commissario della Croce Rossa Maurizio Scelli.
"I mediatori ci chiesero di curare e salvare la vita a quattro presunti terroristi ricercati dagli americani. Li nascondemmo e li portammo ai medici della Croce Rossa, che li operarono. Curammo anche quattro loro bambini malati di leucemia", ha detto Scelli secondo quanto riportato dal giornale, senza indicare se per la liberazione delle due italiane fu pagato anche un riscatto in denaro.
L'operazione, ha spiegato Scelli, fu condotta in totale segreto, senza comunicarla alle autorità Usa, e fu autorizzata dal sottosegretario alla presidenza Consiglio Gianni Letta, che ha la delega ai servizi segreti.
Simona Pari e Simona Torretta, operatrici dell'Organizzazione non governativa "Un Ponte per", furono rapite insieme a due colleghi iracheni il 7 settembre a Baghdad e rilasciate tre settimane dopo, consegnate allo stesso Scelli.
"Il tacere agli americani i nostri tentativi di liberare gli ostaggi fu una condizione irrinunciabile per garantire l'incolumità degli ostaggi e nostra... che trovò d'accordo, quando gliela rappresentai, anche il sottosegretario Gianni Letta", ha detto l'ex numero uno della Cri.
"A Baghdad, quando si trattò di riportare in Italia le due Simone, Nicola Calipari, consapevole di questa direttiva, si raccomandò con me di non parlarne neppure al generale Mario Marioli, italiano, vicecomandante delle forze alleate in Iraq".
Il funzionario del Sismi Nicola Calipari fu ucciso il 4 marzo scorso da colpi d'arma da fuoco sparati da soldati Usa a un checkpoint a Baghdad, mentre accompagnava all'aeroporto la giornalista del "Manifesto" Giuliana Sgrena, liberata dai suoi sequestratori in Iraq appena qualche ora prima.
Secondo la ricostruzione dell'ex commissario della Croce Rossa raccolta dalla "Stampa", a mettere in contatto Scelli coi rapitori delle due ragazze sarebbe stato Mohammed al Kubaysi, vicepresidente del Consiglio degli Ulema iracheni, attraverso un medico iracheno, Nawar.
Scelli ha raccontato al giornale che la Croce Rossa inviò un'ambulanza per raccogliere i quattro feriti eludendo e trasportarli in un ospedale di Baghdad in cui operavano medici italiani eludendo la sorveglianza delle truppe Usa.
Scelli ha aggiunto che prima di ottenere la liberazione delle due italiane è stato trattenuto dai rapitori per sei ore insieme a Nawar.
Contattata da Reuters, la presidenza del Consiglio non ha per il momento rilasciato dichiarazioni.
_________________ Spock: We must acknowledge once and for all that the purpose of diplomacy is to prolong a crisis. |
|
|