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Autore La Nouvelle Vague
nboidesign

Reg.: 18 Feb 2006
Messaggi: 4789
Da: Quartu Sant'Elena (CA)
Inviato: 20-03-2006 12:57  
ANCORA ANCORA ANCORA!!!
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CUCCHIAMO ? - Vota e fai votare "FilmUp LIBERO" ; perchè finalmente una nuova alba sorga sul nostro forum. - Anche Giorgclunei è con noi

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Davil89

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 6581
Da: Soliera (MO)
Inviato: 20-03-2006 14:18  
quote:
In data 2006-03-20 12:57, nboidesign scrive:
ANCORA ANCORA ANCORA!!!




si si
_________________
"Non smettere mai di sorridere, nemmeno quando sei triste, perché non sai chi potrebbe innamorarsi del tuo sorriso"

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NancyKid
ex "CarbonKid"

Reg.: 04 Feb 2003
Messaggi: 6860
Da: PR (PR)
Inviato: 20-03-2006 14:36  
w positif!

e siete tutti gheis
_________________
eh?

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TINTOBRASS

Reg.: 25 Giu 2002
Messaggi: 5081
Da: Roma (RM)
Inviato: 20-03-2006 14:38  
quote:
In data 2006-03-20 14:36, NancyKid scrive:
w positif!


Io preferisco Cinemaplus...

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NancyKid
ex "CarbonKid"

Reg.: 04 Feb 2003
Messaggi: 6860
Da: PR (PR)
Inviato: 20-03-2006 14:44  
quote:
In data 2006-03-20 14:38, TINTOBRASS scrive:
quote:
In data 2006-03-20 14:36, NancyKid scrive:
w positif!


Io preferisco Cinemaplus...



passa al lato oscuro della forza luke
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eh?

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 20-03-2006 16:04  
quote:
In data 2006-03-20 01:23, sandrix81 scrive:
quote:
In data 2006-03-19 20:25, Tristam scrive:
già finito?


no, pigrizia permettendo




Spero continui.
Ho letto tutto d'un fiato

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oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 21-03-2006 09:24  
quote:
In data 2006-03-20 16:04, Schizo scrive:
quote:
In data 2006-03-20 01:23, sandrix81 scrive:
quote:
In data 2006-03-19 20:25, Tristam scrive:
già finito?


no, pigrizia permettendo




Spero continui.
Ho letto tutto d'un fiato



e non ti è venuto un infarto?
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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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roccomedia

Reg.: 15 Lug 2005
Messaggi: 3829
Da: Bergamo (BG)
Inviato: 21-03-2006 13:38  
Grazie al canovaccio di Sandrix finalmente potrò fare lo sborone con gli amici del circoletto...

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Marienbad

Reg.: 17 Set 2004
Messaggi: 15905
Da: Genova (GE)
Inviato: 22-03-2006 01:02  
Che razza di copione.!
_________________
Inland Empire non l'ho visto e non mi piace

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 22-03-2006 10:45  
cioè ho dimenticato di citare qualche fonte?
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 01-05-2006 02:01  
TERZA PARTE - ESTETICA E PRATICA

Nella tavola di Labarthe (che abbiamo riportato integralmente nella seconda parte di questo breve approfondimento sulla Nouvelle Vague), insieme a quelli dei principali articoli critici, compaiono i titoli di alcuni film, considerati dalla nuova generazione di cineasti come punti di riferimento per un nuovo modo di intendere e realizzare il cinema, e un elenco di quattro voci, quattro grossi contenitori di esperienze filmiche che hanno influenzato tanto i modi di produzione quanto l’estetica della nuova ondata cinematografica.
Lanciamoci dunque in quest’ultima carrellata (questione di morale…) sul movimento, e in particolare cerchiamo di ricostruire una sorta di mappa concettuale, una scaletta di punti utili a riconoscere un film nouvelle vague semplicemente guardandolo, e non leggendo il nome dell’autore e l’anno di produzione.
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 01-05-2006 02:03  
Sono spariti gli sceneggiatori?

Cominciamo con l’annotare che lo scenario auspicato da Astruc prima e Truffaut poi (registi che scrivano da sé le proprie sceneggiature, nessuna distinzione tra autore e regista,…) non si è mai tradotto completamente in atto, seppure teoricamente resti un caposaldo di tutte le esperienze e le idee cinematografiche di lì a venire (oggi, per “film d’autore”, s’intende generalmente un film sceneggiato dal regista che lo gira). Lo stesso Truffaut cerca e ottiene la collaborazione di uno sceneggiatore professionista, Marcel Moussy, perfino per un film fortemente autobiografico come I 400 colpi, e collaborerà regolarmente con 4-5 sceneggiatori (tra cui Jean Gruault e Jean-Louis Richard) per tutto l’arco della sua carriera. Fino all’ultimo respiro, primo lungometraggio di Godard, è una sceneggiatura che Truffaut aveva scritto ma non era riuscito a (far) produrre; c’è da dire che di lì in poi Godard scriverà da sé le proprie sceneggiature, seppure, sotto la sua personalissima figura di regista-autore, queste perderanno progressivamente il proprio senso, saranno sempre meno delle rigide gabbie e sempre più dei canovacci di libero riferimento (probabilmente è per questo che – ci arroghiamo il diritto di giudicare – Fino all’ultimo respiro è forse il film meno riuscito dell’intera produzione di Godard). Chabrol scrive da sé la sceneggiatura di Le beau Serge, ma da I cugini in poi collaborerà stabilmente con Paul Gegauff, Gegauff che collabora anche alla stesura della sceneggiatura de Il segno del leone, film d’esordio di Rohmer, mentre Gruault firma insieme a Rivette la sceneggiatura di Paris nous appartient. Jacques Demy scrive da sé sceneggiature e dialoghi dei propri film, come anche Agnès Varda, mentre Pierre Kast parte generalmente da sceneggiature scritte da altri. Particolare il caso di Alain Resnais, la cui elaborazione di un nuovo modello formale prevede per lo sceneggiatore un ruolo di collaborazione organica con il regista: testo scritto e testo filmico nascono e si sviluppano di pari passo e in simbiosi, e a fianco del geniale autore siederanno letterati del calibro di Marguerite Duras e Alain Robbe-Grillet.

Dunque, a parte qualche caso (tra cui vanno annoverati anche Rouch e, in parte, Rohmer), non è nelle firme che le sceneggiature della nouvelle vague si differenziano da quelle della tradizione di qualità. È però nel rapporto che i registi hanno con esse che si crea il divario: che abbia collaborato o meno alla stesura, l’autore nuovo si impossessa della sceneggiatura prima di metterla in scena, la fa propria per parlare di sé attraverso essa (per questo molte presentano forti tratti autobiografici). Fa in modo, insomma, che la sceneggiatura gli sia d’aiuto, e non d’impaccio, nell’espressione del proprio pensiero.

In realtà l’obiettivo era quello di passare dalla “sceneggiatura-programma” alla “sceneggiatura-dispositivo” (secondo la distinzione di Francis Vanoye, cfr. La sceneggiatura. Forme, dispositivi, modelli, Torino 1998): la prima descrive dettagliatamente le vicende, schematizzandole in una forma pronta ad essere messa in scena e girata; la seconda resta invece sempre aperta (anche durante le riprese) a modifiche, rivisitazioni, idee, improvvisazioni. In realtà la sceneggiatura-programma non scompare affatto, e anzi mantiene il suo ruolo centrale nel cinema di molti dei giovani cineasti, tra cui sicuramente Resnais (per la sua stessa, originalissima, idea di cinema), ma anche Truffaut, Chabrol, Kast, Demy, Varda. La sceneggiatura-dispositivo, d’altra parte, domina cardinalmente l’estetica del cinema di Rozier e di Rouch. Proprio le esperienze di questi due saranno importanti punti di riferimento per i lavori di Godard, di Rohmer e di Rivette. Rouch lascia in libertà i propri attori di improvvisare le battute, li lascia scrivere i dialoghi nel momento stesso in cui gira il film; allo stesso modo si comporteranno Rozier (per Desideri nel sole e Dalla parte di Orouet), Rivette (da L’amour fou) e Rohmer per Il raggio verde, a nostro avviso il suo capolavoro.

Quello che si cerca, insomma, come spiega lo stesso Rivette, è “sforzarsi di trovare un principio generatore che in seguito, come da sé (sottolineo il come), si sviluppi in modo autonomo, generando una produzione filmica nella quale, dopo, si sarebbe potuto in qualche modo ritagliare [decouper], o piuttosto montare, un film destinato ad essere proiettato di fronte a eventuali spettatori” (La Nouvelle Critique, n.63, aprile 1973). Un percorso creativo «che sbocca su ciò per cui nel 1960 è stato coniato, a proposito di Chronique d’un été di Jean Rouch e Edgar Morin, il termine “cinema-verità”. Ma il percorso di questo film è meno significativo, in quanto esso si inserisce nel filone del film-inchiesta e non del racconto di finzione come La punition, autentica matrice estetica dei film di Rivette e Rohmer degli anni ’60 e ‘80» (M. Marie, La nouvelle vague, Parigi 1997).
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 01-05-2006 02:06  
Adattamento, sì o no?

Come abbiamo visto nella parte “critica”, Truffaut (nell’articolo Una certa tendenza del cinema francese) aveva posto un accento particolare sulle tecniche di adattamento abitualmente diffuse nell’ambito del cinema della tradizione di qualità, accusando gli sceneggiatori di tradire in continuazione lo spirito delle opere da trasporre, attraverso varianti e mezzucci volti a spettacolarizzare il testo. Ciò non toglie comunque che i cineasti della nouvelle vague abbiano spesso e volentieri tratto i soggetti dei propri film da trasposizioni di opere letterarie; quello che cambia, come per le sceneggiature, sono i modi, le pratiche, la concezione dell’adattamento. I nuovi autori non solo evitano di nascondere l’origine letteraria delle vicende narrate, ma anzi tentano di rimarcarla in ogni modo.

Il primo dei film citati nella tavola di Labarthe è La tenda scarlatta (1952) di Alexandre Astruc. Tratto da un racconto di Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly, viene adattato da Astruc stesso, che precisa a più riprese l’intenzione di rispettare in tutto e per tutto il testo di Barbey, intento che manterrà anche cinque anni più tardi, adattando Una vita di Maupassant.

Per “filmare il testo a grandezza naturale”, Astruc affida la parola a un narratore in voce off, e questo espediente (adottato anche in Una vita) sarà ripreso da molti (se non tutti) dei giovani autori. L’utilizzo programmatico della voce fuori campo è in effetti uno dei tratti estetici maggiormente caratterizzanti della nuova generazione, come lo è l’altra grande marca dell’enunciazione letteraria, ossia il frequente ricorso alle tracce scritte, che del resto già caratterizzarono il Diario di un curato di campagna di Bresson, film-paradigma della nuova concezione delle tecniche di adattamento. Ma è la voce over che permette più agevolmente di fare ricorso all’opera originaria, recitandone spesso interi passaggi, come avviene in Godard (all’inizio de Il bandito delle ore undici, o ne Il disprezzo) o in Truffaut (nel cortometraggio Les Mitons, o in Jules e Jim).

La voce fuori campo è una costante anche nei film nouvelle vague con soggetti originali, e in questo senso l’esempio viene ancora da Rouch (Moi, un noir) e da Alain Resnais, forse il maggior inventore di forme dal secondo dopoguerra. Nel cortometraggio Notte e nebbia, girato nel 1955 per commemorare le vittime dell’olocausto, la voce di Michel Bouquet recita, sullo scorrere delle terribili immagini dei campi di concentramento, il testo scritto da Jean Cayrol. È un nuovo modo di mettere in scena la voce, non più strumento per soccorrere all’incapacità di mostrare o di spiegare qualcosa, ma ormai autonomo paradigma significante, che interagisce col testo visivo (come abbiamo già ricordato, i film di Resnais crescevano attraverso un rapporto strettissimo regista-scrittore) determinandone o modificandone il senso. Resnais prosegue su questa strada, con risultati straordinari ma mai ripresi e approfonditi in seguito da nessun altro, nel primo quarto d’ora di Hiroshima mon amour o tra i soffitti barocchi e i corridoi vuoti a perdita d’occhio del grande albergo di L’anno scorso a Marienbad, e apre la strada a un utilizzo della voce che spazzi via ogni residuo della “tirannia del visivo” (quella che Astruc attribuiva al cinema muto).

La voce over spesso è l’espressione diretta del pensiero e delle ossessioni del regista, altre volte monologo interiore dei protagonisti. Rohmer la utilizza sistematicamente nei Racconti morali (si pensi alla maniacale descrizione di luoghi, vie e situazioni ne La fornaia di Monceau), Godard arriva spesso (ad esempio in Weekend, un uomo e una donna da sabato a lunedì) ad annullare completamente la diegesi per parlare attraverso la voce over (non poteva essere diversamente, per un autore tanto interessato alla ricerca sui diversi codici di espressione a disposizione del cinema), Truffaut la utilizza ne Il ragazzo selvaggio per dare piglio scientifico al film.
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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 01-05-2006 02:09  
Fotografia, sonoro, aria aperta: cinema in presa diretta sulla realtà.

Affascinati e ispirati, tra l’altro, dal cinema documentario e dalla televisione, nonché dall’esperienza neorealista rosselliniana, i cineasti nouvelle vague impostano il loro discorso estetico sulla ricerca di un cinema che sia in primo luogo spontaneo e sincero, e che in secondo luogo abbia un impatto il più vivo e ravvicinato possibile con la realtà. Questa presa di posizione scatena tutta una serie di conseguenze a catena riguardanti non solo i modi e le consuetudini sulla realizzazione dei film, ma persino quelli sulla loro produzione. Per lasciare all’artista la maggiore libertà d’espressione possibile, i film nouvelle vague si producono con budget ridotti, spesso ridottissimi. Il budget ridotto comporta una serie di corollari, scelte, rinunce, decisioni, alternative, molte delle quali contribuiscono a definire un’estetica più o meno generale per tutti i film del movimento.

Prima conseguenza è quella dell’abbandono dei teatri di posa, per andare a girare all’aria aperta, en plein air, per le strade. È un atto forte, decisivo, che riprende l’esempio di Rossellini (e prima ancora si potrebbero fare altri nomi, da Vigo fino a Vertov); girare in ambienti naturali non è solo un modo per risparmiare, ma la volontà di mostrare luoghi e città che abbiano un significato personale per gli autori: luoghi d’infanzia, o dove si è scoperto il cinema, e così via.

Parigi è la grande protagonista della Nouvelle Vague. Truffaut ambienta I 400 colpi nel XIII arrondissement, dove è cresciuto, e gira addirittura nel suo stesso appartamento alcune scene de La calda amante; Fino all’ultimo respiro si muove tra gli Champs Elysées, dove hanno sede i Cahiers, e il quartiere di Saint-Germain-des-Prés; il primo lungometraggio di Rivette ha un titolo che dice già tutto, Parigi ci appartiene; Rohmer descrive minuziosamente la topografia dell’intera capitale francese, prima abbracciandola caldamente nelle passeggiate de Il segno del leone e poi, più radicalmente, con precisione quasi scientifico-empirica ne La fornaia di Monceau (Rohmer del resto è un cineasta ossessionato dallo spazio, e tanto più gli interessa quello delle strade parigine). Questa tendenza culmina, nel 1965, nel film a episodi Paris vu par… di Douchet, Rouch, Pollet, Godard, Rohmer e Chabrol, in cui ognuno degli autori gira un corto in 16mm ponendo l’attenzione su un quartiere della capitale.

La seconda conseguenza dei budget ridotti riguarda le troupe. Girare negli ambienti naturali comporta e necessita l’utilizzo di troupe leggere, composte da pochi membri e con diverse competenze. Un ruolo particolare assumono i direttori della fotografia, un po’ perché gli appartenenti alla categoria sono abituati a lavorare negli studi, un po’ per le esigenze particolari dei cineasti, che vogliono immagini d’impatto, naturali. Le due figure più importanti in questo senso, Henri Decae e Raoul Coutard, hanno entrambi un passato da foto-reporter, sono esperti nelle tecniche di reportage, hanno un perfetto controllo della macchina a spalla, amano (e sanno) girare con la luce naturale, e non hanno paura di lavorare in situazioni precarie e in condizioni difficili. Decae lavora con Truffaut per I 400 colpi, dopo aver collaborato con Melville, Malle e Chabrol; è l’uomo che libera la macchina da presa dalla prigionia del cavalletto fisso, e “ha reso tecnicamente possibile la Nouvelle Vague” (M. Marie). Coutard, che viene imposto a Godard per Fino all’ultimo respiro e finirà per girare con lui dieci film, oltre a quattro lungometraggi di Truffaut e altre collaborazioni varie, utilizza, seguendo le esigenze e le richieste di Godard, nuovi apparecchi e nuove pellicole, per aumentare la sensibilità dell’immagine e poter girare più agevolmente (e quindi più rapidamente).

L’ultimo aspetto legato all’economia dei film nouvelle vague riguarda il suono. Abbiamo già affrontato il discorso sul sonoro come elemento della messa in scena, resta da accennare in breve alle tecniche di registrazione. Seguendo l’esempio di un altro dei grandi maestri riconosciuti della nouvelle vague, Jean Renoir, i giovani autori auspicano l’utilizzo del suono registrato in presa diretta, ossia contemporaneamente alle riprese, piuttosto che della postsincronizzazione, abitualmente utilizzata nelle normali produzioni. Nonostante le nuove possibilità offerte dalla registrazione magnetica, infatti, negli anni Cinquanta i macchinari sono ancora troppo ingombranti, soprattutto per le riprese en plein air, e per questo i primi film nouvelle vague sono ancora postsincronizzati. Mentre Godard esegue ricerche sempre più sperimentali sulla postsincronizzazione, ispirato dalla libertà del doppiaggio che Jean Rouch accorda ai protagonisti di Moi, un noir, le innovazioni tecniche, provenienti soprattutto dal nuovo mondo della televisione, cominciano a rendere più agevole la registrazione in presa diretta del suono: apre la strada ancora Rouch, che gira Chronique d’un été con una 35mm molto leggera e che gli permette la registrazione in sincrono (soprattutto per questo il film diventa il manifesto del tanto ambito “cinéma-veritè”). Sulla stessa scia si inscrive Desideri nel sole, primo lungometraggio di Jacques Rozier, film (tra le altre cose) sul mondo della televisione e realizzato grazie al mondo della televisione, probabilmente l’opera che più di ogni altra esprime quella che qui stiamo cercando di definire come l’estetica della Nouvelle Vague, capolavoro di cinema diretto, spontaneo, naturale. Il film subisce poi una serie di vicissitudini in fase di post-produzione, proprio a causa del suo essere stato registrato con mezzi di fortuna e con molte improvvisazioni. Desideri nel sole avrà uno scarso successo, ma rivoluzionerà l’estetica di tutto il cinema di lì a venire, francese e non.
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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 01-05-2006 02:12  
Un’ultima occhiata trasversale: autori e manie.

Nella sequenza del ricevimento all’inizio de Il bandito delle ore undici (1965), Pierrot (Jean-Paul Belmondo) incontra un regista americano, interpretato da Samuel Fuller, uno dei grandi del cinema americano degli anni Cinquanta e Sessanta, citazione vivente nel suo film e che dichiara che il cinema è un campo di battaglia in cui la posta in gioco sono amore, violenza e morte, proprio tutto quello che si ritroverà nel film che stiamo iniziando a vedere. In Crepa padrone... tutto va bene (1972), Godard fa iniziare il film con un primissimo piano di un blocchetto per gli assegni che viene riempito, un assegno per ogni elemento del cast, tecnico e artistico, del film. Il cinema, dunque, è sì tutto quello che dice Fuller in Pierrot, ma è anche un produttore che firma e stacca degli assegni. Il produttore di Fino all'ultimo respiro è Georges de Beauregard, il quale fa approvare dal ministro Malraux una legge che prevede un incentivo statale per i film di registi esordienti (da valutare sulla base della sceneggiatura); è una forte spinta a investire sui giovani registi, fondamentale per l'esplosione della nouvelle vague. Il film è dedicato alla Monogram picture, piccola casa di distribuzione indipendente americana, dunque a un tipo di cinema che si rivolge a un pubblico, che vuole essere visto, ma che rifiuta, per necessità, gli alti costi, non si fa schiacciare dai presupposti commerciali, non se ne fa dominare. A bout de souffle pretende la libertà totale per il cineasta, e di conseguenza la produzione sarà a basso costo (circa un terzo di una produzione media dell'epoca).

Così sarà per tutti i film della nouvelle vague, e la loro realizzazione (nonostante i bassi budget) sarà possibile grazie principalmente a due tipologie di fattori: da una parte, un atteggiamento della nuova generazione nei confronti del cinema, basato sull'assunto di Astruc della camera-stylo, dove il cinema è utilizzato come espressione diretta di sé, per restituire un'atmosfera di sé e del proprio universo, esistenziale o culturale che sia (Fino all'ultimo respiro è un film fatto tutto di cinema, di film - e romanzi - d'appendice); dall'altra, motivazioni di natura tecnologica, come si nota chiaramente in un film come Desideri nel sole (Adieu Philippine, 1962) di Jacques Rozier.

Adieu Philippine comincia in uno studio televisivo, ambiente di lavoro considerato moderno e stimolante, buon rappresentante della nuova generazione arrembante della popolazione francese. Dopo la vicenda delle vacanze in Corsica (seguita in modo quasi antropologico, secondo i modi del cinéma-veritè teorizzato dai giovani turchi), l'inquadratura finale, sul soldato morto nella guerra d'Algeria, finisce col cambiare tutto il senso del film; in questo modo la pellicola di Rozier finisce con l'essere anche una risposta alle accuse di disimpegno ed egoismo mosse in continuazione alla nouvelle vague (a differenza della “rive gauche”). Gli studi televisivi dell'inizio del film rappresentano il luogo del presente e del futuro, le apparecchiature moderne ivi utilizzate cambiano il modo di concepire la tecnica cinematografica: formati più piccoli (8mm e 16mm), gru, carrelli e strutture più economici e più agili, pellicole ultrasensibili che permettono di girare con luce naturale,... tutte queste innovazioni spingeranno sempre più i nuovi cineasti verso location ridotte, en plein air, anche in condizioni di luce non ottimali, ad andare a girare in strada, insomma, parallelamente allo scorrere della vita.

Il 16mm è il formato tipo dl documentario antropologico, da sempre luogo di sperimentazione delle nuove tecnologie. Nel 1960 Morin e Rouch realizzano un film di successo, Chronique d'un été, riprendendo aspetti della realtà che nessuno aveva ancora documentato. È un ritorno alle origini pionieristiche del cinema, ma supportato da un piglio scientifico e esperienza registica; l'obiettivo è di suggerire un cinema capace di attrarre la massa e che sia, allo stesso tempo, correlato alla realtà (cinéma-veritè, cinema diretto,...), che indaghi la realtà con occhio critico (secondo il modello neorealista).

In tutti i film nouvelle vague si denota questo sguardo attento e critico sul reale. Ne I 400 colpi, Truffaut con Henri Decae (i direttori della fotografia sono fondamentali nell'ambito dell'estetica del movimento) ricerca l'effetto di realtà anche in momenti apparentemente secondari, come nella scena in cui Antoine e Renè scendono la scalinata di Montmartre e finiscono col disturbare un intero stormo di piccioni che si risolleva in volo: un esempio efficace dello spirito autentico che il film mira ad offrire. La scena della psicologa, invece, produce un effetto straniante: dal lato della psicologa, che non vediamo mai, potrebbe esserci chiunque, anche Truffaut stesso, che riproduce in questa sequenza la sua fascinazione per i provini e per il piccolo Leaud. Per la critica “tradizionale”, è uno scandalo sul piano della regia e del linguaggio.

Si propone una dialettica di metodo, nel contrasto tra la ricerca di autenticità e di rilevazione della realtà, e l'infrazione sistematica dei canoni del linguaggio classico (ricercata in maniera provocatoria da Godard sin da Fino all'ultimo respiro). è il tentativo di instaurare un nuovo tipo di realismo, di proporre un cinema che possa autenticare la realtà (esistenziale e culturale) dei cineasti in quanto artisti: è in questa direzione che si muove la scelta di ambientare i loro film nei quartieri parigini in cui essi stessi sono cresciuti o vivono.
Non è la diegesi (che comunque si percepisce) a fare il successo del film, ma la dialettica dell'aspetto formale, che genera una sorta di effetto brechtiano sullo spettatore, stimolandolo, provocandolo e costringendolo a uscire continuamente dalla fluidità della narrazione. In cambio, gli viene data la sensazione di un rinnovamento, di un cinema più disinvolto, agile, autentico; si riduce la distanza tra la posizione del cineasta e quella dello spettatore.

Eric Rohmer gira spesso in 16mm, in bianco e nero (fino a La mia notte con Maud, del 1969, con l'eccezione de La collezionista nel 1967), e sempre rigorosamente in presa diretta (seguendo l'esempio di Jacques Tati) per ricreare l'impasto sonoro della realtà così com'è. Nel suo cinema è fondamentale il tema della scrittura (ad esempio, il diario del protagonista ne L’amore il pomeriggio) per esprimere cosa pensa, le sue idee, i suoi sogni.

Rohmer si diverte, giocando con il film e con lo spettatore: nell'economia del film, il singolo episodio non vale assolutamente nulla. È il tema della digressione, fondamentale per definire la distanza tra cineasta e pubblico: il film prende la mano, come nelle passeggiate in cerca di niente presenti nei film di Louis Malle, e così come, in Italia, nel primo film che tenta di raccogliere la visione di rinnovamento della nouvelle vague: Prima della rivoluzione, di Bernardo Bertolucci (1964).




http://www.positifcinema.com/nouvellevague4.htm

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Non vorrei mai appartenere ad un forum che accettasse tra i suoi moderatori uno come me.

[ Questo messaggio è stato modificato da: sandrix81 il 01-05-2006 alle 02:15 ]

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