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Autore The Black Dahlia - >De Palma
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 03-10-2006 12:52  
quote:
In data 2006-10-03 03:04, Tristam scrive:


.....Perchè se il cinema di De Palma si costruisce nell'occhio di chi guarda, questo è già fatto ancora prima che De Palma dica "Azione!". E non è quindi dallo "Stop" che si segna l'inizio del suo fare. Non è nemmno quindi attraverso la trasformazione della materia grezza nella significanza del montaggio che il film ha il suo centro....

</font>



Mi permetto di accostare, Mattia permettendo, alla quotata suggestione la mia seguente consideraZione:

"...l’”invisibile” camera di De Palma si muove con leggiadra eleganza, e fa dimenticare spericolatezze, virtuosismi e tecniche eccelse (quasi zavorre nelle sue ultime pellicole), lo stesso “occhio” voyeuristico, medium del linguaggio e dell’espressione, elemento del “triangolo”, parte integrante ma non ingombrante di un’affascinante e simbiotica avventura cinematografica che ha come protagonisti l’autore, lo schermo, il pubblico."

Forse non hanno nulla a che vedere l'una cosa con l'altra, però son suggestioni sulle quali varrebbe forse la pena riflettere per rilanciare sta discussione che è diventata unammerda!



[ Questo messaggio è stato modificato da: AlZayd il 03-10-2006 alle 12:53 ]

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mescal

Reg.: 22 Lug 2006
Messaggi: 4695
Da: napoli (NA)
Inviato: 03-10-2006 14:08  
Comunque Tristam, il pezzo che hai scritto prima è un cumulo di stronzate, tra l'altro scrittte con un uso della grmmatica e della sintassi da far cagare.
Non riesco ad indicarti dei punti di maggior dissenso, penso sinceramente che ti si sia fuso il cervello per scrivere quella roba, sorry.

Ti consiglio di adottare l'avatar di Spider, quello di Cronenberg, è lo stesso genere di scrittura del protagonista di quel film...

[ Questo messaggio è stato modificato da: mescal il 03-10-2006 alle 14:10 ]

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Marienbad

Reg.: 17 Set 2004
Messaggi: 15905
Da: Genova (GE)
Inviato: 03-10-2006 18:57  
quote:
In data 2006-10-03 14:08, mescal scrive:
Comunque Tristam, il pezzo che hai scritto prima è un cumulo di stronzate, tra l'altro scrittte con un uso della grmmatica e della sintassi da far cagare.
Non riesco ad indicarti dei punti di maggior dissenso, penso sinceramente che ti si sia fuso il cervello per scrivere quella roba, sorry.




Scusa se mi intrometto, e non lo faccio per prendere le parti di Tristam visto che mi picchia in culo, ma quello che ha scritto secondo me era chiaro. E non lo era secondo i parametri che tu hai tirato in ballo, ma secondo quelli che fanno parte della sfera percettiva. Tristam ha mutato una cosa fondamentale nel modo di scrivere (e a quanto ci dice nel modo di vedere i film, cose che per altro sono fortemente connesse) che ha certamente giovato magari non alla sua comunicabilità verbale, bensì a quella sensoriale. Con le sue parole ci parla come farebbe un cineasta, parla per immagini, suoni, sapori... E questo probabilmente dipende anche dal passaggio che ha compiuto dalla teoria alla pratica.

Che Tristam non sappia scrivere è una stronzata bella e buona, e lo sappiamo tutti. Un tempo, attraverso i suoi piccoli libelli o elogi formali si sforzava con mille parole accurate di arrivare proprio a questo, a parlarci di sensazioni (quelle che gli stessi registi ci offrono con la materia stessa di cui è fatto il cinema), e tutta via le sfiorava senza mai fornircene la potenza. Ora ha definitamente accantonato quello che per lungo tempo ha cercato di eludere: trame, intrecci, tematiche e sinossi, colpendo nel segno e parlando di effetti e affetti (un po' per ritirare in ballo Deleuze che è un guru proprio in questo senso).

Di certo è diventato più ostico di prima, ma secondo me leggerlo è più piacevole.

Ci tenevo a dire queste cose soprattutto perchè, da un po' di tempo a questa parte, l'essenza del cinema viene sacrificata per un po' di retorica e un po' di sboronaggine.

Chiusa la parentesi
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vietcong

Reg.: 13 Ott 2003
Messaggi: 4111
Da: roma (RM)
Inviato: 04-10-2006 00:08  


a proposito del tristo e di scrittura.

Non mi stupisce che Marien l’abbia tirata in ballo la parola “percezione” nella sua non-apologia. Infatti ho già avuto modo di constatare il frequente ricorso, nella complessa prosa di tristam (ma anche in quella - diversamente complessa - di marien) alla categoria della "Percezione" e area semantica attigua (percettivo, mondo delle percezioni ecc.). A dire il vero non mi è molto chiaro l'uso che ne fate, che mi sembra implicare un certo scarto (d'autore?) dalle accezioni più comuni, ma ho l’impressione che nella retorica complessiva del testo marchi l’ingresso in un “territorio straordinario” che essendo anche molto personale, si sgancia da una chiara referenzialità e produce flussi di pensiero difficilmente classificabili (fra l’impressionistico e lo speculativo, fisico e metafisico).
A voler essere maliziosi, mi sembra che questo approccio percettivo (per così dire) abbia quasi una funzione di deresponsabilzzazione, di concedersi un certo tasso di oscurità e di misticismo, arrivando poi a una sorta di svolta autoritaria, perché a certi post di tristam non è quasi possibile rispondere per le rime, ma solo subirli e eventualmente goderne se si è ispirati. Nel loro essere “artistici” e iper-personali appaiono aldilà della verifica e di un’eventuale confutazione, e non ci si può stupire se i discorsi (che non sono tali) del tristo appaiono non comunicativi.
Insomma, quando sento Tristam parlare di percezioni, non dico che metto mano alla pistola, ma agli occhiali sì, perché so che dovrò leggere caratteri finissimi, e col rischio di non vedere nulla. Uno come me che è tutto sommato legato a un certo pragmatismo anglosassone e all’idea strutturalista di analisi del testo, non può fare a meno di chiedersi: “ma le percezioni, fanno testo?”

(chiusa la parentesi. tornate a menarvi)





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Marienbad

Reg.: 17 Set 2004
Messaggi: 15905
Da: Genova (GE)
Inviato: 04-10-2006 00:25  
E comunque le percezioni fanno lo stesso testo che farebbero analisi "tecniche" ben più accurate. No?
O si tira in ballo la percezione per costruire un discorso analitico o la si butta nero su bianco così com'è, grezza e misteriosa. In entrambi i casi la si può condividere o meno, apprezzare o meno.
No?
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vietcong

Reg.: 13 Ott 2003
Messaggi: 4111
Da: roma (RM)
Inviato: 04-10-2006 00:29  

e un impulso, fa testo? o fa fede? sì mi riferivo alla tua spiegazione dell'approccio tristam, ma anche tu a vokte entri nel maggico mondo delle percezioni. no, non credo che scriva per essere ostico, ma vedo che hai colto una parola chiave, "deresponsabilizzazione...


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Marienbad

Reg.: 17 Set 2004
Messaggi: 15905
Da: Genova (GE)
Inviato: 04-10-2006 00:41  
Si l'ho colta in pieno, e ho anche sorriso leggendola.
Se si trattasse davvero di "deresponsabilizzazione" si potrebbe allora tirare in ballo una certa premeditazione nello scrivere che farebbe di Tristam (ma anche di me a questo punto) un personaggio alquanto machiavellico, un personaggio che si diletta nella scrittura a ridosso di ben altre mire, che sarebbero quelle di una guerra intellettuale, una guerra da vincere e dalla strategia vincente... Una politica di comunicazione, per altro, attribuita alla maggior parte di quelli che vennero e vengono (e forse verranno) considerati "autori". Lo si dice tutt'oggi anche di Godard, no?
Quindi un grazie e un vaffanculo.

Aggiungo però che il tuo discorso fa una pieghetta. Se tale atteggiamento fosse pratica comune a Tristam (e a me), allora risulterebbe ipotizzabile; ma dal momento che questa stessa pratica (che per me è più una realtà dovuta al caso e all'umore) non è ancora divenuta prassi (in passato non mi pare sia sempre stato così, e a ben vedere nemmeno nel presente), sei certo che sia io che lui avessimo bisogno di ricorrere a tali espedienti? Soprattutto se poi, sul campo di battaglia, si sia venuto a trovare un elemento come Stefano76?

Bau

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Ma levati!

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 04-10-2006 11:27  
THE BLACK DAHLIA di Brian DePalma (il sorriso triste dei pagliacci ovvero the dark side of the men)

“And everything under the sun is in tune
but the sun is eclipsed by the moon”
Pink Floyd


Dopo anni di ricerca ossessiva al limite con la sperimentazione d’avanguardia, dopo capriole visive fatti di lunghi piani sequenza e split screen, DePalma approda al capolavoro della sua maturità e firma un bellissimo e struggente apologo sulla triste allegria di tanti piccoli pierrot disarticolati e tranciati a metà da un mondo outside terribile e ingannatore. Lasciate perdere il romanzo di James Ellroy, è solo un pretesto del nostro genio di Newark per sviluppare la sua poetica e la sua particolare visione della vita. De Palma riprende l’amato tema del doppio e lo scompone prima in un apparente trio, il Fuoco, il Ghiaccio e l’angelo biondo poi lo seziona in tanti piccoli doppioni che sono le due sorelle (Sisters), le due attrici sosia una dell’altra (due angeli neri?), il rapporto incestuoso padre figlia, le due amanti, i due pugili, il rapporto moglie alcolizzata e marito cinico e depravato. E ancora il bianco e il nero che si inseguono magistralmente in una fotografia virata seppia (del grande Vilgos Zsigmond) che esalta le scenografie bulgare di Dante Ferretti. Il bianco delle divise dei marinai e il nero dell’uniforme dei poliziotti che si scatenano in una rissa che ricorda i duelli degli Intoccabili. Il bianco e nero dei provini di Elizabeth Short, una delle parti più intense e liriche del film, in cui assistiamo alla progressiva perdita delle illusioni e al viale del tramonto precoce di una aspirante attrice nell’outside tentatore di Holllywood (un poco la parabola di Naomi Watts in Mulholland Drive senza le divagazioni oniriche ma con la esaltazione del dark side of the men). Stupende le lacrime di Elizabeth Short (bravissima Mia Kirshner) accompagnate da un sorriso amarissimo e arrendevole con la frase epitaffio “Dicono che sono fotogenica”. La smorfia di dolore che appare sul viso della ingenua attrice contrasta con il patetico tentativo di darsi un contegno. A De Palma non era mai interessato approfondire la psicologia dei personaggi, volutamente certi suoi protagonisti (penso a Tom Cruise di M:I ma anche all’Elliot Ness dei quadretti familiari de “Gli Intoccabili) sembravano avere la consistenza del sogno, ed essere leggeri, invisibili e trasparenti (per potere rinascere dalle proprie ceneri).

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 04-10-2006 11:28  
In questo film tralascia le giravolte della mdp e i fuochi d‘artificio e si mette a delineare due doppi, uno lo specchio dell’altro. Si tratta del detective The Ice e della povera Black Dahlia. I primi piani insistiti di BDP su Joshua Hartnett mentre da perfetto vojeur ammira la propria controfigura femminile, Elizabeth Short, discendere nell’inferno sono davvero eccezionali. Per la prima volta nella filmografia De Palmiana, il guardone acquista la consapevolezza che quella che è rappresentata davanti ai suoi occhi, in un bianco e nero spettrale, non è che la sua vita. Quella ingenuità è la sua ingenuità, quella disillusione è la sua disillusione.
La grandezza di questa ultima opera di De Palma sta in questo lento, ipnotico, magnetico, coinvolgimento nelle vicende di un singolo personaggio che si elevano a parabola ed esempio di un destino beffardo cui è soggetta tutta l’umanità intera. Carlito Brigante uscendo di prigione cercava di colmare la distanza tra sé e il mondo, cercando di cambiare radicalmente la sua vita. In realtà il suo doppio Bonny Blanco, pur ricordandogli il suo passato violento, lo inchiodava al codice d’onore ad un passo dal Paradiso. Qui The Ice non commette l’errore di Carlito di lasciare feriti.
Tradito da tutti, immedesimatosi nel personaggio di pugile fallito- attricetta di second’ordine, bloccato da una immobilità che è sempre stata fatale agli antieroi DePalmiani, decide di darsi letteralmente una mossa e fa quello che nessuno si aspetta: spara ad un amore malato per potere fare davvero tabula rasa e ricominciare a vivere. L’outside lo insegue fino alla soglia del Paradiso con una delle immagini più violente e contrastate: un corpo segato a metà in uno splendido prato verde (e qui è facile citare il Lynch di Blue Velvet). Tutti i personaggi del film hanno un dramma personale, in un passato recente o remoto, che disarticola e divide a metà il corpo (toccabile) dal puro pensiero (intoccabile). Tutti i buoni propositi, tutti i pensieri più ingenui sono spazzati via dalla violenza di un mondo cinico e spietato, sia esso la Hollywood degli anni 40 che il sistema gerarchico della polizia. Si inizia vendendo un incontro di pugilato, ma persa la verginità in una striscia di sangue sul taccuino dei giudici, la caduta è vertiginosa e a spirale. C’è una scena apparentemente strana in cui The Ice osserva per l’ultima volta il cadavere sfigurato del suo collega prima di essere incenerito, ma l’insistenza di De Palma su questo momento è cruciale per capire la trasformazione di Joshua Hartnett. Il senso di colpa non inchioda alla sconfitta e alla bandiera bianca, al contrario è il punto di svolta nella catarsi diegetica del personaggio. Joshua sta vedendo il proprio doppio scomparire tra le fiamme, la solitudine da separazione è la stessa della Black Dhalia abbandonata da un amore disperso in guerra (“io sono solo l’altro”) che per sopravvivere vende prima il suo accento poi la dignità. Perché il Sistema (Hollywood-Società) ti fotte quando nessun altro lo fa. Ed è davvero impietosa la descrizione del ricco Emmet che ha fondato il suo impero sull’inganno e sulla mistificazione. L’ingresso del proletario The Ice nel sistema casa dei ricchi è disegnato con una delle più terribili soggettive della storia del cinema: si vede trasudare dalla pellicola l’imbarazzo e l’ipocrisia.

_________________
L'uomo vive di ragione, ma sopravvive di sogni.

[ Questo messaggio è stato modificato da: Schizobis il 04-10-2006 alle 16:13 ]

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 04-10-2006 11:28  
The Ice non sarà mai un animale politico pronto a divorare i pesci più piccoli per ambizioni carrieristiche, non sarà mai il James Woods di C’era una volta in America ma nemmeno l’oppiomane De Niro (la benzedrina la usa The Fire). Il sorriso amaro del pagliaccio si deforma nel ghigno di un folle: la degenerazione dell’espressione artistica (lo spunto è un quadro dal sorriso di Joker) porta al delirio e alla dissociazione della personalità. E qui si innesta la citazione dotta del film muto del 1928 di Paul Leni “L’uomo che ride” che richiama il testo di Victor Hugo “L’homme qui rit” citato da Ellroy nel romanzo: la deformazione dell’espressione facciale del protagonista (con orribile taglio sulla guancia) è la risposta del corpo allo schiacciamento del rimorso e del senso di colpa. Come in un quadro di Francis Bacon il dark side of the man appare in superficie in una immagine dell’orrore: e l’angelo biondo (come ha sottolineato acutamente Alzayd) alla visione del film muto stringe le mani dei suoi due uomini facendosi ponte (non tra noi, ma in mezzo a noi). Ma il vero ponte sul Bosforo non è la sensuale e dimezzata Scarlett (un misto tra Lana Turner e Veronica Lake), ma la più umile e negletta delle donne.
Il senso del film (e mi dispiace che i fan di De Palma non riescano a comprenderlo) è proprio in questo estremo tentativo di bypassare l’orrore rappresentato con una presa di coscienza etica, con una purificazione possibile solo dopo aver toccato il fondo. La Dahlia Nera è Gesù Cristo, il suo sacrificio, la sua crocefissione, il suo orribile martirio è necessario per la redenzione di chi ha occhi per vedere oltre le segnature di tutte le cose. Arriva il momento di lucidità, in mezzo alle ombre scure di cuori di tenebra. E’ proprio allora che il metafisico, almeno per un momento, compare.
Hilary Swank passa di letto in letto senza provare più alcuna emozione, la troviamo in un locale per lesbiche mentre fa la vojeur di un eccitante musical omosessuale. De Palma inquadra dall’alto un groviglio di corpi che somiglia ad una orgia, ma la sensazione è di una terra desolata, di una noia infinita che dilata il vuoto esistenziale. De Palma si autocita continuamente: le Due Sorelle, l’apparizione dello sfigurato Fantasma del Palcoscenico, la palandrana del travestito alla “Dressed to Kill”, la femme fatale, l’incontro di pugilato in Omicidio in Diretta, l’omicidio dalla tromba delle scale con volo finale nella fontana alla Scarface, buona parte degli Intoccabili (ma con un miglioramento nella analisi delle motivazioni dei personaggi), la solitudine dell’eroe di Carlito’s Way e di Mission Impossible. De Palma mette addirittura la sua firma sul fondoschiena di Scarlett (BD). Cita indirettamente L’Infernale Quinlan di Orson Welles (ma il piano sequenza sul luogo dell’omicidio è molto più breve), Mulholland Drive di David Lynch (con il medesimo omaggio a Rita Hayworth e due attori in prestito) e Sunset Boulevard di Billy Wilder , poi si permette il lusso di riprendere i due amanti attraverso un velo, in maniera metaforica (come il De Niro stordito dall’oppio nel finale di C’era una volta in America). De Palma ti ipnotizza e ti porta in un luogo senza spazio né tempo, quel paradiso luminoso che finalmente si intravede dietro una porta, ci avvolge in un mantello di immagini e con un gesto deciso, passando in maniera geniale da un incubo spezzato a metà disteso sull’erba alle labbra carnose e sensuali di Scarlett Joahnsson, ti invita dentro questo suo cinema di doppi e di pagliacci, di guardoni e di osservati, di chiacchere e di distintivi, di solitudini e tradimenti, di bianchi e di neri, ma soprattutto di sorrisi tristi. “Vieni dentro!” e quella finestra rettangolare sembra proprio lo schermo di un cinema.
Tu solo dentro la sala e tutto il mondo fuori.
_________________
True love waits...

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 04-10-2006 11:36  
The lunatic is on the grass
The lunatic is on the grass
Remembering games and daysy chains and laughs
Got to keep the loonies on the path
The lunatic is in the hall
The lunatics are in my hall
The paper holds their folded faces to the floor
And every day the paper boy brings more
And if the dam breaks open many years too soon
And if there is no room upon the hill
And if your head explodes with dark forbodings too
I'll see on the dark side of the moon
The lunatic is in my head
The lunatic is in my head
You raise the blade, you make the change
You re-arrange me'till i'm sane
You lock the door
And throw away the key
There's someone in my head but it's not me
And if the cloud bursts, thunder in your ear
You shout and no one seems to hear
And if the band yuor'e in starts playing different tunes
I'll see you on the dark side of the moon

THE END

la recensione di Black Dahlia è reperibile anche QUI http://www.cinemaplus.it/leggi-fuoricamposottoriga.asp?id=60

[ Questo messaggio è stato modificato da: Schizobis il 10-10-2006 alle 11:03 ]

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malebolgia

Reg.: 15 Gen 2003
Messaggi: 2665
Da: matelica (MC)
Inviato: 05-10-2006 02:59  
de palma in una manciata di minuti, filmando un incontro di boxe e i suoi retroscena, ci consegna la chiave di lettura di black dahlia.
nel ring e intorno ad esso c'è tutto ciò che dovremmo comprendere. tutto.
sono entusiasta.

_________________
non sono fatto per intessere rapporti.
almeno non senza fingere di essere qualcosa di altro.

[ Questo messaggio è stato modificato da: malebolgia il 05-10-2006 alle 03:01 ]

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stefano76

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 191
Da: Milano (MI)
Inviato: 05-10-2006 09:50  
Il tuo lungo commento, comuqnue, l'ho letto e mi è piaciuto molto. E' un'analisi attenta del film e della poetica depalmiana, che sicuramente dimostri di conoscere bene.

Solo che ciò che tu scrivi sembra "inquinato" da un eccessivo entusiasmo. Parli di antieroi, e sicuramente a ragione, il cinema di De Palma è zeppo di antieroi, la poetica del perdente è una delle sue preferite. Tutto ciò che hai scritto su questo film è giusto, tranne una cosa: che De Palma ha usato il romanzo di Ellroy come pretesto per mettere in scena i suoi temi e il suo cinema.

Qui secondo me sbagli e già ho spiegato il motivo: le sceneggiature pretesto le si riconoscono perchè non hanno mai grandi pretese. Vedi la sceneggiatura di Omicidio in diretta, in quel caso palesemente lo script di quel film era un pretesto per mettere in scena una tecnica sontuosa e sublime, che poi è tutto ciò su cui viene costruito il film.

Ma ne La Dalia Nera come fai ad affermare ciò? Mi sembra evidente che lo sceneggiatore, Friedman, abbia cercato di inserire ogni singolo elemento del libro, che ha finito col soffocare persino le intenzioni e le ambizioni di De Palma. Penso non sia un caso che una delle sequenze più depalmiane del film sia proprio una scena che nel romanzo non è presente, e cioè la morte di Lee sulla scalinata.

Io il film l'ho visto soltanto una volta e sicuramente lo rivedrò una seconda volta. Mi è già capitato in passato, molto raramente, di rivalutare film ad una seconda visione, ma per ora dovete accontentarvi di queste impressioni.

_________________
Redattore e moderatore di FILMSCOOP.

[ Questo messaggio è stato modificato da: stefano76 il 05-10-2006 alle 09:50 ]

[ Questo messaggio è stato modificato da: stefano76 il 05-10-2006 alle 09:54 ]

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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 06-10-2006 11:22  
Eccomi qua, spinto dalla rissa virtuale che ha accompagnato i commenti di questo film alla fine mi avete costretto ad andare a vederlo.

Tralasciando il romanzo che non ci interessa, l'attenzione dovrebbe essere rivolta al film, a meno che uno non pensi al cinema come una disciplina monca che deve soddisfare non i suoi canoni ma quelli di altre forme di comunicazione come la letteratura o il teatro.
Si deve quindi valutare il film secondo i segni che il regista ha lasciato durante le due ore di pellicola , considerare le scelte di regia e il significato che assumono per trovare la chiave di interpretazione corretta.

La soluzione ci viene mostrata subito e a questo proposito non posso che fare uno squallido copia-incolla sulle parole di Squalo:
quote:
Tutto il resto è solamente, semplicememte e magnificamente quello che Hitchcock amava definire "Mc Guffin".... un pretesto appunto. E il brutale omicidio che dà l'avvio alla vicenda altro non è che questo, e il regista lo sottolinea continuamente, a partire dal piano sequenza in travelling che partendo dal palazzo dove avrà luogo la scena (principale?)- la sparatoria - , scavalca l'edificio e riprende il luogo del delitto in CM di sfuggita, dove l'istanza narrante manovra la mdp scegliendo di seguire la donna urlante che lo ha scoperto piuttosto che mostrarcene i dettagli, ed appunto relegandolo ad un fuori campo per poi proseguire con l'azione principale. Solo al termine della sparatoria il luogo del delitto verrà riproposto, dapprima incorniciato in profondità di campo dalla vetrata di una delle finestre dell'edificio, e poi avvicinato da una carrellata in avanti rappresentante una soggettiva psiclogica del giovane ufficiale Dwight.


Quello descritto qui non è certo un virtuosismo fine a se stesso ma assume un significato preciso : è una consapevole scelta di regia che allude al fatto che la storia narrata non sarà il fulcro centrale (inutile quindi soffermarsi sull'approfondimento psicologico dei personaggi e sull'analisi della sceneggiatura) ma piuttosto il film svilupperà un'idea del romanzo di Ellroy trasformandola e piegandola agli strumenti del cinema e alla storia stessa del cinema.

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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 06-10-2006 11:22  
Non è certo un caso che il film sia pieno di citazioni e che i personaggi si muovano non come figure estrapolate dal contesto storico degli anni 40 ma piuttosto come icone dei film degli anni 40.Più che essere un film tratto da un romanzo è un film sul Cinema , che parla di cinema utilizzando gli strumenti del cinema.
Basta guardare l'insistenza della mdp sul volto di Bucky Bleichert mentre osserva al limite della commozione le immagini che gli scorrono davanti, rappresentanti la purezza del cinema e dell'unico personaggio del film che non ha scheletri nell'armadio ma è solo una vittima, la Dalia Nera.
La Dalia Nera è quindi l'essenza stessa del Cinema.

Pertanto chi considera questa pellicola nell'ottica che ha proposto stefano76 ha semplicemente ignorato i messaggi che De Palma ha seminato in tutta la vicenda , si è concentrato solo sullo sviluppo dell'intreccio narrativo (di sceneggiatura) quando lo stesso regista aveva chiaramente fatto capire con quel piano sequenza sopra descritto che forse non era il caso di farlo.

Ci sono molte scene che andrebbero esaminate ma non credo di essere in grado di farlo con una sola visione. Sarebbe interessante considerare la sequenza dell'assassinio di Blanchard e le chiare allusioni a La donna che visse due volte (il personaggio di Hilary Swank si chiama Madeleine come quello della Novak in Vertigo),per il fatto che molte scene vengono riproposte in un'ottica diversa dall'idea che si era fatto il protagonista (l'uso della soggettiva quando va a conoscere la famiglia Linscott sarà un inutile virtuosismo o una scelta con significato allusivo?) Se ne avrò voglia lo farò.

In sostanza chi si aspettava un film che emozionasse per l'intreccio narrativo ha semplicemente mancato il film, in quanto Black Dahlia è un film sul Cinema e la storia è un puro pretesto del tutto insignificante. Un'analisi attenta delle principali scelte di regia permetterà appunto di riconoscere il vero fulcro narrativo della vicenda, costruito appunto con i codici del linguaggio cinematografico (inquadrature, movimenti di macchina,montaggio).
I virtuosismi di De Palma non sono fini a se stessi ma comunicano; se così non fosse sarebbe uno dei film più scadenti della storia del cinema, un inutile esercizio di stile.
Invece è un ottimo film e lo andrò a rivedere al più presto!


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[ Questo messaggio è stato modificato da: Quilty il 06-10-2006 alle 11:59 ]

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