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Autore Film=soggettivita'????
gmgregori

Reg.: 31 Dic 2002
Messaggi: 4790
Da: Milano (MI)
Inviato: 03-05-2003 06:34  
Mallory se i miei psicologismi non c'entrano una minchia potevi anche postare e dirlo visto che ne ho scritti tanti i post sono fatti per essere dibattuti! Vero?
Fatti in bicchiere di vino che ti rilassa va?

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la bruttura del vuoto è tanto profonda fin quando, cadendo, non ti accorgi di poterti ripigliare. I ganci fanno male, portano ferite, ma correre e faticare per poi giorie è un obbiettivo per cui vale la pena soffrire.
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gmgregori

Reg.: 31 Dic 2002
Messaggi: 4790
Da: Milano (MI)
Inviato: 03-05-2003 06:40  
oppure vogliamo tutti scrivere così:


The act of seeing with one’s own eyes”, spiega Brakhage nell’intervista che ha preceduto la messa in onda, è l’etimologia del termine “autopsia”. “L’atto di vedere con i propri occhi” dentro l’uomo.

Il documento, privo di sonoro, estraneo ad un linguaggio fluido e coerente, com’è nello stile personalissimo del filmaker americano, mostra il sezionamento dei cadaveri in un obitorio.

Assistiamo allo svuotamento della carcassa, all’apertura del torace, all’apertura del cranio, all’estrazione del cervello e alla visuale, attraverso la scatola cranica vuota e il buco della gola, dell’interno del corpo, aperto e svuotato. Il corpo non ha più segreti, resta un involucro vuoto.

Brakhage insiste sul dettaglio delle dita dei cadaveri, l’unico elemento che ancora ci rapporta l’oggetto filmato ad un essere umano.

Vedere il volto accartocciato, dalla nuca, come se fosse una maschera, fino al mento, è assistere alla progressiva scomparsa della sembianza umana. Ci deve essere, c’è, un preciso istante, durante questo accartocciamento, in cui il volto umano da presenza reale, da fattezza concreta, diventa astrazione. Da volto, non volto. Maschera.

Mentre il medico chirurgo incide il cranio e solleva il volto dalla calotta per farlo scivolare fino al mento, il visibile così come lo riconosciamo – il volto, l’identità – diviene apparenza.

Ed ad ogni inquadratura si sente il pressante titolo “l’atto di vedere con i propri occhi”, non c’è volontà di trasfigurazione artistica (chi lo ha scritto, non consoce affatto l’opera e il pensiero di Brakhage) né intento scandalistico; non è neanche un documentario, benché sia tutto ripreso in diretta.

L’operazione di rivolge unicamente allo sguardo, mette in discussione, in “movimento”, delle categorie non estetiche, ma percettive-gnoseologiche, euristiche.

L’atto di vedere che guida il discorso filmico è un lento scivolare verso l’astrazione attraverso un’operazione di sottrazione di senso e di scomparsa del soggetto.

Il corpo sezionato è ancora un corpo umano, riconosciuto come tale, violato (per un occhio non medico), indagato, scrutato. Ma non è questo ciò che mostra Brakhage.

“The act of seeing with one’s own eyes” mostra dei corpi svuotati, ripuliti, raschiati via da ogni residuo di organi da mani di infermieri e dottori, mentre una pompa aspira il sangue e un’altra sciacqua l’interno della carcassa, rispolverata da una spazzola.

È il corpo che le Baccanti, nel furore orgiastico, facevano a pezzi, è il Dio della rilettura dionisiaca del mito operata da Nietzsche che si smembra e dall’Uno diviene Molteplice.

Qui l’Uno, il Soggetto – notare che Brakhage insiste nell’inquadrare i cartellini con i nomi dei defunti – scompare man mano che procede il sezionamento/svuotamento. Non è solo il cervello ad essere estratto dalla calotta, ma è il cranio a restare completamente vuoto, scatola vuota che “affaccia” attraversala gola, su un altro vuoto totale, aperto.

Al Soggetto è susseguito il Vuoto.

C’è un sentimento di pervicace blasfemia, di iconoclastia, nell’assistere, con un occhio non medico, non professionale, a questo filmato.

Non c’è nulla di scandaloso in sé nella pratica normale e di routine mostrata. Quello che muta è lo sguardo, è l’atto del vedere.

Perché il cinema (se di cinema di tratta; qui veramente è una “riproduzione di un atto del vedere”) è uno sguardo “non indifferente”, è una lettura, è una trasfigurazione suo malgrado. Il dato filmato è sempre l’oggetto più “qualcos’altro”. L’autopsia è medicina e allegoria filosofica.

Quei corpi, in medicina legale, sono corpi; su pellicola sono una la morte del Soggetto.

Quei sezionamenti sono una ricerca medica; su pellicola diventano ricerca ontologica.

Questo può accadere perché non c’è fiction. Unicamente perché non si tratta di fiction.

A chi crede che la “ricostruzione”, la finzione, avrebbe potuto sortire un effetto similare, cade in errore. Solo la realtà tout court può imprimere al materiale filmato un salto nel simbolico. Solo così può “accadere” un atto del vedere. La fiction avrebbe dirottato la riflessione verso l’allegoria, verso la rappresentazione simbolica di idee. La natura del documentario (perché così, superficialmente, si presenta) implica invece un’addizione al dato reale, una ricerca di senso. La finzione è invece già una produzione di senso compiuta. Qui il senso – l’autopsia – è già dato, appartiene alla medicina. La reazione di chi guarda è l’addizione, la ricerca del senso: ecco l’operazione euristica.

Vedere è conoscere, conoscere è ricercare. La ricerca è ricerca del senso. Il senso è nell’Universo, è Dio, è l’Uomo, è il Significato.

Qui assistiamo alla ricerca oltre ogni limite consentito, al sezionamento dell’Universo.

Brahkage, nell’intervista mostrata da Fuori Orario prima del filmato, specifica giustamente che il titolo rimanda all’autopsia, all’etimologia di quella pratica che cominciò nel Medioevo da parte di chi, sfidando la Chiesa, voleva “conoscere/vedere”, ricercare Dio altrove.

“The act of seeing with one’s own eyes” è forse il punto più alto verso cui può spingersi il cinema come strumento di riflessione e di ricerca. Ha il sapore della sfida blasfema e “immorale” oltre l’immaginabile, oltre il consentito. In questo, forse, apparentata allo spirito filosofico “sotterraneo” medievale.

Il cinema di Brakhage è stato catalogato dalla critica come “cinema astratto”, o per meglio dire “concreto/astratto”, etichetta che intende sottolineare la dialettica fondante della produzione del filmaker americano, dove gli interventi diretti sulla celluloide (scritte , colorazioni, graffi, incisioni…) si intersecano a forme, frammenti di visioni, sovrapposizioni di diversi materiali. L’astrazione del suo stile, inaugurata negli anni sessanta, è la rappresentazione di un qualcosa di non riconoscibile, il muoversi oltre il rappresentabile.

Seguendo questo schematico tracciato che accenna brevemente alla ricerca artistico/filosofica di Brakhage, si deve considerare il discorso di “The act of seeing with one’s own eyes” come una prosecuzione di questa ricerca, giunta forse, nel 1971, anno di realizzazione, ad un punto di non ritorno.

Il cinema conduce l’occhio umano oltre l’artistico, oltre quella ricostruzione della Natura che sta a fondamento della funzione artistica; percorrendo, anzi, la genesi del processo artistico/conoscitivo (“ricercare/vedere”) a ritroso, alla radice più recondita originaria.

“The act of seeing with one’s own eyes” è la genesi del pensiero, la radice della ricerca del Senso, l’impulso (percettivo, gnoseologico, eurisitco) da cui nasce il cinema come atto del vedere moderno.






Ovviamente non mio!_________________
non c'è niente di peggio di una ragazza che la pusher del proprio corpo

[ Questo messaggio è stato modificato da: gmgregori il 03-05-2003 alle 07:26 ]

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gmgregori

Reg.: 31 Dic 2002
Messaggi: 4790
Da: Milano (MI)
Inviato: 03-05-2003 06:41  
quote:
In data 2003-05-01 17:00, Tristam scrive:
il cinema e'una scienza....
mica crederte ancora che si tratti di arte...
e poi ricordatevi che comunque non si parla di cinema...
qui non stiamo parlando di registi e di fare un film, stiamo parlando di critica.
come vedi GmGregg la tua considerazione ha sbagliato soggetto....
la critica e' una scienza...una scienza umanistica, non certo arte...

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"Io è un altro"

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 01-05-2003 alle 17:00 ]

ma chi l'ha detto che parlavamo di critica, stai facendo tutto tu?
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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 03-05-2003 14:14  
si gmgregori...
sono felice che dopo il passo più lungo della gamba ti sia deciso a fare due passi indietro...
nessuno ha colto nessuna provocazione, i discorsi si evolvono, poi c'è chi imbocca le vie giuste per giungere alle possibili conclusioni e c'è chi si perde.

però mi sei piaciuto.
questo è chiaro, altrimenti perchè perdere tempo...
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OneDas

Reg.: 24 Ott 2001
Messaggi: 4394
Da: Roma (RM)
Inviato: 03-05-2003 18:19  
quote:
In data 2003-05-03 14:14, mallory scrive:
perchè perdere tempo...



questa mi sembra una bella e giusta domanda...
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tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore ?

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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 03-05-2003 22:07  
quote:
In data 2003-05-03 18:19, OneDas scrive:
quote:
In data 2003-05-03 14:14, mallory scrive:
perchè perdere tempo...



questa mi sembra una bella e giusta domanda...




presa così, sembra tuttavia, meno bella che inserita nel contesto dalla quale è stata sottratta...
chissà perchè poi?
misteri delle tacite intenzioni...
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gmgregori

Reg.: 31 Dic 2002
Messaggi: 4790
Da: Milano (MI)
Inviato: 05-05-2003 23:31  
tutto ciò non sarà mai una perdita di tempo. E anche se odio dover provocare a volte può essere utile.
Qui, pochi perdono tempo e chiarire un discorso sulla soggettività del cinema significa far funzionare i neuroni. Poi, che si abbiano punti di vista diversi... chi se ne frega. Motivo in più per usare i nostri piccoli cervellini che se sono inutili per chi non ma quest'arte cioè significa che li abbiamo economizzati ad uso e consumo degli amanti stessi!
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