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Autore Il labirinto del fauno di G.DelToro
Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 02-12-2006 19:09  
quote:
In data 2006-12-02 17:16, AlZayd scrive:
Scusa Davide, ma cosa c'entra l'impianto figurativo con la ricostruzione storica, che semmai compete maggiormente l'aspetto narrativo? A meno che non si abbiano come punto di riferimento i baracconi/fondali finto naturalistici hollywoodiani dai quali non riusciamo proprio ad emanciparci, non mi sembra che il regista non badi alla ricostruzione storica dal momento che sia sul piano della ricostruzione "filologica" di una guarnigione militare, sia su quello delle atmosfere e del quadro figurativo e narrativo complessivo (scenari naturali compresi) contribuiscono a creare un affresco di grande suggestione visiva, addirittura "sensitiva". Giusto inoltre che tale ricostruzione sia anche a fine metaforico, elemento essenziale della realizzazione, poichè è questa l'esplicita, del tutto evidente intenzione del regista, connaturata al tipo di storia che voleva narrare, dove soprattuto conta il COME la si narra. Diventa, come tu dici, elemento (secondario?) del contrasto, ma non per questo poco incisivo e significante, tra due piani opposti e che pure sono in stretta relazione tra loro, con una messinscena robusta e coerente, in cui non ravviso affatto queste "perdite di vista" di cui parli. Per me siamo al quasi perfetto equilibrio degli incastri e delle soluzioni visive e narrative, in una "partitura" assia complessa e di non facile realizzazione. Infatti, nel film di "genere" mainstreams odierno, si registrano più tonfi che buoni risultati. Un punto a netto favore di Del Toro!
Gli innesti tra i due piani (del reale e del fantastico) sono realizzati al meglio delle possibilità, evitati i soliti e risaputi flashback, il montaggio alternato, o parallelo (qui riprendo quanto già evidenziato da Penny); l'occhio di Del Toro entra ed esce con estrema disinvoltura e corenza poetica, narrativa e stilistica, dall'uno all'altro piano, senza inceppamenti, scollaturei nè pesantezze o leggerezze di sorta. Ma la mia parola, vale quanto la tua, solo che da "accusatore".., tocca principalmente a te provare i tuoi capi d'accusa, o sospetti... E non c'è nulla nel tuo dire che rappresenti una prova certa, se non anche una sorta di (anche legittimo, ci mancherebbe, val per tutti) compiaciuto gusto per la parola fine a se stessa. Se non ti ha preso il film è un conto; cercare di trovarci cose inesistenti (sempre a mio parere), un altro paio di maniche. Il film, fino a prova contraria, e possibilmente meglio circostanziata (non si manda in galera un "indagato" su basi probatorie deboli e frutto di suggeestioni private), resta "innocente".

Affermi "Ciò che intendo è che i piani narrativi non conciliano alla perfezione, rivaleggiano fino a quando uno viene promosso all'attenzione, e poi nuovamente superato da quello che dietro aspetta."

Ma è il gioco dichiarato, logico, dell'autore, una precisa scelta narraviva. Nell'alternarsi, i due piani non perdono in alcun modo il proprio senso, nè le valenze poetiche ed espressive. Non c'è rivalità, un disequilibrio, ma una cotrapposizione ben progettata e relaizzata, corente, tra il piano della realtà e dell'immaginazione. E' la caratteristica del film, un espediente narrativo assolutamente efficace e pregnate che anzi conferisce originalità all'opera. E' scegliere di non usare i soliti flashback e montaggi alternati, o paralleli, come già detto, che nel cinema di genere sono inflazionati, scontati, stravisti, male e banalmente usati.

"Ci sono personaggi a cui corrispondono veri e propri piani narrativi, quasi in soggettiva essi raccontano la loro posizione e con questa, quella degli spettatori. Insomma l'attenzione anzichè focalizzarsi sull'azione si cocnentra sui personaggi che la compiono e non incidono in fondo sul tema centrale del film (quanto sulla loro immagine, ora codarda, disperata, torturata, sospettata): la fantasia perturbata dalla realtà. In questo senso credo che l'incastro ben congegnato che si viene a creare formi due puzzle separati, talmente opposti da non riuscirsi a contrapporre neanche, quello della realtà e quello della fantasia appunto. "

Quanto sopra detto vale anche par quanto riguarda i personaggi e la loro caratterizzazione. E' del tutto evidente, è direi che è proprio così che doveva anadare, che non sarebbe stato affatto utile approfondire la psicologia, ad esempio, del "fratello" guerrigliero, o d'altri personaggi di contorno, o secondari, dato il soggetto e la sceneggiatura, la scelta narrativa. In tale ipotesi il film sarebbe diventato una saga, un'epopea, una fiction interminabile... In fondo il Labirinto è una favola, con tutti gli "stereotipi" - che non guastano, anzi... - emblematici, metaforici, esemplari, del caso. C'è grande coerezza e senso della sintesi, anche su tale aspetto, nel Labirinto. Non serviva approfondire il singolo ribelle, ma, come è stato giustamente fatto, occorreva per l'appunto mettere in risalto il significato metaforico, oltre che funzionale alla storia, dell'intero gruppo di resistenti che agisce a sorpresa, nell'ombra, che sappiamo esiste e che tanto basta. L'azione non si concretiza ed esaurisce sui personaggi, ma è dal personaggio che parte la storia che non ha un solo punto, tema centrale, bensì, dicotomicamente, e pure posti in strettissima ed organica relazione, più punti di vista e piani narrativi e simbolici di lettura. Vedi anche quanto asserito nella mia ecensione.

A mio avviso anche con la Spina del diavolo non hai centrato l'essenza di un film che trovo davvero splendido, prezioso, raro, ben scritto, girato, interpretato, messo in scena. In subordine.., la perfezione.., è una chimera, inutile cercarla in queste lande, di questi tempi...

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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

[ Questo messaggio è stato modificato da: AlZayd il 02-12-2006 alle 17:28 ]

Comprendo e apprezzo ciò che dici, a partire dalla netta smarcatura che il film si ritaglia dal mainstream di genere più stantio e putrescente. Credo però che, considerato il mio apprezzamento parziale dell'opera, sufficente, senza infamia nè lode, vi sia un fattore di non completo convincimento, nella maniera sopra esplicata. Il tuo punto di vista è entusiasta e coinvolgente, ma il mio pur essendo rimasto a sua volta meravigliato dal mondo fittizio che Del Toro ricrea, ha appunto rilevato questo 'sottotono' dell'impianto figurativo, che crea, nel momento in cui l'attenzione del film si concentra sulla 'realtà' un periodo di stanca, di arrancamento della narrazione causato dai 'tipi' senza sviluppo, che se non scavati psicologicamente, potevano trovare almeno una redenzione nei propri ideali, come fa Ophelia nella fantasia, che addirittura sconfigge la morte (segno a mio avviso di poca finezza, sottigliezza nel tratteggiare il reale). Quindi credo che la sensazione che il film si trascini durante la porzione 'reale' badando a troppe 'voci fuori dal coro', sia dovuta come ho già scritto ad un impianto figurativo che anzichè favorire il progresso della narrazione, lo fa sedimentare, fermentare sempre nello stesso luogo in cui Ophelia cova la sua immaginazione. Credo che qui vi sia la netta separazione fra i due piani, e fra gli stessi due impianti figurativi, quello che caratterizza gli incontri casuali, le uccisioni, le prepotenze e i sotterfugi del reale, da quello dipinto, magico, fuggevole e virginale del sogno, biforcandosi e non incontrandosi più se non nel finale conciliatore delle due metà. Ma solo questo bellissimo finale, che racchiude insieme la metafora, sigillandola, porta quell'equilibrio perfetto cui il regista voleva arrivare. Il resto come ho già scritto procede per la propria strada, catturando lo spettatore soprattutto per la cura favolista, empatica e figurativa che il lato fantastico presenta, e non tanto per il contrario. In conclusione ho trovato, sul piano concettuale, il lato del reale 'arrancare', mentre quello della fantasia 'scorrere' placidamente. L'incastro del montaggio è perfetto, ma credo che alcuni tasselli siano bianchi o altri uguali ad altri, sta alla fantasia riempire e perfezionare l'immagine finale, che comunque vede una netta supremazia di figurine reali piuttosto che tenebrosi varchi immaginifici.
Comunque ho afferrato qual'è la tua posizione, ho puntualizzato qui ciò che penso, ma credo possano essere condivisibili entrambe a seconda che il film abbia appieno convinto o solo in parte
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La ragione è la sola cosa che ci fa uomini e ci distingue dalle bestie

René Descartes

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 02-12-2006 21:25  
Credo che questo film si ritagli un posto d'onore non solo tra i film marchettari, ma anche tra le migliori opere, più o meno recenti, del genere fantastico.

Aldilà degli entusiasmi, emozioni ed umori, proiezioni e gradi di identificazione personali, si tratterebbe di stabilire se esiste un dato un minimo oggettivante e riconoscibile, fatta una breve analisi dello script e della messinscena. A mio avviso tu non hai centrato il senso del film, ma potresti dire a me la stessa, giustamente. Cerchiamo di capire almeno ciò di cui parliamo, senza rigide contrapposizioni, cosa che peraltro stiamo facendo.
In parole povere tu avresti voluto l'approfondimento del piano "reale" della storia che, per quanto sia vero che non raggiunga vette bergmaniane, resta tuttavia tutt'altro che un aspetto marginale e mal costruito nell'economia dei significati e dei flussi narrativi.
Forse perdi di vista che il film è essenzialmente - mi ripeto - una favola che trae dalla realtà (dal quel piano oggetto della tua contestazione) i suoi motivi di astrazione, immaginazione, feconda e visionaria, superba inventiva, nel classico gioco degli steriotipi che però nel Labirinto non si limitano - come nel cinema usa e getta - a rappresentare un mero e occasionale riempitivo, un espediente qualsiasi, un pretesto per raccontare una storia de paura, fantasia, horror, ecc.
No. E' nell'asciuttezza, negli immediati e sempici significati (anche frutto di un preciso atteggiamento ideologico, quindi di parte, e perchè no? si parla mica dele malefatte di Prodi e Berlusconi.., ma di una immane tragedia, quella della guerra civile spagnola, che comprensibilmente ci appassiona, coinvolge, ci fa sentire sdegnati, di parte, allorchè De Toro è molto sensibile a tale argomento presente anche in La spina del diavolo)che non sono semplicistici, la forza di questo film in cui il piano della realtà trasferisce, senza intoppi, cacofonie e caciarate varie, su quello dell'immaginazione - non soffocato da un carico di questioni inutili - i proprio orrori, a questo punto esorcizzati, trasfigurati dal "sogno" di Ophelia. Tanto più è leggera la parte del reale, tanto più appare forte ed efficace a tale riguardo, sul piano della risposta immaginifica. E qui del Toro è bravissimo nel creare tensione e suspense, senso dell'azione, della narrazione, della poesia senza caricare in eccesso nessuno dei due piani. Sta in ciò l'equilibrio di cui parlo. La forza del piano reale non soffre del mancato approfondimento, anzi se ne avvantaggia, perchè nell'eccessiva caratterizzazione dei personaggi e nell'inutile approfondimento delle questioni politiche, militari, ideologiche, storiche, testuali, letterarie, ecc, ne sarebbe venuto fuori uno zibaldone indigesto e confuso, pesante, tipo i Fratelli Grimm di Gilliam o I figli degli uomini di Cuaron (genere diverso quest'ultimo, ma è tanto per rendere l'idea).
Il piano del reale resta, nella sua essenzialità, un efficace elemento della narrazione e della metafora.

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Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 02-12-2006 23:33  
Hai colto ciò che intendevo a proposito del piano della 'realtà'. Se il regista intendeva esprimersi, pronunciarsi in e su questa dimensione a mio avviso doveva ricorrere ad un metodo più soffuso, che non consentisse allo spettatore di percepire il netto, drastico trapasso che c'è fra realtà e sogno. Credo che a partire dall'immaginario figurativo di cui si è parlato e dalla narrazione che in esso investe la sua cruda immanenza, la sua viltà, i suoi tipi rimandanti all'arsenale corrottamente umano, il regista perda piano piano di vista il legame che Ophelia esprime tra realtà e sogno. Si dedica di più alla realtà senza penetrarla nel significato, limitandosi forse troppo al significante di squallore e degrado morale condotto dalla guerra, in funzione del connubio finale rappresentante il riscatto dell'uomo a partire dal suo fiorire infantile e virginale. Credo che questo aspetto sia quello meglio trattato, proprio perchè esprime in maniera indissolubilmente legata il reale e l'immaginario, insieme ma slegati, con il corpo in uno ma la mente nell'altro, in un matrimonio funereo simbolo di ogni uomo.
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René Descartes

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 03-12-2006 11:57  
Rapidamente, non posso dilugarmi, poi magari ci torno su meglio, credo che a te sfugga il fatto che Del Toro, nel Labirinto, come nella Spina, lavori di sottrazione (dunque di fino) e non per accumulo. Così come ci ha abituati il cinema "hollywoodista". Forse dovrenno ampliare i nostri orizzonti visivi, ma non mi riferisco a te che sei sempre propenso ad una variegata moltitudine di visioni. E' per questo che mi lascia un po' basito il tuo goiudizio "senza infamia nè lode", la più "crudele" delle sentenze, visto poi che il Labirinto, ammesso e non concesso che i limiti da te evidenziati siano plausibili, nonostante ciò, resta un'opera di rara e fragrante sensibilità. A presto.
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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 03-12-2006 12:15  
Su questo non v'è dubbio, anzi scrivendone il pezzo mi sono reso conto che la valutazione aumentava con l'elaborazione di determinati concetti a caldo rimasti un po' troppo sospesi in aria.

La sottrazione di Del Toro è sensibile e ammirevole, proprio in qualità del discostarsi dai canoni semplicisticamente accumulativi del cinema mainstream. Credo che l'impianto figurativo e narrativo del 'reale' dal primo condizionato continui a soffrirne però. Così come gli assunti interlocutori alla narrazione che tendono a ribadirsi.

Ma qui di seguito posto il pezzo virato al positivo :

Quando Ophelia attraversa e supera il mondo brutale che le sta intorno per raggiungere il Fauno, quella strana creatura repellente e amabile allo stesso tempo, siamo tutti un po’ lei, nel trapasso, la dipartita delle preoccupazioni immanenti ed il completo abbandono alla fantasia del tempo. La luce che emana è avvolgente anche per noi spettatori, candida e virginale come l’arredo di una stanza dove la guerra si medita, si organizza intelligibilmente, lei illumina i piani e ai nostri occhi sembrano vacui, assurdi di fronte alla bellezza che sta nella fantasia di una bambina, all’incorruttibilità del suo animo forte e labile al contempo. Resistere alle incredibili barbarie cui Guillermo Del Toro ci rende spettatori è difficile per noi ma sembra quasi abituale e irrilevante per Ophelia, portatrice di un nome shakespeariano che la conduce a immaginare una storia di coraggio, ferree regole, finalizzata al recupero dell’immortalità umana. Un incarico inaspettato ma che si confà perfettamente allo spirito creativo e impavido dell’età infantile, capace di muovere massi e animi arrugginiti con la sola forza di un pianto o di un grido trattenuto. Ophelia invece sprizza solerzia da ogni poro, consapevole della responsabilità che ha, si sente la prescelta, la futura regina di questo incredibile viaggio oltre i confini della realtà, che potrà, forse, concludersi solo con l’approdo all’età adulta, quella che richiede coraggio soprattutto nella vita quotidiana, nel continuo arrangiarsi esistenziale.
Questo “scampare” ai drammi, alle contraddizioni del mondo in superficie è tipico e condiviso dalle maschere di contorno di cui Il labirinto del Fauno si impossessa, tipi fissi che hanno l’esclusivo compito d’incarnare le diverse connotazioni dell’animo umano di fronte alla guerra, alla morte ed alla sopravvivenza. Come se il regista, che assume il punto di vista sia dei buoni che dei cattivi, redimendo i primi e affossando i secondi, volesse che fosse ben chiaro il fatto che tutte le figure positive del suo film valgono come proiezione del ben costruito carattere di Ophelia, in tutte le sue scanalature comportamentali. Ognuno di questi tipi asserisce il proprio univoco modus operandi, quell’unico mezzo attraverso cui tenta di raggiungere il fine più propizio e meno svantaggioso. La preghiera sembra essere l’unico strumento valido di salvezza, la remissività con cui gli attori si specchiano nell’oblò della macchina da presa è sintomo di estrema sudditanza ai fenomeni negativi di cui il mondo è abituale scenario e per cui anche ciò che sottostà ad esso appare oscuro e anfrattuoso, minaccioso e mistico.
La realtà sfrenata che Del Toro rappresenta è penalizzata però da un’eccessiva smania di realismo, di plasticità e cura degli elementi scenici e più superiormente dell’intero impianto figurativo, che già nel precedente La spina del diavolo appariva innaturale, simulato, sintetico. Qui l’aspetto viene ridimensionato da una miglior cura dell’impianto narrativo fantastico, appartenente ad immaginari evasivi burtoniani e bakeriani, da Big Fish concettualmente a Cabal esteticamente. Il divario netto, il contrasto si espleta proprio nella sublimazione all’incompatibilità teoretica di realtà e sogno, all’incastro formale di montaggio ma al suo impossibile riempimento matrimoniale. Infatti il connubio finale tra il sogno e la realtà, la rincorsa labirintica che avviene sulle note conclusive di quest’opera cupa, imperfetta ma fortemente pulsante, è quello tanto atteso, di sogno e realtà, di fuga dell’uno nell’altro, di interscambio narrativo ed estatico risolvimento. Le soluzioni formali si adeguano al concetto espresso, alla soluzione concettuale che ci fa rimpiangere di non essere più Ophelia, di non poterci più schierare.
Così se Del Toro non va tanto per il sottile, concedendo al piano della realtà eccessivo e spurio spazio estetico-tipologico, il risultante è qualcosa di trainante e magico, che dura a sprazzi ma che si fa sentire, vivo, come un albero dell’immortalità che non può più donare i suoi frutti.

presto pubblicata qui

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L'intelligenza mi nausea.

Bruno Dumont

[ Questo messaggio è stato modificato da: Cronenberg il 03-12-2006 alle 12:34 ]

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 04-12-2006 14:18  
quote:
In data 2006-12-03 12:15, Cronenberg scrive:
Su questo non v'è dubbio, anzi scrivendone il pezzo mi sono reso conto che la valutazione aumentava con l'elaborazione di determinati concetti a caldo rimasti un po' troppo sospesi in aria.

La sottrazione di Del Toro è sensibile e ammirevole, proprio in qualità del discostarsi dai canoni semplicisticamente accumulativi del cinema mainstream. Credo che l'impianto figurativo e narrativo del 'reale' dal primo condizionato continui a soffrirne però. Così come gli assunti interlocutori alla narrazione che tendono a ribadirsi.

Ma qui di seguito posto il pezzo virato al positivo :

*.............. La realtà sfrenata che Del Toro rappresenta è penalizzata però da un’eccessiva smania di realismo, di plasticità e cura degli elementi scenici e più superiormente dell’intero impianto figurativo, che già nel precedente La spina del diavolo appariva innaturale, simulato, sintetico....... *





Mi fa piacere che in una discussione che fugge i muri dell'ostinata ed oltraggiosa prevenzione, e contrapposizione a prescindere.., si possa confluire in una sostanziale condivisione, pur con qualche scarto di cui alla tua frase tra asterischi che non riesco ad afferrare pienamente. Lo spiegheresti un po' meglio? e scusa se abuso della tua pazienza. A spanne, in entrambi i film, non mi è sembrato di riscontrare, per riassumere, il dato "sintetico". Al contrario, anche la robusta messinscenza "cinefila" di La spina del diavolo - un film di grande carattere, splendidamente interpretato da un cast attoriale di primissimo livello; semplicemente deliziosi i piccoli "gosses du college" - che si avvale di una mescola di generi (gotico, gost story, fantastico, con delle suggestioni da western: vedi le lunghe inquadrature sulle sconfinate e desolate "praterie" spagnole, anche inquadrate dall'interno di una casa attraverso una porta aperta sul vuoto, nulla, sulla implacabile solitidine, sicuro rimando a Sentieri Selvaggi, pur senza rappresentare una mesta scopiazzatura) mi è sembrata capace di coniugare con grande senso dell'equilibrio e della poesia, con intelligenza, i piani del reale e dell'immaginazione, dove anche qui l'uno agisce in funzione dell'altro senza evidenti stridori.

**maschere di contorno di cui Il labirinto del Fauno si impossessa, tipi fissi che hanno l’esclusivo compito d’incarnare le diverse connotazioni dell’animo umano di fronte alla guerra, alla morte ed alla sopravvivenza.**

Ottimo, questo, come la tua rece nel complesso, si avvicina alla mia idea degli "stereotipi", o figure retoriche (che tu chiami giustamente maschere), su cui ho detto meglio, che fanno parte del "genere" -elementi di forte e netta contrapposizione, il bene e il male ben individuati e tenuti separati, ed anche interconnessi, in uno scambio di valenze narrative e simboliche senza soluzione di continuità, come avviene in tutte le favole - così come ricorrono certi stilemi retotico-emblematici nel teatro classico, scespiriano, e greco.

Si discuteva altrove del Labirinto e vorrei citare questa significativa frase di un partecipante alla discussione che mi piace molto, che naturalmente condivido e che riassume il senso della mia diffidenza verso coloro che intendono speculare in negativo sugli aspetti tramici non chiariti (o forse verosimilmente da costoro non capiti), affamati di logica e verosimiglianza a fronte di un genere che non può e non deve fornire. A meno che non si tratti del solito filmazzo mille volte viste che gioca sull'accumulo a vantaggio del pubblico che ama la pappa pronta e digerita, che scambia il sentimentalismo e l'emozionismo automatici, "i più scaltri luoghi comuni del sentimento" (cit. "papino" L.B.) per turgido e vibrante stupore, che alberga nelle "segrete dimore" dell'Es e della Coscienza.

"Avevo letto di persone che stigmatizzavano l'esasperazione delle figure storiche, ma [...] queste persone non hanno capito la favola nera, perchè l'orrore delle narrazioni gotiche è lì nella realtà, di cacciatori che devono estrarre cuori, di genitori crudeli, di lupi famelici l'infanzia è piena, a volte ce ne dimentichiamo."


[ Questo messaggio è stato modificato da: AlZayd il 04-12-2006 alle 14:27 ]

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Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 04-12-2006 14:51  
Per quanto riguarda l'aggettivazione "sintetico" mi riferivo al suo significato meno frequentato, quello materiale: artificiale. Questo mi pare di comprendere sia l'unico scarto sensazionistico rilevato differentemente. Per il resto sono perfettamente d'accordo con l'analisi dei tipi che in un certo senso rappresentano quell'univocità identificativa propria dei bambini, per cui o è bianco e nero, o è cattivissimo o è buonissimo. Interessante concetto anche se appunto a mio avviso poco interscambiabile a livello formale e narrativo, i due nodi che s'incontrano giusto nel finale, nella rincorsa unificatrice di sogno e realtà.
Così la sospensione narrativa, come hai detto, e riportato all'attenzione giustamente l'affermazione di Bunuel, è quanto di più necessario nelle favole, pressapoco il primo elemento di astrazione con cui i bambini entrano in contatto. Quindi se il film si propone di raccontarne una, è giusto che non rettifichi tutto, perchè quello è il compito riservato ai nostri sensi e alle nostre membra, emozionandosi e riflettendoci sopra.

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L'intelligenza mi nausea.

Bruno Dumont

[ Questo messaggio è stato modificato da: Cronenberg il 04-12-2006 alle 14:53 ]

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stilgar

Reg.: 12 Nov 2001
Messaggi: 4999
Da: castelgiorgio (TR)
Inviato: 04-12-2006 17:01  
Ho visto il film ieri sera e voglio dire due cose:
-il film si lascia vedere, ha un'ottima fotografia e trovo che l'aspetto fantasy della vicenda si incastri bene nell'intreccio "reale". Niente di più. Il personaggio del capitano è davvero didascalico e troppo marcato ed anche io ho trovato che Del Toro abbia cercato di far convergere un po' troppi piani narrativi( la resistenza, l'esercito, il dramma di una madre e sua figlia, il mondo sotterraneo) finendo per creare un po' di superficialità nel trattarli tutti.
-quando uscì il Signore degli Anelli tutti si sono subito affrettati a trovare i difetti di quella pellicola, ma osservando il fantasy da quel momento in poi, mi pare indubbio osservare che quello di Jackson è destinato a diventare un capostipite assoluto.
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Profundis - L'anima nera della rete

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DiTraverso

Reg.: 02 Gen 2006
Messaggi: 409
Da: Bruino (TO)
Inviato: 04-12-2006 22:04  
quote:
In data 2006-12-04 17:01, stilgar scrive:
Ho visto il film ieri sera e voglio dire due cose:
-il film si lascia vedere, ha un'ottima fotografia e trovo che l'aspetto fantasy della vicenda si incastri bene nell'intreccio "reale". Niente di più. Il personaggio del capitano è davvero didascalico e troppo marcato ed anche io ho trovato che Del Toro abbia cercato di far convergere un po' troppi piani narrativi( la resistenza, l'esercito, il dramma di una madre e sua figlia, il mondo sotterraneo) finendo per creare un po' di superficialità nel trattarli tutti.
-quando uscì il Signore degli Anelli tutti si sono subito affrettati a trovare i difetti di quella pellicola, ma osservando il fantasy da quel momento in poi, mi pare indubbio osservare che quello di Jackson è destinato a diventare un capostipite assoluto.


Senza offesa ma non trovo cosa centri ISDA con il Fauno
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Papa', tu sei come Babbo Natale e Topolino messi insieme: cosi' incantevole e cosi' finto...". (da "Big fish")

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bunch311

Reg.: 20 Gen 2005
Messaggi: 430
Da: roma (RM)
Inviato: 05-12-2006 19:17  
a me sembra che il reale,la situazione storica siano del tutto pretestuose,siano cioè il fondale necessario per mettere al centro dell quadro il bisogno della fantasia,dell'immaginazione,anche come possibilità ad una realtà sempre correggibile,cambiabile.

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"tutti sognamo di tornare bambini,anche i peggiori di noi,anzi forse loro lo sognano più di tutti" il mucchio selvaggio

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 06-12-2006 00:42  
Ciao Stil, in effetti l'hobbit col fauno centra poco e niente...


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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 06-12-2006 16:53  
IL LABIRINTO DEL FAUNO di Guillermo Del Toro (IperGuernica ovvero c’è del marcio nella Spagna Franchista)

Difficile inquadrare criticamente un film del genere, così follemente visionario e nello stesso tempo così freddo nella rappresentazione di una violenza cieca e assoluta. L’altalena del dolce amaro continua con la stupenda cura del particolare nell’ambientazione fantastica e la consistenza trasparente di certi personaggi (penso alla remissiva madre di Ofelia, a Mercedes, allo stesso capitano Vidal Sergi Lopez così improbabile nella sua ottusa malvagità) di fronte all’evolversi degli eventi della cosiddetta vita reale. Spariscono i simboli, spariscono le metafore, i suggerimenti, gli abbozzi, le catarsi psicologiche. Tutto è rappresentato cosi come è nella sua crudezza, nella sua informe massa primordiale, e la vita fantastica sembra scorrere su binari paralleli a quella riguardante la resistenza al regime di Franco nel periodo della II guerra mondiale. E non sono d’accordo con chi vede nella discesa dentro il labirinto del fauno una sorta di fuga da una realtà opprimente e sanguinaria: nel mondo della fantasia vi sono mostri, rospi, buio, fango, insetti striscianti, mandragole e fauni bifronte. Le prove sono difficili, i trabocchetti ad ogni angolo e la disobbedienza l’unica arma sovversiva capace di spezzare l’incanto di questa magica costruzione. La piccola Ofelia (bravissima davvero anche in rapporto alla giovanissima età) fa quasi sempre di testa sua: prende delle decisioni a volte d’istinto (la chiave nella serratura giusta), a volte avventate (il mangiare dei chicchi d’uva), ma è determinata nel ruolo che le è statao assegnato e pronta ad un sacrificio estremo che comunque non riesce a giustificare ed emendare tutto l’orrore reale che abbiamo fin qui vissuto.

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Schizobis

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Da: Aosta (AO)
Inviato: 06-12-2006 16:53  
L’errore di Del Toro è volere soffermarsi sull’ingrandimento maniacale della violenza degli uomini in guerra accompagnandolo con un percorso di iniziazione e di crescita di una bambina che studia da principessa delle favole. Non solo le torture, le vessazioni, le crudeltà fisiche e psicologiche non vengono in qualche modo “salvate” dal sacrificio di Ofelia, ma la sensazione è che lo stesso mondo fantastico di fronte a questo inferno medioevale, a questa notte della civiltà, si rimpicciolisca e perda di importanza. La sensazione è di suscitare altra violenza, in un circolo vizioso che ricorda le grandi tragedie Shakespeariane. L’orrore di Guernica è un quadro maestoso in cui uomini animali donne e bambini sono calpestati e smembrati, divorati da Saturno, inglobati in un buio che solo un tenue raggio di luce può rischiarare. Il sonno della ragione genera questi fascisti franchisti che si guardono allo specchio, si radono con meticolosa attenzione e tengono in pugno il tempo, stringendo un orologio tra le mani. Ma verrà anche per questi il redde rationem, purtroppo per mano di altra violenza, in un circolo vizioso dal raggio infinito.Si muore di parto, si sfonda un cranio a bottigliate, si spara il centesimo colpo sui cadaveri, un antibiotico svela il tradimento, si segano gambe e si torturano corpi con arnesi medioevali. Tutto è cupo, deformato, mostruoso; tutto è senza ritorno, irreversibile, senza via d’uscita. Altro che Tim Burton, in certi passaggi sembra invece di essere dalle parti di Salò di Pasolini, con i corpi martoriati e sfigurati a ricordare l’inferno dei viventi. Peccato che Del Toro abbia la mano pesante, forse un tocco più leggero avrebbe consentito una elevata qualità, forse una narrazione per sottrazione avrebbe bilanciato le due parti.. O forse tutto quello che vediamo è il sogno di una bambina agonizzante che tramuta il proprio calvario in favola? O forse il percorso mostrato è la fine dell’infanzia e l’entrata definitiva nel mondo degli adulti? O forse come nella Vita è bella, si cerca di dare un senso anche alla follia della guerra e alle sue stragi di innocenti? O forse c’è del marcio in Spagna, e Ofelia respinta da Amleto, non può che lasciarsi morire?Del Toro aveva tante possibilità di fuga persino quella di una trasposizione dell’inconscio (e la possibilità di gettare un ponte tra i due mondi). Invece il buon Guillermo si perde nel labirinto della rappresentazione iperestetizzante, della sacra inquisizione e non trova più il filo di Ofelia di uno sguardo più ironico e distaccato. Aveva tra le mani il capolavoro ma commette il peccato di presunzione di assaggiare i due chicchi d’uva e di fermarsi alle porte della verità.

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AlZayd

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Inviato: 06-12-2006 17:38  
Ma del Toro voleva raccontare una "favola" nera, con tutti gli ingredienti, figure retoriche e favolistiche, immaginario, paradigmi del "genere", con i toni della "tragedia" (scespiriana, greca, come già detto), i quali tuttavia emergono, ma di soppiatto, a latere, sullo sfondo, per quanto elementi importanti, e dove tutte le tue buone suggestioni e speculazioni a monte e a valle ci stanno pure, nel complesso, vado rapido, non analizzo tutto, ma non diventano a mio avviso elementi di giudizio critico oggettivante. Nei toni ed esplicitazioni nella compiutezza da te prospettata e auspicata, sembra configurarsi un canovaccio del "film" mentale che avresti voluto girare tu... Ma lui è del Toro, tu Schizo..; lui voleva evocare un immaginario che contenesse echi da tragedia/teatro classica, non rappresentarne una tale e quale. Del Toro snobba il testo letterario, lo riduce a pura istanza "immaginifica, visiva, visionaria. Ah.., certe debolezze di noi "critici" un po' invidiosi e frustrati dal fatto che non siamo crea_tor(o)i...

La mano leggera del suo autore è la principale virtù di questo film, che altrimenti sarebbe stato una "harrypottata, o un "signore degli anelli", qualsiasi. Gìà detto che del Toro - al contrario di questi due film non a caso citati, esemplari del "genere" fantastico, o fantasy, favoloso.., o come minchia preferiamo classificarli, che pagano un pegno salato alla letteratura e che sono messaggio testulae, soprattutto, e contro le apparenze, in funzione di una messinscena affastellante dagli effetti speciali grandiosi ma industriali, fatti in serie come i giocherelli di plastica - procede per felice sottrazione e non per accumulo.
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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
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Da: roma (RM)
Inviato: 06-12-2006 18:05  
quote:
In data 2006-12-06 16:53, Schizobis scrive:
O forse tutto quello che vediamo è il sogno di una bambina agonizzante che tramuta il proprio calvario in favola? O forse il percorso mostrato è la fine dell’infanzia e l’entrata definitiva nel mondo degli adulti? O forse come nella Vita è bella, si cerca di dare un senso anche alla follia della guerra e alle sue stragi di innocenti? O forse c’è del marcio in Spagna, e Ofelia respinta da Amleto, non può che lasciarsi morire?



O forse, come ipotizzato e meglio spiegato nella mia rece, è, metafora di quella, il tionfo dell'arte (sulla barbarie). Il film va oltre il messaggio testuale apparente, si presta a diverse e molteplici interpretazioni. Palusibili anche le tue, ma troppo legate a ciò che si capta a prima vista. Hai ragione, non è Burton, quantunque viva anche Burton e la sua poetica più abbordabile, e trovo plausibile anche l'accostamento a Salò, solo che nel caso di Pasolini la realizzazione è praticamente una tragedia nei contenuti, significati e nell'approccio formale. Il paragone con la Vita e bella non regge a mio avviso. Un'idea che li accomuna larvatamente, e solo quella, non basta per poter tracciare delle linee parallele. Due mondi cinematograficamente e filosoficamente diversissimi.

quote:
[i]Del Toro aveva tante possibilità di fuga persino quella di una trasposizione dell’inconscio (e la possibilità di gettare un ponte tra i due mondi). Invece il buon Guillermo si perde nel labirinto della rappresentazione iperestetizzante, della sacra inquisizione e non trova più il filo di Ofelia di uno sguardo più ironico e distaccato. Aveva tra le mani il capolavoro ma commette il peccato di presunzione di assaggiare i due chicchi d’uva e di fermarsi alle porte della verità.




C'è la rappresentazione dell'inconscio, in maniera evidente e profonda. Non è un film iperestetizzante, al contrario, poi, beh, ciascuno giustamente percepisce come crede.
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