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Autore Vicky Cristina Barcelona
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 17-10-2008 20:46  
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In data 2008-10-17 20:12, Fakuser scrive:
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In data 2008-10-17 20:09, AlZayd scrive:
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In data 2008-10-17 19:24, Fakuser scrive:
ma poi

"vicky cristina barcelona " è un asindeto o che?






Ma parla come magni!



ha parlato "er casalingo de valmontone ".......




Vabbè.., però asindeto ce sarai!
_________________
"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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Fakuser

Reg.: 04 Feb 2005
Messaggi: 2656
Da: Milano (MI)
Inviato: 17-10-2008 20:50  
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In data 2008-10-17 20:46, AlZayd scrive:
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In data 2008-10-17 20:12, Fakuser scrive:
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In data 2008-10-17 20:09, AlZayd scrive:
quote:
In data 2008-10-17 19:24, Fakuser scrive:
ma poi

"vicky cristina barcelona " è un asindeto o che?






Ma parla come magni!



ha parlato "er casalingo de valmontone ".......




Vabbè.., però asindeto ce sarai!


?
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Silencio...

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 17-10-2008 20:59  
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In data 2008-10-17 12:46, Lollina scrive:
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In data 2008-10-16 19:02, Fakuser scrive:
ma non ho capito.. vi fidate di Alza(la)minchianofallotucheiononciriesco..... aspettate di vederlo no?




Vabbè Fak, ma è ovvio che non mi adagio solo sulla critica di Alzayd, però a quanto ho letto in giro è stata una mezza deluzione per tutti.
Lo andrò a vedere comunque, forse apsetterò che esca in dvd.




In effetti, dopo l'anteprima (due in un giorno) il numero di chi strorceva il muso e iniziava a parlare del film con un uhmmm.., tra cui anche i fedelissimi di Allen, surclassava abbondantemente il numero di quelli a cui il film era piaciuto.

Questo però non importa, a mio avviso è sempre ben fatto cercare di scoprire in proprio se un film potrà piacerci o meno.
Il mio suggerimento, anche se il film non mi è piaciuto, è vai a vederlo. Al massimo avrai speso qualche euro che valgono il rischio.
_________________
"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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eltonjohn

Reg.: 15 Dic 2006
Messaggi: 9472
Da: novafeltria (PS)
Inviato: 17-10-2008 22:41  
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In data 2008-10-17 17:57, Lollina scrive:
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In data 2008-10-17 15:05, eltonjohn scrive:
Oggi me lo andrò a vedere

P.S.
Non ascoltate Alzagna, Melinda & Melinda è un ottimo film....

[ Questo messaggio è stato modificato da: eltonjohn il 17-10-2008 alle 16:12 ]



Hai modificato apposta il messaggio per scrivere Alzagna invece di Alzayd?
Complimentoni



E che c'è di male...mi suonava bene!

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eltonjohn

Reg.: 15 Dic 2006
Messaggi: 9472
Da: novafeltria (PS)
Inviato: 17-10-2008 22:50  
Sinceramente non riesco a vedere l'utiltà di questo film. Una storia del genere a base di soliti ricchi e pseudointellettuali newyorchesi annoiati, poteva tranquillamente essere girata direttamente a Manhattan, perchè scomodare Barcellona?
Un film "scarso" che si salva un po' grazie alla bravura degli attori (soprattutto Penelope) ma che davvero non ha nulla da dire.
L'insolita ambientazione catalana non basta da sola a rendere questo film appena un po' più originale.
A parte Match point gli ultimi film di Allen sono assolutamente perdibili e questo più di tutti
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Riminesi a tutti gli effetti...a'l'imi fata!

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moxfurbona

Reg.: 04 Mar 2003
Messaggi: 1194
Da: lucca (LU)
Inviato: 18-10-2008 12:40  
A me Allen non diceva nulla, cioè un regista come ce ne sono tanti, con un humor che può piacere come no (e a me non piaceva) e effettivamente un po' egocentrico e ripetitivo (lui che è e frustrato, lui che è ebreo, lui che è sempre più frustrato...). Poi ha fatto Match Point, che secondo me è 'IL cinema'e da allora quello che fa io vedo. Scoop è una commedia gialla, molto 'alla Allen'. Magari in questi tempi di crisi non vale 7 euro ma non penso nemmeno sia 'la ciambella senza buco', idem 'Sogni e delitti' che ho visto al cinema e tutti,ma proprio tutti escendo esclamavano 'Mpfh, sì dai...ma certo non è Match Point!'. Son film che si lasciano guardare ma certo se un regista è per la quantità, la qualità un po' ne risente. Kubrick ci metteva 6 anni per fare un film, Almodovar pur prolifico si prende tutto il suo tempo... Ce ne fossero di autori che come Allen che a 70 anni e un gazzilione di film alle spalle si sono avvicinati a un genere che non era il loro, hanno realizzato un capolavoro e poi continuano a dirigere, magari senza incantare ma nemmeno facendoti uscire dal cinema a richiedere indietro i soldi... Spero di aver ragione, e se così non fosse appena avrò visto l'ultimo mi cospargerò il capo di cenere qui sulla pubblica piazza!
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legalizez la ganja!

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moxfurbona

Reg.: 04 Mar 2003
Messaggi: 1194
Da: lucca (LU)
Inviato: 18-10-2008 12:43  
quote:
In data 2008-10-17 13:39, badlands scrive:
per dire,io 10 minuti per vedermi manderlay o il grande capo non li sprecherò mai,quello con me ha chiuso nel 2000


Ma almeno Dogville hai fatto in tempo a vederlo?! O e' Dogville che ti ha fatto imbestialire?
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legalizez la ganja!

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 18-10-2008 16:17  
Ecco il malloppo.

V. C. B. e l'archeologia.

Tra gli autori più prolifici della storia del cinema (circa 40 film in poco più di quarant’anni), Woody Allen, tutto preso a sfornare una pellicola dietro l’altra, indubbiamente animato dal suo grande amore per la settima arte, ma anche, e forse soprattutto, da un “ego” smisurato e ansioso di celebrare se stesso attraverso il cinema, sembra non accorgersi del passar del tempo, di come sia diventata obsoleta la sua poetica, patetico l’accanimento terapeutico nell’autoreferenziale tentativo di mantener(si)e in vita (in)un piccolo mondo di nostalgie oramai agonizzante. Con tirate di compiaciuto snobismo, che il regista cerca di correggere con atteggiamenti ambiguamente autocritici, apparentemente “sinceri”, invero complici-conformisti, con quest’ultimo lavoro Allen reintroduce le solite paturnie dell’alta borghesia americana (questa volta in trasferta “esotica”), piena di tic, vizi e vezzi, così lontana dall’essere “humanitas”, che si permette perfino il lusso di non accorgersi delle proprie anacronistiche e frivole masturbazioni mentali, pur a fronte dei cambiamenti psico-socio-politici che hanno nel frattempo modificato profondamente il pianeta, e le circoscritte, già celebri e (fin troppo) celebrate “riserve” vip & yuppie della Grande Mela, dalla cui intonsa e luccicante superficie dei bei tempi andati fa oggigiorno capolino più d’un baco a lungo nutrito nella marcescente poltiglia. Da circa 20 anni il regista newyorkese gira sempre lo stesso film, rimescolando il suo mazzetto di carte nel perenne gioco, più di prestigio che prestigioso, delle limitate combinazioni.

VICKY CRISTINA BARCELONA, basato su un canovaccio narrativo frammentario e disarticolato, sorta di sunto del routiniero microcosmo alleniano, si esaurisce in una serie di inquadrature a se stanti, come tanti piccoli siparietti appena abbozzati, didascalici, scollati tra di loro, introdotti dall'invadente voce fuori campo e accompagnati da suadenti musiche, secondo un consumato copione che mette al centro della scena un mondo artificiale, ben lontano dal reale, dalla vita vissuta, con le sue infinite varianti, nel (melo)dramma come nei passaggi più spensierati e allegri. Allen crede di poter rappresentare tutto questo, chiuso ad ogni altra possibile prospettiva e significato sottotestuale, sciorinando l’abusato, superficiale e asfittico clichè del tormentone amoroso e sentimentale della rampante, nevrotica e annoiata intellettualità borghese e radical-chic, in perenne stato di crisi, con relativi tentennamenti, imbarazzi e tradimenti, nelle trasgressioni da commediola (all’acqua di) rosa, passate per la lavanderia del politicamente corretto, intimamente voyeuristica nella sua endemica ipocrisia. Situazioni precipitate e riciclate da un immaginario sclerotico, personaggi macchietta privi di personalità e spessore, come tanti piccoli alter ego di un autore che, pur avendo largamente superato la soglia della maturità, non riesce ad andare oltre quel “sé” infantilmente narciso e auto-castrante, questi gli ingredienti di base dell’ultimo film di Allen che spreca nella pratica filmica un soggetto teoricamente interessante.

Il suo dichiarato amore per la capitale catalana e per l’intera penisola iberica, induce Allen ad omaggiare Barcellona (teatro delle vicende narrate) a suon di “spagnolate” d’accatto, secondo le più svianti, mistificanti aspettative vacanziere, dove l’autentico palpito vitalistico ed artistico della città del Gaudì emerge appena e di riflesso dai logorroici dialoghi saturi come al solito di imbarazzanti freddure sotto formalina. Altro topos trito ma di sicuro effetto, tappa obbligata da celebrare, per potersi auto-celebrare - ogni preteso è buono ai fini dell’operazione “io appaio dunque sono” -, Allen, confondendo l’edonismo modaiolo con l’intensa e severa metafisica che corona la terra di Spagna, non rinuncia a vezzeggiarc(s)i con l’immancabile chitarra, con gli ammiccanti brani di Isaac Albeniz, di Juan Serrano, di Paco de Lucia (questi ultimi due “flamencheri” di puro ceppo andaluso, che chissà se qualche irriducibile nazionalista catalano non finisca col prendersela a male…), utilizzati come mero e facile riempitivo sonoro, ad uso e consumo del finto emozionismo che sembra pervadere i suoi personaggi nei localetti inn, (proto)tipiche mete “programmate” dal distratto turista in cerca di atmosfere esotico-romantiche, fuori dal sé: avere, apparire, non “essere”. E ti pareva che Allen non avrebbe cercato di far suo anche lo spirito in scatola del flamenco!?

Ma non è una novità, Allen ha sempre giocato con la “cultura”, con l'arte, come status symbol, vezzo snob, sempre pronto a lanciarsi in citazioni musicali, letterarie, pittoriche (oltre che ovviamente filmiche), senza mai approfondire tali oggetti (da lasciar gravitare intorno al suo spropositato super-io) della sua ostentata, vuota e manipolatoria ambizione.

La presunzione narcisistica di un autore evidentemente innamorato dello stereotipo, il suo miglio limite, è tutta racchiusa in questa sua dichiarazione: “E’ una città bellissima [Barcellona] dal punto visivo ed è dotata di una sensibilità romantica. Una storia come quella raccontata nel mio film poteva succedere solo a Parigi o a Barcellona”. Modestia a parte.., si dà però il caso che noi Barcellona non la si è vista, né “sentita”, mentre ci resta il flebile ricordo di un film mediocre, pretenzioso, totalmente sbagliato.

Impossibile dunque non tornare con la mente selettiva e con il cuore dell'istinto ai catartici “momenti musicali” almodovariani, in cui la musica diventa “concerto” - mai alleniana esibizione -, sottolineatura del sentimento, ispanico e universale, flusso di emozioni condivise, materia di cui è fatta la stessa immagine trasfigurante e la poesia del testo, della parola, della melodia.

Siparietti, varietà, teatro filmato - inutile parlare di montaggio dove serviva un appena diligente lavoro di incollaggio -, non c’è cinema in VICKY CRISTINA BARCELONA, un film privo di energia plastica, basata quasi esclusivamente sulle sfinenti tirate dialogiche, e su un testo ingombrante che si sostituisce all’immagine (filmica) che non esiste.

Sprecato – o per meglio dire “ammaestrato” ad arte da un Allen disposto a plasmarlo a sua immagine e somiglianza, com’è solito fare con i suoi attori-clone -, il superbo cast di interpreti, potenzialmente esplosivo, riesce a mal pena ad ostentare tutto un frustrante repertorio di mossette imitanti l’intero bagaglio espressivo dell’Allen attore. Abbiamo così una Scarlett Johansson (Cristina), al momento la “preferita” di Allen, bella statuina, gnocca decorativa, privata del suo miglior sex appeal, dove, in compenso, Penelope Cruz (Maria Elèna) deve farsi carico, recitando ben oltre sopra le righe, di dar corpo sguaiato al personaggio caricaturale della femmina spagnola caliente, follemente gelosa, tutto pepe, istinto, irrazionalità, cojones, dotata perfino di “partenopeico” cipiglio, già che ricorda vagamente la figura di popolana sanguigna e caciarona interpretata della nostra Loren. Il giovane talento Rebecca Hall (Vicky) se la cava più che bene a confronto con le due più collaudate colleghe; lei è brava, affascinante ed intrigante sotto quel suo personaggio un po’ dimesso/spento, peccato che sia costretta ad imitare il limitato immaginario interpretativo che appartenne a Diane Keaton, già attrice feticcio di Woody Allen.

Javier Bardèm, nei panni di uno spregiudicato play boy (un pittore.., ci mancherebbe altro che in un film di Allen si possa incontrare gente “normale”), è la figura forse più improbabile e risibile, completamente fuori parte con quella sua aria un po’ cosi.., potremmo dire da macho tontolone allevato a Brooklyn...

Caricature di sconfortante (ed annunciata) prevedibilità.

Pubblicato qui
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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

[ Questo messaggio è stato modificato da: AlZayd il 18-10-2008 alle 16:36 ]

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 18-10-2008 17:00  
quote:
In data 2008-10-17 11:59, quentin84 scrive:
anche se, devo dire, condivido i timori di Sandrix.

peraltro infondati.
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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quentin84

Reg.: 20 Lug 2006
Messaggi: 3011
Da: agliana (PT)
Inviato: 18-10-2008 19:10  
L'ho visto...e non saprei, non mi sembra l'Allen migliore però, come sempre, qualcosa da salvare l'ho trovato.
Innanzitutto la confezione è sempre raffinata ed elegante, Allen si conferma un ottimo autore di dialoghi e direttore d'attori e sul piano registico c'è almeno una sequenza che mi ha colpito: il gioco di dissolvenze incrociate sui volti di Bardem e Rebecca Hall (bravissima!) prima del bacio.

Poi l'idea di una coppia che trova un equilibrio solo attraverso una terza persona forse non è nuova, ma è uno spunto interessante.
Barcellona è cartolinesca, ma quello che mi ha irritato davvero è la voce fuori campo, anch'io come Alz l'ho trovata invadente e alla fin fine inutile, e sopratutto il vetusto stereotipo "America puritana e repressa incontra Europa libertina e un po' folle" che qui mi sembra venga portato avanti in maniera banale.

Comunque mi par di capire che a Sandrix è piaciuto più che a me..personalmente son curioso di sapere che ne pensa.

[ Questo messaggio è stato modificato da: quentin84 il 18-10-2008 alle 19:54 ]

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quentin84

Reg.: 20 Lug 2006
Messaggi: 3011
Da: agliana (PT)
Inviato: 18-10-2008 19:52  
quote:
In data 2008-10-18 16:17, AlZayd scrive:


Javier Bardèm, nei panni di uno spregiudicato play boy (un pittore.., ci mancherebbe altro che in un film di Allen si possa incontrare gente “normale”).



Vabbè..dai Mia Farrow ne La Rosa purpurea del Cairo era una semplice cameriera, anche Allen in Ombre e Nebbia, mi pare fosse un impiegatuccio..e sicuramente ci sono altri esempi...comunque senza dubbio l'immaginario alleniano predilige artisti, intellettuali, gente del "bel mondo" o che vorrebbe farne parte (come i protagonisti di Match Point e Sogni e Delitti) ma per me non è mai stato un problema..anche loro son gente "normale" (le virgolette sono d'obbligo) come tutti noi.

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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
Messaggi: 15032
Da: Roma (RM)
Inviato: 18-10-2008 19:54  
io qualche giorno fa, ho scritto questo per filmfilm

Messa da parte la trilogia londinese sul senso di colpa (Matchpoint, Scoop e Sogni e delitti), Woody Allen rimane in Europa, trasferendosi (come chiaramente indica il titolo) in Spagna. Con sé porta la sua nuova musa Scarlett Johansson e la bellissima inglese Rebecca Hall, mentre dal luogo prende Javier Bardem e Penelope Cruz. Le prime due sono turiste americane in vacanza in Catalogna, le star spagnole una coppia di artisti ex-innamorati che nonostante i continui litigi non riescono a separarsi.

Partendo da questi personaggi, Allen costruisce una commedia sui rapporti umani, l’amore e l’arte, tanto ricca di spunti quanto lineare nello svolgimento. Un vero e proprio compitino con tanto di esplicativa voce fuori campo (che tira addirittura le somme a fine film), né drammatico, né particolarmente ironico, quasi auto compiaciuto della propria capacità di ricreare, con credibilità, qualsiasi possibile relazione e sensazione degli essere umani.

A dare il “la” a tutto è l’insoddisfazione dei quattro protagonisti. C’è chi si accorge che il futuro matrimonio con un ragazzo con la testa troppo sulle spalle è l’incipit di un futuro non di rose, ma di insoddisfazione, chi pensa di trovare in un amore passionale la risposta alla propria perenne irrequietezza, e due persone fatte l’una per l’altra, ma che non riescono a stare insieme, e che per questo cercano quell’”ingrediente” (una persona?) che manca al loro rapporto. Tutte avranno modo di provare quella che potrebbe essere la soluzione e (in questo caso il destino che tanto aveva caratterizzato l’ultima filmografia di Allen c’entra poco) di scegliere.

Allen rimane un pessimista quando si parla di coppie (Io e Annie docet) e anche stavolta non si smarca da quella malinconia che vive sempre latente anche nei suoi film più comici. Per sottolineare questa continua assenza di un qualcosa di indefinito, Allen gioca, soprattutto nella prima parte del film, con il fuoricampo. Prima Bardem nella galleria d’arte, poi la Hall sull’aereo, infine la Cruz, stavolta evocata solo, ma continuamente, a parole, appaiono in scena solo dopo esser stati “attesi” da uno spettatore che si vuol far sempre rimanere esterno alle vicende (lo stesso triangolo Bardem-Cruz-Johansson viene narrato con un flashback) e mai realmente dentro i pensieri dei personaggi (la voce fuori campo ne è un’ulteriore testimonianza).

Se da una parte è interessante il discorso sull’influenza reciproca tra artisti, dall’altra l’immagine stereotipata di una Spagna da cartolina e di latini popolo di passione ed eccentricità (tipica visione americana dell’Europa), mina la credibilità del tutto, lasciando quell’amaro in bocca che, parlando di Allen, sa anche di buon pasto mancato.
Vicky, Cristina, Barcelona non è un brutto film, si segue senza noia dall’inizio alla fine e non mancano spunti interessanti, ma non ci dice nulla più di quanto chiunque di noi non sappia prima di sedersi in sala. E questo, per un film che non fa ridere, non commuove, ma che è basato sulle interazioni umane e che, al massimo, affascina per la fotografia e la bellezza del cast, non è certo un complimento.

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Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento : quello in cui l'uomo sa per sempre chi è

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 18-10-2008 20:01  
quote:
In data 2008-10-18 19:52, quentin84 scrive:
Vabbè..dai Mia Farrow ne La Rosa purpurea del Cairo era una semplice cameriera, anche Allen in Ombre e Nebbia, mi pare fosse un impiegatuccio..e sicuramente ci sono altri esempi...comunque senza dubbio l'immaginario alleniano predilige artisti, intellettuali, gente del "bel mondo" o che vorrebbe farne parte (come i protagonisti di Match Point e Sogni e Delitti) ma per me non è mai stato un problema..anche loro son gente "normale" (le virgolette sono d'obbligo) come tutti noi.

ma poi non ho capito perché si "dovrebbe" incontrare gente normale. evidentemente allen non sente il bisogno di parlare di "gente normale". e quindi?
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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
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Da: Roma (RM)
Inviato: 18-10-2008 20:33  
più che altro, che significa gente normale?
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AlZayd

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Da: roma (RM)
Inviato: 18-10-2008 21:02  
Ciò che può significare una parola messa tra virgolette, e non disgiunta dal contesto, dalle premesse, in maniera pretestuosa potrei supporre...

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