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FilmUP Forum Index > Cinema > Tutto Cinema > The Black Dahlia - >De Palma   
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Autore The Black Dahlia - >De Palma
kagemusha

Reg.: 17 Nov 2005
Messaggi: 1135
Da: roma (RM)
Inviato: 13-11-2006 14:40  
compaio solo un attimo per dire che concordo con quanto di buono avete scritto sulla dalia nera e anche su quanto di cattivo avete detto su femme fatale
augh

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 13-11-2006 17:52  
quote:
In data 2006-11-13 14:40, kagemusha scrive:
compaio solo un attimo per dire che concordo con quanto di buono avete scritto sulla dalia nera e anche su quanto di cattivo avete detto su femme fatale
augh



Perchè scusa, cosa avresti da ridire su femme fatale?
_________________
True love waits...

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kagemusha

Reg.: 17 Nov 2005
Messaggi: 1135
Da: roma (RM)
Inviato: 14-11-2006 12:50  
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In data 2006-11-13 17:52, Schizobis scrive:
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In data 2006-11-13 14:40, kagemusha scrive:
compaio solo un attimo per dire che concordo con quanto di buono avete scritto sulla dalia nera e anche su quanto di cattivo avete detto su femme fatale
augh




Perchè scusa, cosa avresti da ridire su femme fatale?



quello che è già stato detto:
citazionismo sterile, storia sconclusionata, virtuosismi tecnici sbattuti in faccia allo spettatore, attori così così
ma non me lo ricordo così bene da intavolarci una discussione

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utopia


Reg.: 29 Mag 2004
Messaggi: 14557
Da: Smaramaust (NA)
Inviato: 14-11-2006 22:22  
quote:
In data 2006-11-14 12:50, kagemusha scrive:
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In data 2006-11-13 17:52, Schizobis scrive:
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In data 2006-11-13 14:40, kagemusha scrive:
compaio solo un attimo per dire che concordo con quanto di buono avete scritto sulla dalia nera e anche su quanto di cattivo avete detto su femme fatale
augh




Perchè scusa, cosa avresti da ridire su femme fatale?



quello che è già stato detto:
citazionismo sterile, storia sconclusionata, virtuosismi tecnici sbattuti in faccia allo spettatore, attori così così
ma non me lo ricordo così bene da intavolarci una discussione



daradadaaaaaaan!!!
_________________
Tutto dipende da dove vuoi andare... Non importa che strada prendi!

Happiness only real when shared.

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follettina

Reg.: 21 Mar 2004
Messaggi: 18413
Da: pineto (TE)
Inviato: 15-11-2006 02:07  
mannaggia anche io voglio vedere sto film... cazzarola sono stati mesi troppo pieni di belle uscite così questo lo hanno tolto e io nn ho fatto in tempo a vederelo.. devo aspettare che il cinema che ho a 2 passi (che ha tre sale) si ricordi di togliere miami vice...

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Ayrtonit
ex "ayrtonit"

Reg.: 06 Giu 2004
Messaggi: 12883
Da: treviglio (BG)
Inviato: 10-12-2006 13:54  
finalmente l ho visto.
un grande film, non ce n'è.
mi ha colpito molto il serrato post di malebolgia, dove diceva che nella scena dell incontro di boxe c'è già tutto il film, ed è vero. ed anche, come diceva tristam, che de palma di serve di un mero pretesto per fare cinema, è verissimo, e questo è magnifico perchè la dalia, il libro di ellroy, pfff non c entrano nulla con quanto de palma sta dicendo. per me questo film, cosi pieno di citazioni diceva gatsby, è un tributo si a un certo genere di film, il noir, ma anche un ribadire e riscoprire se stesso da parte di de palma. è una delle pochissime volte in cui non riesco a parlare della sceneggiatura, perchè la potenza emotiva e psicologica che e palma fa scaturire dai suoi personaggi ma soprattutto dalla sua regia, è davvero sovrastante.
davvero un film bellissimo, da rivedere, e da ricordare (già a inizio film mi son commossa sentendo "non si metteva mai tra di noi, ma era sempre in mezzo a noi").
ovviamente sarà snobbato agli oscar e ai premi, come tutti i grandi film che si rispettino.

_________________
"In effetti la degenerazione non è mai divertente, bisogna saperla mantenere su livelli tollerabili.
Non è tanto una questione di civiltà, ma di intelligenza."
DEMONSETH

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 10-12-2006 14:52  
quote:
In data 2006-11-14 12:50, kagemusha scrive:
quote:
In data 2006-11-13 17:52, Schizobis scrive:
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In data 2006-11-13 14:40, kagemusha scrive:
compaio solo un attimo per dire che concordo con quanto di buono avete scritto sulla dalia nera e anche su quanto di cattivo avete detto su femme fatale
augh




Perchè scusa, cosa avresti da ridire su femme fatale?



quello che è già stato detto:
citazionismo sterile, storia sconclusionata, virtuosismi tecnici sbattuti in faccia allo spettatore, attori così così
ma non me lo ricordo così bene da intavolarci una discussione



Si in effetti non sembri ricordarlo molto bene....

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Valparaiso

Reg.: 21 Lug 2007
Messaggi: 4447
Da: Napoli (es)
Inviato: 09-09-2008 18:42  
quote:
In data 2008-09-09 18:25, Hegel77 scrive:
No, la verisimiglianza no.
Ancora i discorsi sulla coerenza narrativa e sulla verisimiglianza della sceneggiatura. Ma come si può giudicare un film sulla base di corrispondenze drammaturgiche. Io sto parlando di immagini, di messa in scena, di fotogrammi che producono senso, di operazione cosciente contro gli stilemi, contro i luoghi comuni del genere noir...e tu mi parli di verisimiglianza?

Io non capirò un cazzo di De Palma, ma tu rimani ancora nell'età della pietra. Anzi all'alba dell'universo cinefilo .
Continuiamo così, facciamoci del male



scusa ma che cavolo di senso dovrebbe avere una operazione contro i luoghi comuni di un genere che è morto di suo da almeno 60 anni?
se il film è davvero questo, mi pare una operazione abbastanza risibile...

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 09-09-2008 19:10  
il noir peraltro non è un genere e non è morto.
_________________
Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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Hegel77

Reg.: 20 Gen 2008
Messaggi: 298
Da: Roma (RM)
Inviato: 09-09-2008 19:13  
quote:
In data 2006-10-02 01:14, AlZayd scrive:
quote:
In data 2006-09-30 14:53, Tristam scrive:
femme fatal piacque anche a me molto.
questo è un'altra cosa... è un DePalma più esteso, di maggior respiro e portata.




Sante parole amico mio! Salvo che a me Femme Fatale piacque poco, ma non sarà questo a portare la guerra nei nostri cuori!

La mia sulla dalia nera.

“Non si metteva mai tra di noi ma stava sempre in mezzo a noi”.

E' con queste parole che la voce narrante (stessa inflessione disincantata che avevano gli 'invisibili” raccontatori di storie in noir dell’età aureo-classica hollywoodiana) si sofferma sul personaggio interpretato da una bella, sexy e brava Scarlett Johansson, vertice ideale di un triangolo nei cui restanti lati si situa la coppia protagonista (eccellenti nei rispettivi ruoli Aaron Eckhart e Josh Hartnett) di un’esemplare amicizia virile. Piccola suggestione come premessa a ciò che di essenziale ruota intorno a THE BLACK DAHLIA, l’ultimo parto felice di un ritrovato Brian De Palma, in concorso alla 63. Mostra Cinematografica di Venezia appena conclusasi.
Il vecchio leone della cinepresa torna a mostrare gli artigli, dopo essersi lasciato sedurre, forse troppo a lungo, dalla rassicurante vita da gatto domestico che aveva creato qualche disaffezione nei suoi più fedeli ed esigenti estimatori. Torna un De Palma dallo stile alto e impeccabile, summa di tutte le sue migliori ricette tecnico-espressive, al servizio di quel serrato e torrido gioco dell’erotismo e del “sensualismo al ralenty”, dunque estenuante, implacabile, rarefatto, strisciante, di testa e testicoli (anche di cuore) che infine arriva, e come, a scuotere il sistema “onirico/vigile” dello spettatore. De Palma rinuncia a De Palma con un progetto tratto dall’omonimo e celebre romanzo di James Ellroy - in cui è tuttavia riconoscibile, nella rinnovata pienezza di forme e contenuti, l’”ossessione” depalmiana -, per omaggiare il cinema classico ispirato ai grandi romanzieri alla Chandler, alla Hammett, alla Cain, dunque alla Ellroy. Il quale è anche cosceneggiatore, insieme a Josh Friedmam (autore dello script di La guerra dei mondi di S. Spielberg), per questa turgida opera che risente di una compressione narrativa (invariabilmente riscontrabile di tutti gli adattamenti e le trasposizioni filmiche di opere letterarie) che non tradisce o banalizza in alcun modo lo spirito, gli aspetti salienti e centrali del romanzo. Ispirato ad una storia vera che sconvolse l’America del 1947, all’omicidio ancora irrisolto di un’attricetta in cerca di successo nella Hollywood corrotta e spietata di quegli anni, il regista mantiene inalterato, con uno stile impeccabile e asciutto, le cupe atmosfere del libro, i sordidi intrighi, il “maledettismo”, le derive esistenziali, le ambiguità psicologiche, l’erotismo morboso, la frammentazione del plot, le dense atmosfere “neoespressionistiche”, il fulgido “B. & W.” - nonostante il girato sia colori… -, il velenoso sarcasmo “antiborghese” degno del miglior Altman, ed ogni altro elemento caratterizzante il “genere”. THE BLACK DAHLIA è un omaggio alla letteratura, al cinema, ai “costumi” di un’epoca, e tuttavia riflette, incorrotti e rinvigoriti da una regia affatto originale e sapiente, lo stile e l’estetica dell’autore, il profondo legame con il suo glorioso passato che rimbalza nel presente. Ritmo incalzante, dialoghi scoppiettanti, recitazioni calibrate, un montaggio che “riordina” con geometrica esattezza ed elasticità le spezzettature tramiche (salti temporali che non abusano del risaputo flashback), sono gli ingredienti di base di una ricetta che mira allo spettacolo di gran lusso e gusto, all’intrattenimento negletto ed insieme colto e intelligente. Maestro del “piano sequenza” - ve ne sono alcuni girati con una naturalezza tale da togliere il respiro -, l’”invisibile” camera di De Palma si muove con leggiadra eleganza, e fa dimenticare spericolatezze, virtuosismi e tecniche eccelse (quasi zavorre nelle sue ultime pellicole), lo stesso “occhio” voyeuristico, medium del linguaggio e dell’espressione, elemento del “triangolo”, parte integrante ma non ingombrante di un’affascinante e simbiotica avventura cinematografica che ha come protagonisti l’autore, lo schermo, il pubblico.

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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" L. Buñuel

[ Questo messaggio è stato modificato da: AlZayd il 02-10-2006 alle 01:19 ]



Sto rileggendo questo topic che è davvero interessante.
il pensiero di Alzayd riassume quello che penso.
_________________
Dare un senso alla vita può condurre a follie,
ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio

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Hegel77

Reg.: 20 Gen 2008
Messaggi: 298
Da: Roma (RM)
Inviato: 09-09-2008 19:14  
quote:
In data 2006-10-03 03:04, Tristam scrive:
Qunati anni ha De Palma? Da quanti anni lavora dietro la macchina da presa... Da quanto tempo il suo cinema si costruisce film dopo film, sequenza dopo sequenza. Soluzioni adattabile e adattate in quel gioco metonimico dove la parte sta per il tutto. Quanto tempo è servito per sbagliare, cercare, e ritrovare una strada che fosse un cinema.
Un suo cinema.
E quante passioni si sono consumate nella messa in scena, nell'uso della macchina da presa come mezzo per arrivare a dire di cinema, fare cinema prima ancora di fare cinema con l'inquadratura.

Perchè se il cinema di De Palma si costruisce nell'occhio di chi guarda, questo è già fatto ancora prima che De Palma dica "Azione!". E non è quindi dallo "Stop" che si segna l'inizio del suo fare. Non è nemmno quindi attraverso la trasformazione della materia grezza nella significanza del montaggio che il film ha il suo centro.

La scaturigine cinematografica è da ricercarsi nelle idee ancor prima che nella pratica.
Pratica che è la superficie malleabile di una forma più ampia che come in Godard risale fino all'uomo, alla sua cultura e alla sua intenzione e modalità di esprimersi. Fare cinema ancora prima di fare cinema, come la critica per la nouvelle vague.
Questa rientranza dal fare si appoggia su una morale, riguarda l’azione, il fare in relazione "all’idea che si ha del bene e del male".

E' quindi una scelta di campo quella che origina nel 'pre-cinema' di De Palma. E il cinema è l'azione della trasformazione. Trasfomare se stessi in relazione al mondo che ci circonda... attraverso il linguaggio, strumento di luce che si ritaglia angoli di bagliori nel nero dei simboli.

Da quanti anni De Palma parla, ci parla, si parla.
Da quanto porta avanti se stesso attraverso le immagini, da quanto si lancia nella significanza. La sua stessa maniacalità spesso manifesta in ricostruzioni personali dei capolavori amati, dei metodi rivoluzionari che sono pietre miliari della sua stessa esperienza diretta, non è sfociata nella volontà di ricalcare un cinema già vissuto.
Non ha significato morte (perchè riscoperta e applicazione) come ha invece preteso, cercato e voluto Van Sant nell'autodistruttivo esperimento di essere Hitchcock (da allora non è un caso che il suo cinema ha significato morte, distruzione e spaesamento e Last Days ne è il supremo esempio), ma si è sempre tenuto un passo in dietro.
Non ha occupato un varco già preso, ne ha solo modificato il passaggio cui attraverso questo varco accade. Ne ha filtrato la luce reimprimendola a modo suo, facendo critica prima, poi cinema e legando i suoi film ad una morale precisa e quindi ad uno suo stile indelebile. Da qui ne conseguono le soggettive, i lunghi piani a seguire che si muovono nello spazio, metafore di quello che già fa l'occhio dello spettatore davanti alla Dalia Nera.

Ma nessuno (forse solo gli Straub) ripeterebbe all'infinito il concetto espresso con efficacia e meraviglia. Al contrario ne riprenderebbe i toni, gli entusiasmi e passerebbe a ciò che le implicazioni di un'idea fattasi materia verrebbero a crearsi.
E questo è precisamente il lavoro e il processo di De Palma.
Ama, guarda, propone, segna e riprende, aggiungendo, rielaborando se stesso attraverso il suo cinema e il cinema che ama (quindi la storia del cinema, eventualmente). Il risultato di questa commistione di intenzioni e risultati lo ha portato da film in film a generare percorsi evolutivi mai completamente esauriti e che si sono radicati intorno ad un pretesto necessario e iconografico: una storia da raccontare. Ma solo la sua struttura. Non la sua estensione fatta, finita e completa. E anche per questo il suo cinema lascia spazio all'incompletezza. Quella grezzezza propria di chi risolve le cose nel fare e non nel suo pianificare.

Ed ecco perchè ogni sceneggiatura di De Palma è solo l'ossatura su cui si radicano tendini, muscoli, lacerti fibrosi, vene e liquidi. Ed ecco perchè analizzare e bloccarsi su ciò che serve solo da pretesto iconografico è mancare in pieno il film. Perchè sarebbe come criticare una forma (che non è la regia) e non ciò che contiene (che non è la sceneggiatura).
Ed ecco perchè De Palma non è la sua regia. Non è la fattura delle immagini, è ciò che la scelta di queste inquadrature legate assieme e poggiate su una struttura semplice e basilare (che non necessita di specializzazione o costruzione particolare) segna nel suo essere. Perchè già essere vuol dire aver eliminato tutte le altre possibili possibilità di essere.

Il cinema di De Palma è una scelta, prima ancora che materia. E poi è una materia riflesso di una scelta. E' una metafisica doppiamente incarnata. Sia a livello morale (scelta tra ciò che è bene e ciò che è male), sia a livello fisico.
La Dalia Nera è il gran finale di questo lunghissimo processo che ha subito e subisce continui cambiamenti e che ripete e ripropone la figura stessa di De Palma, in quanto il suo cinema non può slegarsi da lui stesso.
E' il cinema come espressione di sè. E' il cinema che scatta nel suo farsi e non nel suo scriversi... proprio perchè nel suo scriversi (nella sua sceneggiatura) la risoluzione è evitata, protratta e prolungata in un altrove successivo, e allo stesso tempo è già nell'idea (quindi è prima della sceneggiatura).

Il cinema di De Palma non scatta nella perfezione e nella pianificazione preordinata, ma esattamente nella sua immaginificazione.
Questo ultimo film è l'emblema di un'espansione dell'immagine oltre il bordo del campo.
E' una dilatazione verso il cinema che viene prima e allo stesso tempo è un cinema che porta in sè la sensazione fisica di un bloccaggio. La Dalia Nera è quindi una superficie tesa che si infiltra come un liquido negli interstizi e gela formando un monolite compatto e inscalfibile. E' un quadro non fruibile a colpo d'occhio, un quadro che schiaccia verso il basso e permette di essere indagato, dove lo sguardo di chi assiste segue l'occhio ubiquo dello stesso De Palma, cercando, perdendosi e vivendo quella sensazione di impossibilità di visione totale e allo stesso tempo una benefica e salvifiva chiusura fisica: i bordi sframgiati del campo che segnano, fermano e vanno oltre.

La potenza visiva di questo film non è certo dovuta ad Ellroy o alla sceneggiatura che De Palma ha utilizzato. Scaturisce esattamente da questa volontà di dire e fare, di appropriarsi di una conoscenza, di un'ossatura per potersi parlare.
La montagna offre appigli, ha le sue asperità e trappole, ma è lo scalatore a compiere l'impresa.

_________________
Una minchia/sapida

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 03-10-2006 alle bunch 03:11 ]

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 03-10-2006 alle 10:43 ]




e tristam è un genio
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Dare un senso alla vita può condurre a follie,
ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio

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Valparaiso

Reg.: 21 Lug 2007
Messaggi: 4447
Da: Napoli (es)
Inviato: 09-09-2008 19:23  
quote:
In data 2008-09-09 19:10, sandrix81 scrive:
il noir peraltro non è un genere e non è morto.



Pippo Pippo Pippo! Pippooooooooo!

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Valparaiso

Reg.: 21 Lug 2007
Messaggi: 4447
Da: Napoli (es)
Inviato: 09-09-2008 19:25  
quote:
In data 2008-09-09 19:14, Hegel77 scrive:
quote:
In data 2006-10-03 03:04, Tristam scrive:
Qunati anni ha De Palma? Da quanti anni lavora dietro la macchina da presa... Da quanto tempo il suo cinema si costruisce film dopo film, sequenza dopo sequenza. Soluzioni adattabile e adattate in quel gioco metonimico dove la parte sta per il tutto. Quanto tempo è servito per sbagliare, cercare, e ritrovare una strada che fosse un cinema.
Un suo cinema.
E quante passioni si sono consumate nella messa in scena, nell'uso della macchina da presa come mezzo per arrivare a dire di cinema, fare cinema prima ancora di fare cinema con l'inquadratura.

Perchè se il cinema di De Palma si costruisce nell'occhio di chi guarda, questo è già fatto ancora prima che De Palma dica "Azione!". E non è quindi dallo "Stop" che si segna l'inizio del suo fare. Non è nemmno quindi attraverso la trasformazione della materia grezza nella significanza del montaggio che il film ha il suo centro.

La scaturigine cinematografica è da ricercarsi nelle idee ancor prima che nella pratica.
Pratica che è la superficie malleabile di una forma più ampia che come in Godard risale fino all'uomo, alla sua cultura e alla sua intenzione e modalità di esprimersi. Fare cinema ancora prima di fare cinema, come la critica per la nouvelle vague.
Questa rientranza dal fare si appoggia su una morale, riguarda l’azione, il fare in relazione "all’idea che si ha del bene e del male".

E' quindi una scelta di campo quella che origina nel 'pre-cinema' di De Palma. E il cinema è l'azione della trasformazione. Trasfomare se stessi in relazione al mondo che ci circonda... attraverso il linguaggio, strumento di luce che si ritaglia angoli di bagliori nel nero dei simboli.

Da quanti anni De Palma parla, ci parla, si parla.
Da quanto porta avanti se stesso attraverso le immagini, da quanto si lancia nella significanza. La sua stessa maniacalità spesso manifesta in ricostruzioni personali dei capolavori amati, dei metodi rivoluzionari che sono pietre miliari della sua stessa esperienza diretta, non è sfociata nella volontà di ricalcare un cinema già vissuto.
Non ha significato morte (perchè riscoperta e applicazione) come ha invece preteso, cercato e voluto Van Sant nell'autodistruttivo esperimento di essere Hitchcock (da allora non è un caso che il suo cinema ha significato morte, distruzione e spaesamento e Last Days ne è il supremo esempio), ma si è sempre tenuto un passo in dietro.
Non ha occupato un varco già preso, ne ha solo modificato il passaggio cui attraverso questo varco accade. Ne ha filtrato la luce reimprimendola a modo suo, facendo critica prima, poi cinema e legando i suoi film ad una morale precisa e quindi ad uno suo stile indelebile. Da qui ne conseguono le soggettive, i lunghi piani a seguire che si muovono nello spazio, metafore di quello che già fa l'occhio dello spettatore davanti alla Dalia Nera.

Ma nessuno (forse solo gli Straub) ripeterebbe all'infinito il concetto espresso con efficacia e meraviglia. Al contrario ne riprenderebbe i toni, gli entusiasmi e passerebbe a ciò che le implicazioni di un'idea fattasi materia verrebbero a crearsi.
E questo è precisamente il lavoro e il processo di De Palma.
Ama, guarda, propone, segna e riprende, aggiungendo, rielaborando se stesso attraverso il suo cinema e il cinema che ama (quindi la storia del cinema, eventualmente). Il risultato di questa commistione di intenzioni e risultati lo ha portato da film in film a generare percorsi evolutivi mai completamente esauriti e che si sono radicati intorno ad un pretesto necessario e iconografico: una storia da raccontare. Ma solo la sua struttura. Non la sua estensione fatta, finita e completa. E anche per questo il suo cinema lascia spazio all'incompletezza. Quella grezzezza propria di chi risolve le cose nel fare e non nel suo pianificare.

Ed ecco perchè ogni sceneggiatura di De Palma è solo l'ossatura su cui si radicano tendini, muscoli, lacerti fibrosi, vene e liquidi. Ed ecco perchè analizzare e bloccarsi su ciò che serve solo da pretesto iconografico è mancare in pieno il film. Perchè sarebbe come criticare una forma (che non è la regia) e non ciò che contiene (che non è la sceneggiatura).
Ed ecco perchè De Palma non è la sua regia. Non è la fattura delle immagini, è ciò che la scelta di queste inquadrature legate assieme e poggiate su una struttura semplice e basilare (che non necessita di specializzazione o costruzione particolare) segna nel suo essere. Perchè già essere vuol dire aver eliminato tutte le altre possibili possibilità di essere.

Il cinema di De Palma è una scelta, prima ancora che materia. E poi è una materia riflesso di una scelta. E' una metafisica doppiamente incarnata. Sia a livello morale (scelta tra ciò che è bene e ciò che è male), sia a livello fisico.
La Dalia Nera è il gran finale di questo lunghissimo processo che ha subito e subisce continui cambiamenti e che ripete e ripropone la figura stessa di De Palma, in quanto il suo cinema non può slegarsi da lui stesso.
E' il cinema come espressione di sè. E' il cinema che scatta nel suo farsi e non nel suo scriversi... proprio perchè nel suo scriversi (nella sua sceneggiatura) la risoluzione è evitata, protratta e prolungata in un altrove successivo, e allo stesso tempo è già nell'idea (quindi è prima della sceneggiatura).

Il cinema di De Palma non scatta nella perfezione e nella pianificazione preordinata, ma esattamente nella sua immaginificazione.
Questo ultimo film è l'emblema di un'espansione dell'immagine oltre il bordo del campo.
E' una dilatazione verso il cinema che viene prima e allo stesso tempo è un cinema che porta in sè la sensazione fisica di un bloccaggio. La Dalia Nera è quindi una superficie tesa che si infiltra come un liquido negli interstizi e gela formando un monolite compatto e inscalfibile. E' un quadro non fruibile a colpo d'occhio, un quadro che schiaccia verso il basso e permette di essere indagato, dove lo sguardo di chi assiste segue l'occhio ubiquo dello stesso De Palma, cercando, perdendosi e vivendo quella sensazione di impossibilità di visione totale e allo stesso tempo una benefica e salvifiva chiusura fisica: i bordi sframgiati del campo che segnano, fermano e vanno oltre.

La potenza visiva di questo film non è certo dovuta ad Ellroy o alla sceneggiatura che De Palma ha utilizzato. Scaturisce esattamente da questa volontà di dire e fare, di appropriarsi di una conoscenza, di un'ossatura per potersi parlare.
La montagna offre appigli, ha le sue asperità e trappole, ma è lo scalatore a compiere l'impresa.

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Una minchia/sapida

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 03-10-2006 alle bunch 03:11 ]

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 03-10-2006 alle 10:43 ]




e tristam è un genio



Sì, il genio delle brodaglie di parole prive di senso.
Ma comunque è battuto da Sandrix in questo...

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Hegel77

Reg.: 20 Gen 2008
Messaggi: 298
Da: Roma (RM)
Inviato: 09-09-2008 19:34  
quote:
In data 2006-10-04 11:28, Schizobis scrive:
The Ice non sarà mai un animale politico pronto a divorare i pesci più piccoli per ambizioni carrieristiche, non sarà mai il James Woods di C’era una volta in America ma nemmeno l’oppiomane De Niro (la benzedrina la usa The Fire). Il sorriso amaro del pagliaccio si deforma nel ghigno di un folle: la degenerazione dell’espressione artistica (lo spunto è un quadro dal sorriso di Joker) porta al delirio e alla dissociazione della personalità. E qui si innesta la citazione dotta del film muto del 1928 di Paul Leni “L’uomo che ride” che richiama il testo di Victor Hugo “L’homme qui rit” citato da Ellroy nel romanzo: la deformazione dell’espressione facciale del protagonista (con orribile taglio sulla guancia) è la risposta del corpo allo schiacciamento del rimorso e del senso di colpa. Come in un quadro di Francis Bacon il dark side of the man appare in superficie in una immagine dell’orrore: e l’angelo biondo (come ha sottolineato acutamente Alzayd) alla visione del film muto stringe le mani dei suoi due uomini facendosi ponte (non tra noi, ma in mezzo a noi). Ma il vero ponte sul Bosforo non è la sensuale e dimezzata Scarlett (un misto tra Lana Turner e Veronica Lake), ma la più umile e negletta delle donne.
Il senso del film (e mi dispiace che i fan di De Palma non riescano a comprenderlo) è proprio in questo estremo tentativo di bypassare l’orrore rappresentato con una presa di coscienza etica, con una purificazione possibile solo dopo aver toccato il fondo. La Dahlia Nera è Gesù Cristo, il suo sacrificio, la sua crocefissione, il suo orribile martirio è necessario per la redenzione di chi ha occhi per vedere oltre le segnature di tutte le cose. Arriva il momento di lucidità, in mezzo alle ombre scure di cuori di tenebra. E’ proprio allora che il metafisico, almeno per un momento, compare.
Hilary Swank passa di letto in letto senza provare più alcuna emozione, la troviamo in un locale per lesbiche mentre fa la vojeur di un eccitante musical omosessuale. De Palma inquadra dall’alto un groviglio di corpi che somiglia ad una orgia, ma la sensazione è di una terra desolata, di una noia infinita che dilata il vuoto esistenziale. De Palma si autocita continuamente: le Due Sorelle, l’apparizione dello sfigurato Fantasma del Palcoscenico, la palandrana del travestito alla “Dressed to Kill”, la femme fatale, l’incontro di pugilato in Omicidio in Diretta, l’omicidio dalla tromba delle scale con volo finale nella fontana alla Scarface, buona parte degli Intoccabili (ma con un miglioramento nella analisi delle motivazioni dei personaggi), la solitudine dell’eroe di Carlito’s Way e di Mission Impossible. De Palma mette addirittura la sua firma sul fondoschiena di Scarlett (BD). Cita indirettamente L’Infernale Quinlan di Orson Welles (ma il piano sequenza sul luogo dell’omicidio è molto più breve), Mulholland Drive di David Lynch (con il medesimo omaggio a Rita Hayworth e due attori in prestito) e Sunset Boulevard di Billy Wilder , poi si permette il lusso di riprendere i due amanti attraverso un velo, in maniera metaforica (come il De Niro stordito dall’oppio nel finale di C’era una volta in America). De Palma ti ipnotizza e ti porta in un luogo senza spazio né tempo, quel paradiso luminoso che finalmente si intravede dietro una porta, ci avvolge in un mantello di immagini e con un gesto deciso, passando in maniera geniale da un incubo spezzato a metà disteso sull’erba alle labbra carnose e sensuali di Scarlett Joahnsson, ti invita dentro questo suo cinema di doppi e di pagliacci, di guardoni e di osservati, di chiacchere e di distintivi, di solitudini e tradimenti, di bianchi e di neri, ma soprattutto di sorrisi tristi. “Vieni dentro!” e quella finestra rettangolare sembra proprio lo schermo di un cinema.
Tu solo dentro la sala e tutto il mondo fuori.






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ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio

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Valparaiso

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Da: Napoli (es)
Inviato: 09-09-2008 19:44  
D'accordo, Hegel, ma questi quote? Ce l'hai qualche argomentazione tua, o vuoi solo dimostrare di avere una grande lingua?
Perché questo già lo si era visto dall'avatar...

[ Questo messaggio è stato modificato da: Valparaiso il 09-09-2008 alle 19:47 ]

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