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Autore fellini
Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 15-01-2006 17:46  
quote:
In data 2006-01-14 01:26, stilgar scrive:
quote:
In data 2006-01-12 00:09, Schizo scrive:
Non ti rispondo più.
Accosti Bava a Fellini con una naturalezza impressionante.
Davvero impressionante.



Non si tratta di accostare. A casa mia si chiama copiare
Fellini l'ha fatto anche un'altra volta con Bava. Vediamo se Sandrix è preparato...

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Profundis - L'anima nera della rete

[ Questo messaggio è stato modificato da: stilgar il 14-01-2006 alle 01:27 ]



Copiare?
Chi ruba da un autore commette plagio.
Chi ruba da tanti autori fa semplicemente ricerca.
Fellini rielabora il tutto in manier lirica e personale
Nel cinema ci sono centinaia di casi,
gli stessi Kieslowski e Eastwood hanno ripreso il finale della dolce vita rielaborandolo a modo loro.
8 e mezzo è stato il punto di partenza di decine di film (ti devo ricordare Allen? O Loius Malle? O Kusturica?)
E' terribile accusare un autore di copiare per delegittimarlo

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 16-01-2006 00:15  
quote:
In data 2006-01-15 17:46, Schizo scrive:

Nel cinema ci sono centinaia di casi,
gli stessi Kieslowski e Eastwood hanno ripreso il finale della dolce vita rielaborandolo a modo loro.
8 e mezzo è stato il punto di partenza di decine di film (ti devo ricordare Allen? O Loius Malle? O Kusturica?)




C'è un intero filone filmico "ottoemezzino", sulla "crisi" del regista. Anche l'ultimo Kitano, Takeshis', 2005, presentato a Venezia - io non l'ho visto -, ho letto che ricorda quel film di Fellini.

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 16-01-2006 08:18  
INTERVISTA (Once Upon A Time in Cinecittà) PARTE PRIMA

Nel 1987 esce Intervista un film che contiene sé stesso e altri due film. Un piccolo gioiello in cui Fellini e la sua troupe diventano essi stessi film, all’interno di altri due film che si provano a girare: l’adattamento del romanzo America di Kafka e le memorie di Fellini su Cinecittà.
Finalmente un raggio di sole, caro Parret, finalmente un raggio di sole…
Il geniale giochetto permette una continua traslazione dei piani temporali, in un’atmosfera gioiosa e libera che si sente per tutto il film. Fellini riesce a dare il meglio di sé proprio perché non legato a un piano narrativo tradizionale, ma libero di spaziare e di sfruttare le pause dei due film per continuare a immaginare, a inventare, riproponendo sé stesso e il suo lavoro.Il produttore è Ibrahim Moussa che oltre a scoparsi Nastassia Kinski ha anche una barca di soldi o meglio oltre ad avere una barca di soldi, si scopa pure la Kinski.(e ci fa un figlio). Moussa lascia abbastanza libero Fellini e anche se ci saranno degli intoppi produttivi, il film viaggia molto sul binario della serenità e sicurezza finanziaria.
Davvero esilarante il circo equestre di Snaporaz, con Chiodo, Tonino delli Colli, Maurizio Mein, Danilo Donati, la vestale di Cinecittà, Marcellino e Anitona che non interpretano sé stessi ma sono essi stessi il Cinema.
Insomma il Maestro sembra suggerire una totale aderenza tra il sogno e la realtà, tra finzione scenica e ciurma scelta per crearla, con tutti i trucchi, le magie, i materiali, i retroscena svelati.
Il grande prestigiatore mostra sé stesso ancora più spudoratamente che in 8 e mezzo. Lì la crisi di ispirazione diventava esso stesso film attraverso l’alter ego Marcellino che ne incarnava autoanalisi psicologica e crisi confusionale dei 40 anni, qui Fellini si offre lui stesso in pasto alla macchina da presa (simulacro portata in scena come fosse una star) e ci fa capire come la sua gioia di lavorare diventa motivo esistenziale, il brivido di poter dare ancora un altro ciak, pretesto per andare avanti. Il casino allegro e fracassone dei suoi set diventa il protagonista del film. Poco sopra Alzayd ce ne ha dato una testimonianza personale: i set dei film di Federico Fellini erano proprio cosi
Il film si apre con un sogno che è fin troppo rivelatore: Fellini sogna se stesso nel buio, circondato da un muro; cerca una via d’uscita ma non la trova, vediamo le sue mani che cercano disperatamente una porta una fessura ma non trovano nulla. Fellini rivela che è un sogno ricorrente e di solito usciva da quella prigione librandosi in volo. Adesso è un po’ più difficile, è un po’ più vecchio, un po’ più pesante e fa una fatica immane. Ma alla fine vola e dall’alto riesce a scorgere Cinecittà e il mitico studio 5, il suo alibi, il suo fortino, la sua salvezza.
Ma oggi i palazzi accerchiano questo fortino, e le antenne televisive….
Nadia, la Vestale di Cinecitta raccoglie cicoria, amara ma simpatica come i romani.
Fellini si lascia andare nel ricordo, riporta intatto il tranvetto azzurro che portava a Cinecitta e rivive con Sergio Rubini (che lo impersona da giovane giornalista) il percorso dei suoi primi passi in quel luogo mitologico, intervistando una diva del cinema (la lollo?) un po’ volgarotta e dall’aria snob.
Il viaggio che porta al santuario del cinema è popolato da figure reali (le contadine che offrono i frutti della terra e on solo al gerarca fascista Notarianni) e proiezioni del proprio immagianario cinefilo (indiani che sembrano sul punto di attaccare). Rubini- Fellini entra in Cinecittà seguendo due enormi elefanti e si trova all’interno di un set che ritrae un matrimonio, tra migliaia e migliaia di petali. Gli occhi di Rubini sono quelli di un bambino che guarda stupefatto un mondo da favola, da sempre sognato e gode di ogni singola visione, di ogni singola emozione.I cestini per il pranzo, il regista isterico che vuole una pera, l’attricetta che chiede come è andata, un vecchio contadino con l’ovetto per la diva….e non importa se è tutto un gioco….that’s entairtment…..e lo spettacolo continua.
To be continued

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 16-01-2006 08:18  
INTERVISTA (Once Upon A Time in Cinecittà) PARTE SECONDA
E quel cielo azzurro finto che sembra il paradiso (che farà da sfondo alla bara di Fellini solo sei anni più tardi nel mitico studio 5) sembra suggerire non solo il potere liberatorio del cinema ma anche la possibilità di suscitare ilarità dissacrandolo (“….ma vedi di andartela a piglià nder culo…”).
Irresistibile è la scena della rappresentazione dell’ India con un regista completamente fuori di testa, che non fa che urlare insulti dall’ inizio alla fine, finchè all’ennesimo assurdo intoppo (si disintegra un elefante di cartapesta) scatta una lite furibonda con il produttore milanese (qualche accenno autobiografico?) che viene interrotta dallo stesso Fellini con un colpo di scena magistrale.
E poi ancora i provini di Fellini e la ricerca delle sue ormai celebri “facce”, un falso allarme bomba a Cinecittà (tanto per non dimenticare la realtà circostante), e Marcellino Mandrake che si materializza dal nulla e viene incastrato da Fellini per andare a visitare Anita Ekberg, in un revival dei bei tempi che furono. Sulla macchina in viaggio verso la villa di Anitona ci sono Fellini, Rubini, Mastroianni o meglio presente, futuro anteriore (ma trapassato remoto nel film) e passato remoto del regista. Il momento della proiezione della Dolce Vita, creata dalla bacchetta magica di Mandrake, permette ad Anita e Marcello di vedere sé stessi giovani, resi immortali dal mito cinematografico, consapevoli di avere fatto parte di un momento di magia collettiva, di essere entrati nell’immaginario collettivo di miloni di spettatori e spettatrici. In fondo loro sono sempre gli stessi, certo Anita è diventata una vera matrona romana, gigantesca e soggiogante, Marcellino è il solito sparaballe (“sono in clinica”), il solito gaudente che non rinuncia ai suoi vizi (alcol, donne, fumo) e vuole godersela fino all’ultimo momento. Le lacrime di Anita sono fugaci ma sincere e la musica di Nino Rota rende il momento davvero emozionante. Quei tempi non torneranno più, quel mondo è lentamente scomparso inghiottito da altri luoghi e tempi. Il ricordo però è confortante e Anita e Marcello al Caracalla’s o nella fontana di Trevi sono diventati patrimonio dell’umanità.
Ancora provini per l’America di Kafka, ancora work in progress…una tinozza a forma di culla con dentro ancora due uomini e una donna. Arriva una pioggia torrenziale e si trova riparo sotto tendoni artigianali. La notte scende, le luci delle case si accendono, si sentono i televisori. Prima ci si riversava fuori (ricordate il film Roma) oggi ci sono tanti piccoli microcosmi muniti di antenne, tante piccole monadi satellitari….
L’alba ci prepara il grande attacco dei neoprimitivi televisivi in un assedio circolare dei superstiti di Cinecittà, in una giostra di urla e rumori: riusciranno i nostri eroi a resistere?
Ma questo è il finale del film, il momento tanto temuto da Federico. E’ finita, è finita, la troupe si congeda, si festeggia il Natale, si va tutti a casa. Per molti il meritato riposo, per Federico la fine di un sogno. Vorrebbe rimettersi subito a lavorare, vorrebbe ridare ancora un ennesimo ciak, un altro giro di giostra, un altro regalo…
Gli studi di Cinecittà sono vuoti, il circo ha lasciato momentaneamente la sua sede naturale. Come si fa ad essere felici quando si capisce che è finito un altro sogno, come si può comunicare allegria quando alla fine delle riprese si è riassaliti da quell’ombra che ci segue da mane a sera. Fare un film significa prolungare la sopravvivenza di un altro po’, mantenere una certa distanza dalla morte. Ma più il tempo passa più è difficile. Quando si stava preparando La Dolce Vita il produttore rimproverò Fellini per il sottofondo cupo della vicenda e il finale amaro. Gli disse “Federico, dammi un raggio di sole, almeno un raggio di sole”. Ventisette anni dopo, con Intervista, con questa splendida “chiacchierata confidenziale”, Federico ha regalato questo tenue raggio di sole.

Il film vincerà il Gran premio della Giuria a Cannes e poco dopo anche il Festival del Cinema di Mosca (23 anni dopo 8 e mezzo). Molti critici parlano di capolavoro, si moltiplicano Interviste (su Intervista!) e monografie retrospettive.
Il pubblico italiano, al contrario, diserta nuovamente le sale.
Il profeta Fellini ha fiutato in che senso sta andando la società italiana, non può che realizzare il suo ultimo amarissimo film La Voce della Luna.

PS Mario Bava era un ottimo direttore della fotografia e un abile scenografo e confezionatore di trucchi. Ma è palesemente in malafede chi accosta film come La maschera del demonio (1960) a La Dolce Vita (1960), o come I tre volti della paura (1963) a 8 e mezzo (1963), o come Gli orrori del castello di Norimberga (1972) a Amarcord (1973).
Sono due campi da gioco differenti e l’accostamento presuppone astio preconcetto verso uno dei nostri più grandi registi, che tutto il mondo ancora oggi, ci invidia.
Il fatto che possa non piacere non può autorizzare paragoni blasfemi per sminuirne la figura o delegittimarne l’importanza nella storia del cinema.

To be continued
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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 16-01-2006 10:29  
quote:
In data 2006-01-16 08:18, Schizo scrive:
PS Mario Bava era un ottimo direttore della fotografia e un abile scenografo e confezionatore di trucchi. Ma è palesemente in malafede chi accosta film come La maschera del demonio (1960) a La Dolce Vita (1960), o come I tre volti della paura (1963) a 8 e mezzo (1963), o come Gli orrori del castello di Norimberga (1972) a Amarcord (1973).
Sono due campi da gioco differenti e l’accostamento presuppone astio preconcetto verso uno dei nostri più grandi registi, che tutto il mondo ancora oggi, ci invidia.
Il fatto che possa non piacere non può autorizzare paragoni blasfemi per sminuirne la figura o delegittimarne l’importanza nella storia del cinema.


scusa ma continuo a non capire perché continui a parlare di Bava come se fosse un idraulico di dubbia abilità, e in base a quale diritto Fellini dovrebbe essere talmente superiore da non poter essere accostato a Bava.
Chi lo accosta a Bava è in malafede? Personalmente, se lo accostassi a Bava gli farei un complimento, per cui mi guardo bene dal farlo.

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Non vorrei mai appartenere ad un forum che accettasse tra i suoi moderatori uno come me.

[ Questo messaggio è stato modificato da: sandrix81 il 16-01-2006 alle 10:29 ]

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 16-01-2006 11:44  
No, infatti dovevo essere più preciso..
...chi lo accosta a Bava è un babbeo.
Ecco ora ci siamo.

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 26-01-2006 11:13  
LA VOCE DELLA LUNA (il silenzioso canto del cigno)

Nel 1990 esce, tra le solite fatiche produttive, La Voce della Luna che rappresenta una sorta di testamento spirituale, poiché da lì al 31 ottobre 1993, data della sua morte, Federico Fellini girerà, suo malgrado, solo qualche pubblicità.
Qui, Parret, siamo proprio nel buio e campane a morto risuonano dall’inizio alla fine del film.
La follia ci fa sentire voci che ci chiamano (qualche psichiatra azzarderebbe la diagnosi di schizofrenia) e Ivo Salvini (un perfetto Roberto Benigni) sente la voce della luna nel pozzo.
La follia ci fa vedere complotti ovunque e nemici dappertutto (qualche psichiatra parlerebbe di sindrome paranoide) e Il prefetto Gonnella (un altrettanto convincente Paolo Villaggio) si aggira solitario per il Borgo cercando microfoni e telecamere nascoste, sentendosi seguito e braccato. Due pazzi, due lunatici che sembrano risolvere a modo loro il conflitto con la realtà circostante, impregnata di un acre odore di morte, di volgari guardoni che ormai possono solo masturbarsi, mercificando i contorsionismi della giunonica di turno. Una realtà sempre più invasa dal mostro televisivo (c’è una immagine di Silvio Berlusconi arbitro accanto alla squadra del Milan che è un funesto presagio), dalla volgarità della gnoccata, dai talk show sulla cattura della luna,dalla mercificazione di materiali sacri, dalle urla di venditori imbonitori, dal rumore assordante e fonte di confusione.
E la musica? Ogni tanto qualche squarcio di eternità, 4 note capaci di far muovere gli oggetti, un momento di lucidità in un ballo di valzer (di Strauss) a ricordare un amore che non c’è più. Poi di nuovo il rumore assordante che copre i grandi interrogativi della vita, inestricabili. Ci sarà un foro per passare dall’altra parte? Tutti questi morti, dove stanno? Il fuoco quando si spegne, dove va? Cosa ci faccio in questo mondo?
Siamo partiti con Schopenhauer adesso ci ritroviamo con Leopardi e Collodi. Un pessimismo cosmico che in certi tratti è contaminato dalla coscienza di non avere più tempo a disposizione, di vivere su di un piano inclinato con la sensazione perenne di stare per cadere. La scarpetta di Cenerentola va a tutte le donne, non ne esiste una speciale. L’uomo è in ginocchio definitivamente , il suo ballo è patetico, tutto è già stato detto, tutto è già stato rivelato, nulla si sa, tutto si immagina.
Ma la fantasia non è un pozzo senza fondo e adesso dal pozzo tiriamo su la terra.
La luna annuncia la pubblicità ed è come alzare bandiera bianca.
Fellini sembra alzare le braccia al cielo e dire :”Mi arrendo!”. Malgrado certi momenti di intatto talento visionario, la stanchezza sembra prendere il sopravvento, quella luna catturata e gli spari contro di essa sono un concentrato di malinconica stanchezza.
Ivo si ritrova davanti al pozzo dei suoi desideri catturato da voci che non riesce a decifrare.
“Eppure io credo che se ci fosse un po’ di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa riusciremmo a sentire….”.

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parret

Reg.: 14 Set 2004
Messaggi: 446
Da: milano (MI)
Inviato: 26-01-2006 14:58  
Forse proprio nel buio, nella fresca bestialità, nel nulla della vegetazione, nel movimento meccanico del corpo fagocitato dalla voragine ritmica di una musica frastornante e rumorosa, proprio in questa terra di nessuno ai confini del mondo conosciuto si trova la salvezza, la possibilità ancora di stupire e sedurre in La voce della Luna.. Mi sembra poi troppo politicamente corretto, qui come in Ginger e Fred, il rinvenire tutto questo rancore da parte di Fellini nei confronti di una civiltà, quella del potere e dell'affabulazione dell'immagine nei confronti delle masse, di cui lo stesso Fellini si è fatto grandissimo poeta. Non dimentichiamoci che a prendere le distanze nei confronti di una società dello spettacolo di massa sarebbe uno dei più grandi e potenti incantatori delle masse del secolo. Alla coscienza dell'apocalisse, del naufragio generale della collettività (che è innegabilmente presente, se non altro per la vena grottesca-caricaturale), si accompagna però il richiamo calamitante degli stessi

[ Questo messaggio è stato modificato da: parret il 26-01-2006 alle 15:07 ]

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 26-01-2006 16:00  
E' il film più desolato e desolante di Fellini. Cupo, buio, disperato. Anche la rappresentazione della donna vaporiera e della gnoccata acquistano aspetti sinistri e aneliti di morte.
In Ginger e Fred e In La Voce della Luna è bersaglio la televisione e il suo potere di massificazione.
Fellini è un grande genio del Cinema che anche se ha incantato milioni di persone non può fare finta di non vedere la deriva di una società circostante volgare e senza più punti di riferimento. L'attrazione magnetica non è verso il rumore e la volgarità attorno ma verso il silenzio, verso la magia delle pause, verso il potere incantatore della musica edelle immagini.
Non vedo alcun compiacimento voluttuoso, ma tanto sarcasmo, molto cinismo, abbondante disillusione. La salvezza può essere nella poesia del silenzio.

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 28-01-2006 01:37  
La Voce della luna purtroppo mi annoiò molto al cinema, e così non sono più tornato a vederlo.
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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 30-01-2006 18:02  
“Eppure io credo che se ci fosse un po’ di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa riusciremmo a sentire….”.
Con questa frase si conclude la storia cinematografica di Federico Fellini. Se ci voltiamo indietro vediamo che un percorso enorme è stato compiuto. Un primo blocco narrativo che va dal 1950 (Luci del Varietà) al 1957 (Le Notti di Cabiria).Accessibile, spirituale, a volte moraleggiante, comunque già visionario, molto più vicino a Chaplin che a Jung. La Dolce Vita fa da punto di snodo cruciale e fondamentale. Poi un secondo blocco narrativo che va dalla Dolce Vita fino a Giulietta degli Spiriti (passando per 8 e mezzo) in cui l’autoanalisi psicologica, il seme della disperazione, vengono rappresentati con una trasfigurazione originale. Insomma Jung e Picasso si danno la mano. Un altro film boa fondamentale che è Satyricon (1968). Poi un terzo blocco narrativo che va da Roma fino ad Amarcord in cui la memoria sembra lenire un poco le sofferenze. Infine un quarto e ultimo blocco Scophenaueriano che va da Casanova fino alla Voce della Luna con piccoli tenui raggi di sole rappresentati da Intervista e Prova D’Orchestra.
Fellini lascia la scena dopo aver regalato momenti di eternità, e un modo diverso di vedere le cose.
Federico Fellini esce di scena sulle note della famosa marcetta di Rota in 8 e mezzo e si congeda dal suo mondo di sogno come quel bambino di rimini inghiottito dal buio. Ci saluta come Paoletta nel finale della Dolce Vita, dai Federico, nonostante tutto questo casino attorno, forse qualcosa siamo riusciti a sentire. E questo forse può essere quel raggio di sole consolatorio che tanto cercavi.

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 06-02-2006 00:56  
THE END
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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 06-02-2006 03:09  
quote:
In data 2006-02-06 00:56, Schizo scrive:
THE END




Tutti i salmi finiscono in GLORIA!

Bel lavoro che hai fatto. Quasi, o meglio di un Castorino.


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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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HarryLime

Reg.: 05 Feb 2006
Messaggi: 119
Da: Roma (RM)
Inviato: 06-02-2006 12:46  
quote:
In data 2006-01-12 00:07, sandrix81 scrive:
quote:
In data 2006-01-11 17:22, Schizo scrive:
E quel carrello indietro nel finale che svela il trucco del grande mago Fellini ( e di tutta la troupe di Cinecittà) è una geniale ammissione di colpevolezza: è vero vi ho ingannato,il mare è di plastica, la nave è finta come il sole ela luna, ma siete stati insieme a me almeno per un sogno….siete stati insieme a me in questo grande sogno che è il Cinema.


sì sì.
peccato che l'avesse già fatto Mario Bava giusto 20 anni prima.




Hai ragione non ci avevamo mai pensato: Fellini era un copione geniale, Bava aveva già detto tutto 20 anni prima. Cosa sarebbe stato Fellini senza Bava?
_________________
In Italy for thirty years under the Borgias they had warfare,terror,murder,bloodshed but they produced Michelangelo, Leonardo da Vinci and the Renaissance.In Switzerland they had brotherly love, five hundred years of democracy and what did that produce?

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 07-02-2006 08:05  
Molto ironico...
I suppose...


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