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Stessa storia: scriviamo (3) |
gatsby
 Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 25-03-2008 08:38 |
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Incipit scelto da mulaky:
"La visione di quel posto lasciò di stucco il giovane a bordo della sua Jeep. Era come se tutti fossero scappati, lasciando solo uno scenario desolato."
Massimo battute: 5000
Si può scrivere da oggi fino a Mercoledì 9 Aprile.
Si può votare da Giovedì 10 a Mercoledì 16
NUOVA REGOLA: CHIUNQUE POSTI IL PROPRIO RACCONTO E' OBBLIGATO A VOTARE SE VUOLE PARTECIPARE AL CONCORSO (NEL CASO NON LOL FACESSE I VOTI CHE RICEVERA' NON SARANNO CALCOLATI).
Si ricorda che è possibile autovtarsi, ma i voti poi sono resi pubblici, quindi non sarà il massimo del buon gusto.
Per votare inviatemi un pvt nelle date sopra indicate con 3 nomi in ordine di preferenza (riceveranno rispettivamente 10 6 e 4 punti).
Buon gioco
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Vendo divano letto, riletto e anche un po' sottolineato
[ Questo messaggio è stato modificato da: gatsby il 01-04-2008 alle 10:06 ] |
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Chenoa
 Reg.: 16 Mag 2004 Messaggi: 11104 Da: Vittorio Veneto (TV)
| Inviato: 28-03-2008 23:53 |
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Priorità
La visione di quel posto lasciò di stucco il giovane a bordo della sua Jeep. Era come se tutti fossero scappati, lasciando solo uno scenario desolato.
In realtà sapeva benissimo che gli altri si trovavano nel lato opposto della grande recinzione, dato che si erano divisi i compiti, eppure la solitudine si impadronì ugualmente di lui, tutto d’un tratto.
Spense il motore della macchina e i fari, precipitando all’improvviso nella notte. Respirò silenziosamente all’interno dell’abitacolo umido e gli occhi a poco a poco si abituarono a quel buio, distinguendo lentamente il panorama che lo circondava.
Trascorsero alcuni secondi interminabili in cui riuscì a percepire persino il percorso di ogni singola goccia di sudore che gli scendeva dalla nuca fin giù per la schiena. Il mondo gli parve sempre più scuro e ovattato, come se tutto stesse sprofondando nel terreno, lentamente. Si appoggiò allo schienale della Jeep, lasciando che la maglietta gli si appiccicasse al corpo.
Da lontano cominciò a sentire il verso di alcuni grilli.
Il display blu del cellulare gli illuminò di colpo il viso: un messaggio.
<Stiamo entrando, tu?>, scriveva Patti. Lasciò il telefonino aperto sulla schermata di risposta.
Dio santo, stava davvero per farlo?
Mesi di preparazione, di congetture, di schemi, di prove. Tutto per arrivare a quella notte, in cui finalmente lui e gli altri sarebbero penetrati nel laboratorio per liberare quei poveri animali, in barba ai divieti, alle leggi, alla scienza e al mondo intero. Quello stesso mondo che lui e Patti si divertivano a insultare, nelle serate passate a studiare la pianta dell’edificio e il modo in cui sarebbero penetrati al suo interno. Si sentivano potenti, l’uno accanto all’altra, mentre decidevano della libertà di quelle bestiole. Poi era capitato quel bacio e infine, prevedibilmente, il sesso. Forse a causa dell’euforia generale e dell’eccitazione prima del grande evento, o magari sarebbe capitato comunque, d’altronde Patti era una donna davvero affascinante, di una sensualità selvaggia a cui difficilmente un uomo riusciva a resistere e, in fondo, Fabio non era diverso dagli altri uomini.
Si asciugò la fronte e digitò deciso la risposta: <Entro ora.>
Chiuse il telefonino e lo ripose con calma in tasca, poi aprì la portiera dell’auto e, dopo un profondo respiro, smontò atterrando sull’umido terriccio di montagna.
Cominciò a camminare spedito, la pila accesa a rischiarare la via. Ad ogni passo che faceva, sentiva le budella attorcigliarsi nella pancia e le vene del collo pulsargli così rumorosamente che ad un tratto dovette fermarsi, per la paura di essere scoperto da un momento all’altro. In un ultimo sforzo allungò la mano e afferrò saldamente la rete. Recuperò il coltello dalla tasca e cominciò velocemente a tagliare i fili uno ad uno, finché non riuscì a creare un varco che gli permettesse di infilarsi al di là del recinto.
Una volta oltrepassata la proprietà Fabio si sentì improvvisamente invaso da un’inaspettata e insperata sicurezza. Era come se lì dentro, invece di animali destinati alla vivisezione, fosse stato imprigionato il suo coraggio, di cui percepiva il lamento sommesso. Sentiva che era sé stesso che stava andando a liberare, finalmente.
Patti andò a trovarlo quasi un mese dopo l’incidente, quando l’autunno aveva già cominciato a dipingere la natura dei suoi colori più tipici. I punti di sutura si vedevano ancora, d’altronde quella notte uno dei cani a cui aveva così generosamente donato la libertà gli aveva dilaniato con un morso il polpaccio e quasi non riusciva ancora a camminare correttamente.
“Mi dispiace” furono le prime parole della ragazza, pronunciate ancora sull’uscio di casa. Non servivano saluti o convenevoli e in quella situazione, dopo tutti quei giorni di silenzio, Fabio non li avrebbe nemmeno apprezzati. La guardò negli occhi, senza dire una parola. Osservò a lungo i lineamenti del suo volto contrito: aveva un’espressione mai vista prima. Gli venne in mente la strana sensazione di solitudine provata prima di entrare nel laboratorio, prima di essere ferito, prima che non potesse più muoversi dal dolore, prima che venisse scoperto dalle guardie lì, al buio, da solo. La forza che stava riscoprendo grazie a quell’azione simbolica assieme ai suoi amici e alla sua donna si era tramutata in un miserabile fallimento, sotto tutti i punti di vista.
“Perché non sei venuta prima? Perché quella notte mi hai lasciato lì, come hai potuto farlo?” A pronunciare quelle poche parole Fabio sentì una nuova agitazione percorrerlo tutto e strinse forte i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne, come se una nuova ferita potesse scacciarla dal corpo.
“S-siamo stati presi alla sprovvista. Ma non potevamo fermarci, stavamo aprendo le ultime gabbie. Dovevamo finire di mettere in salvo gli animali, capisci?”, replicò Patti, abbassando lo sguardo per la vergogna.
[ Questo messaggio è stato modificato da: Chenoa il 29-03-2008 alle 00:04 ] |
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anthares
 Reg.: 21 Set 2004 Messaggi: 14230 Da: Trento (TN)
| Inviato: 29-03-2008 13:37 |
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RIPARTIRE DA ZERO
La visione di quel posto lasciò di stucco il giovane a bordo della sua Jeep. Era come se tutti fossero scappati, lasciando solo uno scenario desolato. Ma come era arrivato fin lì?
Si ricordava solo il rumore.. un tonfo sordo che l’aveva svegliato, anche se, pensandoci bene, non rammentava affatto d’essersi addormentato; sentiva la bocca amara e impastata, gli occhi incollati che bruciavano, e un intenso dolore ad un piede incastrato sotto il pedale del freno.
Guardando a fatica attraverso il parabrezza vide in lontananza un’alta montagna con la cima innevata e delle colline con qualche casetta isolata sparsa qua e là; vicino alla macchina solo rade e brulle sterpaglie e un fossato maleodorante quasi interamente coperto alla vista da un alto canneto che costeggiava lo sterrato sconnesso della stradina. Il silenzio delle prime ore dell’alba era rotto dal gracidare di qualche rana, e dal fruscio delle canne mosse dal vento.
Era consapevole che dal suo corpo emanava un acre e pesante odore di sudore misto a vomito e urina, aveva la camicia sporca sul davanti e bagnata sotto le ascelle, i jeans umidi al cavallo.
Con angoscia si rese conto di non sapere com’era finito lì in quelle condizioni, non ricordava più niente, nemmeno il proprio nome. Provò l’irresistibile impulso di uscire dalla macchina e mettersi ad urlare, ma impose a se stesso di calmarsi e riflettere.
Si portò le mani al viso, quasi per nascondersi, e nel farlo notò che all’anulare sinistro luccicava una fede, la tolse e all’interno lesse: Simona 15/09/2006. Dunque era sposato.
Serrò gli occhi per una manciata di secondi, obbligandosi inutilmente a ricordare, quando li riaprì guardò nello specchietto retrovisore della jeep.
Si trovò davanti un perfetto sconosciuto, occhi scuri, bocca e naso regolari ed armoniosi, capelli neri tagliati corti, carnagione leggermente abbronzata: pensò che quel ragazzo, in condizioni migliori, doveva essere un gran bel figo, e per un assurdo attimo dimenticò quasi l’angoscia e gli venne da sorridere.
Guardandosi attorno nell’abitacolo, notò che sul sedile del passeggero c’era un portafoglio e lo aprì: duecento euro, un bancomat, la carta d’identità. La foto del documento ritraeva lo sconosciuto, ma con un’espressione molto spavalda e sicura di se, ben diversa da quella spaventata e sofferente che aveva ora.
Lesse i dati con ansia mista a curiosità:
Cognome Maffei
Nome Sandro
Nato il 09/07/1975
Residenza Trento
Segni particolari : a matita leggera qualcuno aveva scarabocchiato stronzo
Si osservò di nuovo nello specchietto retrovisore.
Era sempre uno sconosciuto.
Ragionò con se stesso: potrei anche soffrire di una di quelle amnesie temporanee.
Si appoggiò all’alto schienale della jeep respirando lento per rilassarsi, e finalmente il paesaggio che lo circondava cominciò a sembrargli più familiare: quelle sullo sfondo erano le colline a sud di Trento, con il Bondone innevato che le sovrastava, e si trovava su una stradina di campagna che aveva percorso molte altre volte.
Nella sua mente che si stava schiarendo cominciarono a sfilare poco alla volta tanti piccoli brandelli di una vita.
Una donna che piangeva seduta accanto ad un uomo disteso sul letto con indosso un vestito elegante, i suoi genitori forse? Una bella ragazza vestita da sposa che sorrideva raggiante .. forse sua moglie? Poi altre ragazze troppo truccate, una serie infinita di bar, risse, scene di vita sporca, brutta, che non gli piaceva.
Vide la prima ragazza che riempiva di abiti alcune valigie ma ora non sorrideva più, aveva un’espressione dura e rabbiosa; il ragazzo cercava inutilmente di convincerla a restare, lei andava via sbattendo la porta. Lui che usciva a sua volta ed entrava in uno dei tanti bar, una bottiglia di gin, una folle corsa in macchina lungo stradine di campagna deserte, in piena notte.
Mentre le immagini di quella che doveva essere la sua vita si delineavano una dietro l’altra nella sua mente, cominciò dapprima a sentire dentro un lieve disagio, poi un senso di rabbia mista a paura, che si faceva via via sempre più forte ed insopportabile.
Riaprì la carta d’identità, guardò di nuovo la fotografia di quel ragazzo con gli occhi neri dallo sguardo sicuro e spavaldo, che sembrava sapesse con certezza quello che voleva dalla vita e, in quell’istante, decise che non voleva ricordare altro, si sarebbe lasciato tutto il suo inutile passato alle spalle ripartendo da zero.
Aprì il finestrino e buttò lontano la bottiglia vuota del gin, poi lo richiuse, senza accorgersi che a pochi passi da lui, nell’acqua marcia del fossato, c’era il corpo del mendicante che aveva investito guidando ubriaco fradicio.
Accese il motore della jeep e ripartì veloce, sgommando. |
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eltonjohn
 Reg.: 15 Dic 2006 Messaggi: 9472 Da: novafeltria (PS)
| Inviato: 29-03-2008 14:15 |
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ARDENNE
La visione di quel posto lasciò di stucco il giovane a bordo della sua Jeep.Era come se tutti fossero scappati lasciando solo uno scenario desolato.
In realtà più che scappati erano stati tutti quanti polverizzati e fatti a pezzi,tutto attorno solo erba bruciata,alberi carbonizzati,rottami ed odore di cordite,i tedeschi avevano davvero fatto un gran bel lavoro in quell'angolo maledetto delle Ardenne dove non era stato ancora possibile piantare nessuna bandiera a stelle e strisce.Il giovane tenente Di Fazio scese dalla Jeep verde oliva,si guardò attorno deglutendo,constatando con terrore e sollievo che se non avesse ricevuto quell'ordine di recarsi come un razzo nelle retrovie a richiedere copertura aerea, a quest'ora le sue budella sarebbero rimaste appese ai rami di quegli alberi anneriti.Camminò tremando in mezzo a tutta quella desolazione,calpestò qualcosa di consistenza molle e scivolosa,pareva una medusa ma era probabilmente una milza umana,più in la tra le fronde di un cespuglio una testa ancora indossante un elmetto sembrava guardarlo fisso con espressione di scherno,era la testa staccata di netto di quella recluta dell'Iowa arrivata fresca fresca solo due giorni prima,un certo Reeves,così gli pareva di ricordare.
Nessuno sembrava davvero essere sopravvissuto;Hughes,Mc Cormack,D'Antonio,Clayton il gigantesco nero di Detroit con la fissa di diventare un grande della boxe,Murray il semi analfabeta del Mississippi che tutti sfottevano per via dell'accento sudista e perchè era fermamente convinto che la fidanzata lo avrebbe aspettato ancora "intatta" al suo ritorno,Schmidt che si vergognava delle sue ascendenze crucche e che alcuni per sfotterlo lo salutavano con un bel "Heil Hitler!",Horshak l'ebreo di New York con la fissa del cinema e delle pinups,Cristo santo! Com'era possibile che cosi tanti commilitoni e subalterni con i quali aveva condiviso mesi e mesi di vita di caserma fossero spariti tutti quanti nello spazio di un'ora o nemmeno? E che fine di merda!
Che fare gridare come un demente "C'è ancora qualcuno vivo da qualche parte?",ritornare indietro e riferire dell'accaduto? Certo si, ma ormai lo sapranno di sicuro, con mano tremante Di Fazio tirò fuori il pacchetto di Luckys e se ne accese una,quell'odore intenso di cordite non permetteva certo di apprezzare il gusto di fumo di tabacco,ma si sa, in certi frangenti fumare è praticamente obbligatorio. Si sentiva come quel tale, l'unico sopravvissuto alla battaglia di Little big horn, anche lui guarda caso un "dago" spedito via dal campo di battaglia dallo stesso Custer per richiedere rinforzi, ma le frecce e i winchester non riducevano i commilitoni in poltiglia come questi maledetti obici Krupp "i colpi di tosse del Fhurer".
Guardò in alto nel cielo, il rumore degli aerei era chiaramente udibile ma non se ne vedevano, solo nuvole dense color metallo e pulviscolo nero che ballava vorticoso senza sosta tra lievi coltri di fumo ancora non del tutto dissipate, che voglia di essere altrove, che voglia di chiudere gli occhi ed estraniarsi da tutto ciò.
Ad un tratto un rumore di stivali che calpestano rami secchi lo riportò di colpo alla realtà, provveniva da un boschetto di querce rimasto miracolosamente intatto in mezzo a tutto quello sfasciame, Di Fazio tirò fuori la Browning di ordinanza, la sigaretta a penzoloni sul labbro inferiore tremò ritmicamente insieme a tutto ciò che vi era attaccato, un sudore freddo ed un forte senso di vuoto allo stomaco completavano l'insieme delle sensazioni poco piacevoli del momento; " Chi va là! Fermo o sparo...dico sul serio!", nessuna risposta,solo il calpestio di stivali tra il sottobosco ed una nenia bavarese cantata sotto voce quasi con non curanza; "Mi hai sentito?! Fermo la' o ti scarico la pistola addosso...Cazzo non scherzo sai?!"
Un ometto in divisa grigioblu spuntò fuori dagli alberi, il fucile allegramente a tracolla come fosse stato un cacciatore di quaglie, continuando a canticchiare come niente fosse quella canzoncina tedesca, avrà avuto circa quarantacinque anni, incedeva verso Di Fazio con fare non curante,tranquillo, bonario senza nemmeno guardarlo in faccia; "Ciao americano!" si avvicinò al tenente, gli staccò la sigaretta ancora accesa e fumante dalla bocca e la usò per accendersene una a sua volta.
" A me piacciono americani, io no tedesco, io austriaco, non fatto io tutto ciò, io solo voler accendere sigaretta, tu mette via pistola...bitte!"
"Ma...ma che cazz.."
"Ora ognuno va verso proprie linee okay? Tanto ormai guerra la vincete voi, non ci piove ja?"
"Va bene, ma tu sei un nemico e quindi io dovrei.."
"No,no,no lascia perdere guerra...tu di dove sei California? Hollywood? Tu conosce Hollywood?"
"No io veramente sarei del New Jersey ma..."
" Se tu va a Hollywood da questa busta a mio cugino Billy, è storia per film, lui fare film, tu capisce?"
"Ma chi è questo Billy?"
"Tutti conosce Billy in Hollywood, tu da questa a lui mi raccomando e io no spara a te e tu no spara a me, naturalmente..."
Lo strano ometto in divisa si voltò e ritornò verso il boschetto di querce lasciando il tenente Di Fazio come un idiota esattamente dove l'aveva incontrato. Il tenente osservò e rigirò tra le mani lo strano plico consegnatoli dal militare nemico, lo aprì e vi trovò un centinaio di pagine o forse più scritte fitte, in alto sulla prima pagina scritto a caratteri spessi quello che pareva essere un titolo:
"A QUALCUNO PIACE CALDO"
_________________ Riminesi a tutti gli effetti...a'l'imi fata! |
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revangier
 Reg.: 05 Feb 2008 Messaggi: 2484 Da: NAPOLI (NA)
| Inviato: 09-04-2008 08:34 |
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VALZER NELLE TENEBRE
La visione di quel posto lasciò di stucco il giovane a bordo della sua Jeep.
Era come se tutti fossero scappati, lasciando solo uno scenario desolato.
Nebbia polverosa, cielo coperto eppure lo pervase una calma interiore.
Poteva liberarsi da quella serie di assurdità insidiose che si erano infiltrate nel suo cervello, cercare conforto nel liquido fresco e portentoso.
I piccoli di ragno che vivono nel fiume Sacramento, appena pronti a lasciare il nido per andare in cerca di avventure, tessono un lungo filo di ragnatela, ci saltano sopra e si lanciano verso l’ignoto.
Fluttuando a mezz’aria, si lasciano trasportare dal vento e alla fine atterrano in un posto nuovo.
Così Alain venne catapultato nel mistero solenne appena la sostanza entrò in circolo nel flusso sanguigno.
Nella sua mente passavano, come sul nastro di una macchina dattilografica, frasi di Secrets, della filosofa Sissela Bok: "Siamo tutti esperti di segreti. Conosciamo il potere che danno e il peso che rappresentano".
E prese a fissare la fedele riproduzione de "La persistenza della memoria" di Salvador Dalì, accomodata sul sedile dell'ospite.
Come un drappo ondeggiante, il vento sibilò sul silenzio dell'anima.
Smise di fabbricare pensieri, spense il motore della locomotiva cerebrale e cominciò l' "assunzione", se la iniettò tutta d'un colpo nella vena gonfia e affamata di quella merda bianca.
La sua testa partì per il viaggio in un coma di seduzione.
Trasportato come le placide acque nello scorrere dei suoi itinerari, camminava nell’eco di un'armonia incantata sotto un cielo sereno.
Sul prato, calpestando l’erba, Alain correva col filo legato al polso per quelle distese immense e rincorreva il suo aquilone sulle verdi colline.
Seduto sulla seggiola del suo banco scolastico, studiava poesie, lungo il viale vide lei e l'amore lo scosse nelle regioni più ancestrali del cuore.
Dolce Stil di Vita Nova, raffinato galateo di nobili sentimenti.
Quando la figura di lei gli si formava davanti agli occhi, reale o immaginaria, recitava silenziosamente i versi di quel sonetto che Dante dedicò alla sua Beatrice:
<< Tanto gentile e tanto onesta pare quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. >>
E sospirava come suggeriva lo spirito soave filtrato dalle labbra seducenti di Leyla, dolce suono.
Non restava che un denso rimpianto, tenero segreto rivelato in quel biglietto mai consegnato.
Cominciò a piovere, leggero ticchettio sui vetri, Alain non se ne accorse.
Ascoltava soavi canti angelici nell'approssimarsi di un'alba ghiacciata nel buio lugubre dei suoi avviliti rammarichi, una lacrima gli rigò il volto.
La pioggia s'infittì e picchiava sui vetri del fuoristrada in cui giaceva il suo corpo caduto in un letargo indotto.
Stava piombando nel buio più buio, dove lo scintillio degli occhi non dà neppure un lampo.
Nei corridoi oscuri della vita, dove non esistono squarci di colori.
In quel buio, dove il mortale non inseguiva orme ideali verso raggi caldi, Alain restò prigioniero.
Il pentimento tardivo non avrebbe riscattato in saldo la sua vecchia anima.
La camionetta era ormai immersa nel fango di una pozzanghera consistente.
Sembrava che la terra dovesse spaccarsi per far emergere dalle sue viscere l'orrore che avrebbe contaminato la valle di una coltre così gelida da lenire la forza dell'astro che dà luce e calore, viscido e ripugnante alla stregua dei più spaventosi demoni annidati nella creatività di H.P. Lovecraft e degno di essere immortalato dalla penna di E. A. Poe.
Il sangue prese d'improvviso a scorrergli più veloce nelle vene.
Una scure stava per abbattersi sulla tua testa inerme.
Vermi avrebbero riempito il suo corpo mutilato nella ghiaia del grande fiume.
I suoi capelli sarebbero rotolati sui sentieri del tempo.
Occhi persi nell'angoscia dell'attesa, volto implorante, labbra storte dal terrore.
Precipitò in un mare di colore nero e sfumature violacee dove le sue sembianze si sarebbero dissolte.
Fulmini rossi squarciarono il cielo viola.
Una pioggia nera gli bruciava la pelle e si vide circondato da figure infernali che emettevano strazi e lamenti.
La sua voce fuoriuscì come una cascata gorgogliante cui siano state tolte improvvisamente le barriere di contenimento, esplose nell'etere nero, portando il dolore della verità.
Una mareggiata inghiottì quelle anime agitate.
Gli piaceva rintanarsi nel suo mondo, ci rimase per sempre.
L’unica fonte di illuminazione erano i fanali giallognoli della vettura simili a scrigni sepolcrali di pupille evocatrici di morte, solcate da mefistofeliche venature di sangue.
Il tenente della polizia lo trovò col capo reclinato in un’espressione angustiata.
Tra le dita stringeva un foglietto stropicciato. L’inchiostro era quasi evanescente.
Alla fine comprese e l’acqua di una lacrima d’addio rigò il viso di Leyla.
Sulla tela, tra gli orologi molli di quel paesaggio ritratto dall’alto, c’era un giovane dormiente a bordo di una Jeep.
[ Questo messaggio è stato modificato da: revangier il 09-04-2008 alle 12:33 ] |
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liliangish
 Reg.: 23 Giu 2002 Messaggi: 10879 Da: Matera (MT)
| Inviato: 09-04-2008 18:45 |
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La Moglie e l'Amante
La visione di quel posto lasciò di stucco il giovane a bordo della sua Jeep. Era come se tutti fossero scappati, lasciando solo uno scenario desolato. Eppure era lo stesso posto che la sera prima era illuminato a giorno dalle fiaccole e ospitava la Corte di un Re. Solo che non erano passate ventiquattro ore. Erano passati più di tre secoli.
Poi la scorse. Maia era seduta davanti al cancello. Gli venne incontro, impaziente. “Aigal! Allora? L’hai scoperto? Chi era?”
“Sei curiosa, eh? Te lo dirò… ma prima voglio sapere, da te, come hai fatto la tua parte.”
Lei sbuffò, impaziente, ma cominciò a raccontare.
“Quando mi svegliai, stamattina…” Rise del paradosso. “Ero piuttosto nervosa. Eravamo lì da due settimane, e non c’era verso di scoprire il segreto. Mi tormentavo a questo pensiero, quando sentii suonare la campanella di Madame. Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai nella sua stanza. Non ebbi propriamente dei modi da dama di compagnia, ma per mia fortuna Madame Henriette era di buon umore. Sedeva davanti al tavolino da toilette di marmo rosa e si dava il belletto con sussiego e soddisfazione. Dicevano che fosse la donna più bella della Corte, e ne sembrava convinta. Si era appena vestita che si sentì bussare alla porta e la testolina bruna di mademoiselle Atenaïde annunciò la visita del Conte di Guiche. Fui stupita. Il Conte de Guiche era il favorito di Monsieur Philippe. Che cosa veniva a fare nelle stanze della moglie del suo amante? Anche se lei non era gelosa…”
Aigal la interruppe. “Henriette, gelosa di Philippe? Certo che lo era. Ma non nel senso che si attribuisce normalmente alla locuzione moglie gelosa…” ridacchiò. “Essere il maggiordomo di Philippe è stata un’attività di grande soddisfazione. Credo che di pochi reali si possa dire che abbiano avuto un così bel culo.”
Maia ebbe un gesto stizzito: “Non interrompermi! Dunque, Henriette passò dalla sua camera al salottino, congedò le dame e tenne solo me, perché non era conveniente che restasse da sola con uomo, neanche se quest’uomo era notoriamente omosessuale. Gli si sedette accanto, sul canapé di velluto azzurro, lasciò che le prendesse una mano per baciarla. Non sembrava gelosa… piuttosto, compiaciuta.
Il Conte le disse che Philippe era diventato insopportabile. Che quella mattina non aveva voluto neanche vederlo, ma si era chiuso nelle sue stanze con… beh, con te. Che non era giusto, dopo tutto quello che aveva passato per lui, e le nottate di caccia, la posta al cinghiale, i duelli all’alba sulla spiaggia… Henriette annuiva, e si comportava proprio come una buona amica: gli disse di avere pazienza, che Philippe sarebbe tornato da lui, che un’amicizia come la loro non si sarebbe spezzata per un capriccio... A un tratto lui sembrò sul punto di piangere, le posò la testa sul petto e lei prese ad accarezzargliela, teneramente, passandogli le dita tra i capelli, giocherellando con i lobi delle sue orecchie... Un atteggiamento veramente strano, per un’amica o per una moglie gelosa. E mentre lo accarezzava, lui le afferrò un seno e lo morse!”
“Lo morse?”
“Già! Le morse una tetta, con tutta l’anima! Lei si mise a ridere, si voltò verso di me e si portò un dito alle labbra.”
“E poi?”
“Continuò a farsi mordicchiare e sbaciucchiare. Il collo, il seno, la bocca… Finché, ridendo sommessamente, mi fece un cenno imperioso, aprì la porta della sua stanza da letto e ci si infilò dentro con il Conte, lasciandomi a piantonare il salottino. Fu allora che pensai: questo segreto di Madame vale il segreto che vogliamo strappare a Monsieur. E corsi ad avvertirti. Poi tornai qui, nel nostro tempo… cinque minuti fa. E tu?”
“Dissi a Philippe che avevo in serbo per lui una gran sorpresa. E che se fosse stato soddisfatto della mia sorpresa, avrebbe dovuto concedermi quel che gli chiedevo da giorni: visitare un certo prigioniero della Bastiglia. Quando aprì la porta della camera da letto di sua moglie e ci trovò il Conte mezzo svestito, gli occhi gli si riempirono di lacrime. Capita, che tua moglie ti tradisca con il tuo migliore amico, ma che ti tradisca con il tuo amante è davvero troppo. Credo che mi odiasse, per quello che gli avevo fatto scoprire, ma era un Principe Reale, e avrebbe mantenuto la parola data. Mi diede un lasciapassare per visitare il prigioniero.”
“Chi era?” le pupille di Maia si dilatarono per la curiosità.
“Non portava una maschera di ferro… ma di velluto. Gliela tolsi, delicatamente, e scoprii cosa c’era da nascondere: una malattia. Sindrome di Down.”
“Era davvero figlio di Luigi XIII?”
“Se non lo era, perché nasconderlo alla Bastiglia? Ma non potremo mai saperlo con certezza.”
Lei, delusa, cambiò discorso. “La Jeep? L’hai rubata?”
“Era parcheggiata in Place de la Bastille. Non volevi mica che arrivassi fin quassù a piedi? Monta, dài, che ce ne andiamo.”
Maia si voltò a guardare un’ultima volta il Palazzo. “Mi mancheranno, gli intrighi di Versailles.”
Aigal sospirò. “A me mancherà soprattutto Philippe, il bel Duca d’Orléans, fratello del Re Sole.”
_________________
L'importante è esserne convinti.
[ Questo messaggio è stato modificato da: liliangish il 09-04-2008 alle 18:46 ] |
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revangier
 Reg.: 05 Feb 2008 Messaggi: 2484 Da: NAPOLI (NA)
| Inviato: 14-04-2008 12:51 |
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Janet,
per favore,
cancellami questo post e il racconto.
Non ci riesco.
Grazie mille.
_________________
Same rules don't apply to everyone! |
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Fakuser
 Reg.: 04 Feb 2005 Messaggi: 2656 Da: Milano (MI)
| Inviato: 14-04-2008 12:55 |
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quote: In data 2008-04-14 12:51, revangier scrive:
Janet,
per favore,
cancellami questo post e il racconto.
Non ci riesco.
Grazie mille.
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a fare che ? a essere decente ?
_________________ Silencio... |
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gatsby
 Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 17-04-2008 19:09 |
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gatsby
 Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 17-04-2008 19:12 |
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anthares
 Reg.: 21 Set 2004 Messaggi: 14230 Da: Trento (TN)
| Inviato: 17-04-2008 20:15 |
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ma ho vinto!!
visto lo scarsissimo numero di partecipanti
e di entusiasmo che ha raccolto questa tornata di gara.. mi sembra un pò una vittoria così
comunque sono contenta che il mio racconto vada nell'albo d'oro.
grazie mille e un bacio ciascuno a janet..
joeblack..history e andrea.
@ sloberi: me lo metti vero il mio racconto nell'albo d'oro?
_________________ ci vuole intelligenza.. per capire di essere idioti. |
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liliangish
 Reg.: 23 Giu 2002 Messaggi: 10879 Da: Matera (MT)
| Inviato: 17-04-2008 21:43 |
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anthares
 Reg.: 21 Set 2004 Messaggi: 14230 Da: Trento (TN)
| Inviato: 18-04-2008 09:41 |
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grazie lilian.
per l'incipit aspetto le direttive del nuovo caposquadra.. mi dirà lui quando dovrò comunicarglielo.
_________________ ci vuole intelligenza.. per capire di essere idioti. |
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Chenoa
 Reg.: 16 Mag 2004 Messaggi: 11104 Da: Vittorio Veneto (TV)
| Inviato: 18-04-2008 11:30 |
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Complimenti alla vincitrice!
E speriamo che la prossima volta ricomincino a partecipare tutti gli altri... |
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thetourist
 Reg.: 01 Mag 2007 Messaggi: 7007 Da: estero (es)
| Inviato: 18-04-2008 12:15 |
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complimenti ad anthares
io stavolta non ho votato perchè non ho ancora letto tutti i racconti.
quello di elton come al solito mi è piaciuto molto.
e non ho partecipato per mancanza di ispirazione (eh lossò, capita anche ai migliori però)
se mi date un incipit adesso vi scrivo un libro di racconti
_________________ Fortunatamente, secondo la moderna astronomia, l'universo è finito: un pensiero consolante per chi, come me, non si ricorda mai dove ha lasciato le cose. |
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