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 Reg.: 08 Giu 2004 Messaggi: 10143 Da: CARBONERA (TV)
| Inviato: 05-07-2005 10:16 |
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Andrea Tani - Le circostanze e il caso stanno portando il premier britannico Blair ad assumere un ruolo di leadership internazionale che nessun altro responsabile politico internazionale condivide oggi in egual misura, ad eccezione forse del presidente americano Bush, che tuttavia è condizionato da scelte operate in passato e non può discostarsi molto da percorsi più o meno obbligati. Questo ruolo si sta rivelando particolarmente cruciale nella presidenza semestrale della Ue che il primo ministro del Regno Unito ha assunto quattro giorni fa, nel momento più drammatico della storia dell'Unione, nonché nella specialissima azione di sprone alla risoluzione dei terribili problemi dell'Africa che lo stesso Blair ha avviato da molto tempo. La stessa azione si è concretizzata qualche mese fa nella pubblicazione di un voluminoso rapporto del governo di Sua Maestà sul continente nero, che ha dato luogo a una serie di iniziative a vari livelli e in diversi contesti (compreso, indirettamente, il mega concerto planetario di domenica scorsa) coordinate da una vigorosa offensiva diplomatica dello stesso Blair nei confronti dei principali potentati internazionali. Queste mosse hanno già avuto un primo successo nella recente decisone dei ministri degli Esteri del G8 di cancellare il debito dei diciotto paesi più poveri del mondo - quattordici dei quali sono africani - e culmineranno questa settimana all'imminente summit G8 in Scozia, che si occuperà in modo prioritario dell'Africa.
Com'è noto, Blair persegue tre obiettivi iniziali: cancellazione completa del debito africano, innalzamento degli attuali aiuti della comunità internazionale a 50 miliardi di dollari all'anno e abbattimento delle barriere tariffarie sui prodotti africani, una delle cause della regressione del continente nero (sulle quali, per inciso, l'Europa comunitaria che lo stesso Blair va a presiedere ha speciali colpe). Il primo ministro non è riuscito ancora a convincere delle sue tesi - o meglio del come implementarle sul piano pratico, perché tutti sono d'accordo sulla necessità di cominciare a chiudere quel vero buco nero planetario rappresentato dall'Africa - il presidente Bush, il principale potenziale donor.
Alla vigilia della sua partenza per la Scozia questi ha presentato alla stampa le iniziative americane sul tema, molto meno ambiziose di quelle britanniche. Riguardano lo stanziamento di 1,3 miliardi di dollari per la lotta alla malaria nonché il raddoppio degli stanziamenti destinati all'educazione e alla protezione legale delle ragazze africane (chiave di volta del sistema sociale tribale) fino a 450 milioni di dollari. Non è molto, soprattutto a fronte del problema e delle magniloquenti dichiarazioni di intenti dei massimi responsabili internazionali per farvi fronte.
Stupisce questa apparente taccagneria del massimo contenitore geopolitico di africani dopo l'Africa, ma i dirigenti americani al momento sono molto distratti da altri dossier, oltre a essere storicamente scettici sulla idoneità della metodologia assistenziale per risollevare paesi e situazioni, soprattutto in Africa. Non avendo tutti i torti, dato che, come ha evidenziato il rapporto del governo inglese, la pervasiva e gigantesca corruzione africana (184 miliardi di dollari all'anno), uno dei maggiori impedimenti allo sviluppo del Continente, si estrinseca in buona parte sugli effetti degli aiuti internazionali ed è da questi alimentata. E' chiaro che qualunque sia il nuovo approccio della comunità internazionale sull'Africa scaturito dalle iniziative di Blair, esso dovrà cambiare modalità e metodologie ed evitare i rovinosi errori del passato che aggravano problema più che avviarlo alla risoluzione. E su questo anche lo stesso premier non sembra aver dubbi o tentennamenti, trovandosi in piena sintonia con il presidente americano, al quale, per inciso, è in grado di dire cose che nessun altro può per la cruciale lealtà della quale lo ha gratificato in momenti assai difficili.
Analogo messaggio vale per l'Europa, naturalmente in tutt'altro contesto, come ha ripetutamente dichiarato il primo ministro inglese all'atto della sua assunzione al massimo soglio comunitario. La crisi dell'Europa, secondo Blair, non è tanto delle istituzioni quanto della leadership politica e della sua incapacità di adattarsi ai mutamenti epocali del mondo di oggi, col mantenere, in particolare, una serie di rigidi gravami normativi che soffocano le potenzialità della sua economia, senza più assicurare alcunché a chicchessia (compresi fra questi ultimi gli africani, che vengono strangolati dai protezionismi agricoli Ue, che li privano del loro principale mercato potenziale). Gli europei - secondo lo stesso Blair a "Le Figaro" - dovranno avere il coraggio di modificare il loro sistema economico, mettendolo in condizioni operare nelle condizioni fortemente competitive del mondo globalizzato senza perdere l'essenza della dimensione sociale del loro modo di essere collettivo. Esso rappresenta un patrimonio inalienabile, oltre che un formidabile ammortizzatore delle durezze dell'esistenza, che non si può risolvere in una competizione permanente.
Difficile dire quale delle due pieces che il giovane e carismatico premier britannico sta interpretando con tanta passione e vigore - la presidenza della Ue o la moral suasion planetaria sulla necessità di salvare l'Africa - sia più importante o abbia più probabilità di essere coronata da successo. Sono completamente diverse e si collocano su piani del tutto differenti. Ambedue dimostrano tuttavia quanto una visione politica lungimirante e alta possa coniugarsi efficacemente con un'azione di governo pragmatica e realista, intesa a conseguire il massimo numero possibile di risultati concreti, senza legarli ad aspettative totalizzanti e palingenetiche. Il tutto operando in una sfera di valori assolutamente condivisibile e condivisa, senza forzature di potere - strategico, economico, militare o altro - ma facendo un uso sapiente e propositivo della migliore razionalità politica.
Sotto questo aspetto si può dire che Blair, forte anche di una rinnovato e inoppugnabile consenso popolare, sta mostrando una stoffa di statista che sovrasta grandemente quella di tutti gli altri signori del mondo contemporaneo. Solo il tempo dirà se ci troviamo al cospetto di una di quelle personalità che riescono a dare una direzione oltre che un senso agli eventi, come fecero in altri tempi altri suoi colleghi primi ministri della corona britannica, oppure se si tratta solo di un eccezionale individualità dagli effetti ordinari. Fra i quali comunque c'è quello di conferire a un primo ministro britannico una caratura e una influenza politica internazionale degna dei migliori epigoni del passato.
Più che la risoluzione dei drammi africani, per la quale occorreranno comunque sforzi di moltitudini e svariate generazioni di volenterosi, è forse nella risoluzione (auspicabile) della crisi europea che si farà l'eventuale nobilitate del personaggio. Potrebbe anche accadere che un'Europa centralista e continentalista finisca per essere salvata da chi non è né l'una né altra cosa, ma è l'erede consapevole e tutt'altro che rinnegato di quella stirpe di orgogliosi isolani che ha sempre fatto del divide et impera europeo un dogma ideologico, oltre che una strategia politica permanente. Se così fosse, dire che la storia è dispensatrice di somme ironie oltre che maestra di vita sarebbe veramente non abbastanza.
da www.paginedidifesa.it
_________________ Spock: We must acknowledge once and for all that the purpose of diplomacy is to prolong a crisis. |
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