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Autore Diario
eltonjohn

Reg.: 15 Dic 2006
Messaggi: 9472
Da: novafeltria (PS)
Inviato: 30-07-2009 19:45  
quote:
In data 2009-07-30 09:44, sloberi scrive:
quote:
In data 2009-07-29 17:23, sandrix81 scrive:
finalmente hanno accontentato elton



E comunque son passati alla Romagna...



Era ora! "Us tourna a chesa burdei!!". Adesso è cominciato il terrorismo psicologico dei sostenitori del No: "Vi triplicheranno le tasse, sarete sommersi di extracomunitari, sarete i parenti poveri.."
Tutte balle, si va in una piccola provincia più facilmente amministrabile ed in una regione che non ha pari per quanto concerne l'organizzazione dei servizi (dal punto di vista politico ovviamente non cambia nulla)
_________________
Riminesi a tutti gli effetti...a'l'imi fata!

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TheSpirit

Reg.: 21 Set 2008
Messaggi: 3605
Da: Napoli (NA)
Inviato: 01-08-2009 14:57  
Le piccole secessioni
di un paese piccolo piccolo


Non ha provocato grandi reazioni il passaggio dei comuni dell'Alta Valmarecchia dalla provincia di Pesaro-Urbino a quella di Rimini. E, dunque, dalle Marche all'Emilia Romagna. Voluto e votato dai cittadini attraverso un referendum popolare circa un paio d'anni fa. Con un consenso plebiscitario. La Valmarecchia è incastrata fra monti, colline e corsi d'acqua. Un paesaggio suggestivo. Dal punto di vista naturale, ma anche architettonico e artistico. Giacimento gastronomico pregevole. Prodotto di riferimento: il pecorino di fossa. In alto, a Pennabilli, Tonino Guerra esorta il suo amico Gianni a coltivare l'ottimismo. Il profumo della vita.

L'Alta Valmarecchia inseguiva da tempo questo obiettivo. In base a buone ragioni: storiche, geografiche, culturali. Novafeltria, Sant'Agata Feltria, Talamello, Pennabilli, Casteldelci, Maiolo. Insieme a San Leo, sovrastata da una rocca cupa e magnifica. Dove venne imprigionato Cagliostro. Sono periferia - meglio: entroterra - di Rimini e non di Pesaro-Urbino. Oggi che anche il Senato ha riconosciuto la loro identità romagnola: festeggiano. "Abbiamo ridato dignità al popolo dell'Alta Valmarecchia di ritornare alla sua madre patria", ha esclamato, commosso, Gianluca Pini, deputato della Lega. Immaginiamo, però, che l'entusiasmo e l'emozione si riverberino anche altrove. In particolare: negli altri comuni che, in tutta Italia, chiedono - da più tempo dell'Alta Valmarecchia, talora - di liberarsi dal giogo imposto dallo Stato centralista. Di riunirsi, anch'essi, alla loro madrepatria. Cambiando provincia e regione. Come negare questa loro aspirazione? Pensiamo ai comuni dell'Altopiano di Asiago. Perché impedire loro di accedere alla provincia di Trento? Insieme (fra gli altri) a Cortina e a Lamon (il primo ad averne fatto richiesta). E perché bloccare la voglia dei cittadini di Portogruaro, Caorle e Concordia Sagittaria di scavalcare i confini della provincia di Venezia per passare a quella di Pordenone? Di trasferirsi dal Veneto al Friuli Venezia Giulia? Oppure, ancora, perché chiudere i confini della Val d'Aosta ai comuni dell'Alto Canavese? A Noasca e Carema, 1000 abitanti in due? Perché frenare la loro voglia di secedere dal Piemonte? Anche in questi realtà locali si sono svolti referendum, partecipati e approvati dalla quasi totalità della popolazione. Anche se, a differenza della Valmarecchia, è legittimo il sospetto che dietro all'iniziativa gli interessi materiali contino molto più che il patriottismo.

Perché entrare in regioni a statuto speciale - come il Trentino, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d'Aosta - comporta benefici evidenti e rilevanti. Tuttavia, molti altri comuni nutrono la stessa ambizione, senza però orientarsi verso regioni autonome. Comuni della Campania che intendono passare alla Puglia, al Molise o alla Basilicata. Altri che dalla Toscana vogliono trasferirsi in Emilia Romagna. Oppure che dal Lazio vorrebbero entrare in Umbria. E poi, in definitiva, perché non permettere alla provincia di Bolzano di ritornare ad essere Sud Tirolo e quindi Tirolo? Per lingua e storia è difficile negare l'esistenza di forti legami fra i due contesti.

Certo, in questi tempi si stanno riaprendo fratture territoriali ben più profonde. Tra Nord e Sud, anzitutto. Sudisti e nordisti che si affrontano. Una lotta dura senza paura. Mentre i leghismi affiorano dovunque. Difficile prestare troppa attenzione a piccole secessioni locali che coinvolgono piccoli comuni. Anche se rimettono in discussione e anzi ridisegnano i confini delle regioni e delle province. D'altronde, i confini non si vedono. Soprattutto quelli interni agli stati. (E oggi, spesso, neppure quelli fra gli stati). Mi viene a mente un sentiero sull'Alpe della Luna, in alto, accanto al passo della Bocca Trabaria. Nell'Alto Metauro. Corre e separa, o forse congiunge, tre regioni e tre province. Toscana, Umbria e Marche. Arezzo, Perugia e Pesaro-Urbino. E' il "passo dei tre termini" ma tutti lo chiamano il "sentiero della regina". Quando lo percorro a piedi (il paesaggio è straordinario), giuro, non è visibile la distanza e la distinzione fra una regione e l'altra. Perché i confini sono "costruzioni" sociali, istituzionali, cognitive. Che noi interiorizziamo. Come le mappe, la geografia. Ci servono a capire e a vivere. A guardarci intorno. A situarci. Servono ad avere relazioni con gli altri e con il mondo. E poi delimitano i contesti dentro ai quali agisce l'autorità. Gli spazi di sovranità per le istituzioni. Per questo i cambiamenti di confine non avvengono mai senza conseguenze. Basta pensare a quel che è successo dopo la caduta del muro di Berlino.

Naturalmente, qui si tratta di mutamenti molto meno epici. Non riguardano regimi o sistemi geopolitici mondali. Non ci sono muri che crollano. Semmai, muretti. Questi cambiamenti non intaccano i confini nazionali. Solo quelli locali. Anche se è difficile sminuire il "locale", nei giorni in cui la Lega - con il consenso del ministro Gelmini - alza la voce in nome del rispetto delle tradizioni "locali" nella scuola. Proponendo che ai docenti venga richiesto, come requisito preliminare, la conoscenza della storia e delle culture "locali". Locali. Appunto. Ma quale "locale" - se i nostri confini interni slittano, si spostano senza grandi preoccupazioni politiche? Con il consenso del parlamento? In fondo, in Veneto 4 persone su 10 si dicono d'accordo con le richieste dei comuni che intendono andarsene. Passare a un'altra regione. Il Veneto: dove il 70% degli abitanti parla ancora dialetto (o lingua regionale) "spesso" (Osservatorio Nordest di Demos per "Il Gazzettino": maggio 2009). E dunque: un contesto dove l'identità locale è più forte e coesa che altrove.

Il fatto è che l'Italia brulica di localismi. Afflitta e affetta dal virus della "traslochite", come ha scritto tempo fa Gian Antonio Stella. Dove molti comuni vogliono "traslocare". Da una provincia all'altra, da una regione all'altra. E talora ci riescono. Senza un disegno istituzionale, senza un progetto, senza una direzione e qualcuno la diriga. Per le ragioni più diverse e legittime. Per interesse, per storia, per affinità, per comodità, per comunanza di dialetto. Tante piccole secessioni. A cui non si oppone quasi nessuno. Tanto riguardano piccoli paesi. In un paese altrettanto piccolo.

Ilvo Diamanti

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eltonjohn

Reg.: 15 Dic 2006
Messaggi: 9472
Da: novafeltria (PS)
Inviato: 01-08-2009 17:05  
Non ho ben capito il senso di tutto questo papier...
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