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Autore i cinesi ci invadono
ipergiorg

Reg.: 08 Giu 2004
Messaggi: 10143
Da: CARBONERA (TV)
Inviato: 22-04-2005 10:26  
La questione attuale della crisi gravissima del settore tessile in Italia e dei settori manifatturieri in generale ci costringe a misurarci con alcune conseguenze abnormi delle scelte compiute dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione (che prepara i Regolamenti e li rende esecutivi). E' oramai emerso in modo macroscopico che le scelte fatte dalla Commissione presieduta da Prodi nell'ambito delle politiche doganali da alcuni anni a questa parte sta demolendo una parte cospicua dell'industria tessile e in genere manifatturiera italiana, con conseguenze gravi per l'avvenire di imprenditori e di migliaia e migliaia di lavoratori. La chiusura di centinaia di aziende comporterebbe anche un generale impoverimento del Paese e costituirebbe, tra l'altro, una minaccia alla stessa possibilità di miglioramento del debito pubblico dello Stato italiano.

L'ingresso sul mercato di agguerriti competitori, che hanno usufruito di un costo del lavoro pari a un quinto del nostro, hanno fatto ricorso alla sistematica imitazione dei prodotti, alla falsificazione delle etichette, a tecniche aggressive di penetrazione del mercato imponendo prezzi bassissimi (alzati a loro piacere una volta acquisita una posizione forte sul mercato), ha fatto perdere ad esempio al comparto tessile il 30% del mercato. La grande industria di questo settore ha in parte già «delocalizzato» nei Paesi dell'Estremo Oriente, mentre la piccola e media sino ad oggi ha pagato con migliaia di aziende fallite e circa duecentosettantamila posti di lavoro in meno. Il recente abbattimento totale dei dazi porterà alla chiusura di altre migliaia di aziende, a centinaia di migliaia di disoccupati e all'impoverimento del Paese; ma anche da qualche esponente del centrodestra, oltre che dagli esponenti DS e della sinistra, è venuto un coro assordante contro la richiesta di reintroduzione dei dazi: si tratterebbe di una scelta retrograda, la stessa parola «dazi» sarebbe ormai impronunciabile, tutt'al più si deve parlare di «reciprocità»!

Si noti che l'India, ad esempio, impone dazi del 60% sui prodotti tessili importati e che nei nostri supermercati si può acquistare una camicia prodotta in India senza neppure riuscire a trovare l'etichetta, se non dopo esame molto attento. Quanto alla Cina, è impossibile che vi sia reciprocità anzitutto perché in gran parte del suo territorio è di fatto impossibile la vendita di prodotti italiani; quanto a «delocalizzare» in Estremo Oriente, per molte piccole imprese ciò è improponibile, oltre che negativo per lo Stato italiano. Le aziende italiane devono pagare le tasse allo Stato italiano, se chiudono non pagano più niente, se «delocalizzano» per lo Stato è una perdita secca; le conseguenze di tutto questo emergerebbero chiaramente quando sarebbe troppo tardi per difendere e valorizzare le nostre aziende.
Tra i massimi sponsor della totale abolizione dei dazi alle frontiere dell'Europa vi sono stati i grandi gruppi finanziari che hanno fatto o favorito enormi investimenti in quei luoghi e, oltre al basso costo del lavoro, puntano sul pagamento di tasse nettamente inferiori a quelle che pagherebbero ad esempio in Italia e sull'assenza di dazi per ottenere enormi guadagni in tempi brevi. Danilo Broggi, Presidente di Confapi, ha scritto: «L'introduzione di dazi risponde alla necessità di prendere tempo. Un tempo prezioso per organizzarsi e favorire - mediante una serie di interventi ad hoc - nuove prospettive di crescita e tenuta competitiva di questo mercato...L'introduzione di dazi non è quindi "la" soluzione, ma l'indispensabile strumento per rendere attuabile una reale soluzione del problema...che peraltro è più complesso in quanto investe l'intera economia del nostro Paese. La crisi di competitività infatti riguarda...l'intero made in Italy» (La Padania, 9 marzo 2005).

Ottenere il pieno riconoscimento del marchio made in Italy su tutte le merci di qualità prodotte da aziende italiane (che mantengono in Italia la totalità o la percentuale più elevate delle loro attività produttive) è uno dei punti indispensabili del rilancio italiano, ma anche i dazi servono: è propaganda falsa e interessata sostenere l'abolizione totale dei dazi come un fatto positivo, in particolare nel campo tessile. Data l'impossibilità di una effettiva reciprocità in tempi brevi, e dato che dal punto di vista dello Stato non è indifferente che un numero maggiore o minore di aziende paghi le tasse in Italia e che vi siano centinaia di migliaia di disoccupati in più o in meno, non va accettata l'abolizione dei dazi in campo tessile, perché ciò porta inevitabilmente alla scomparsa di centinaia e centinaia aziende italiane. E' come se in Germania, da un giorno all'altro, venissero importate auto di costo dieci volte inferiore a quelle prodotte in quel Paese.

Perché l'abolizione totale dei dazi da parte dell'Unione è stata fatta in campo tessile e manifatturiero in genere (calzaturifici ecc.)? Perché dovremmo favorire gli interessi di potenza economica e militare della Cina, come pure gli interessi economici di grandi gruppi finanziari che hanno favorito investimenti in Estremo Oriente e contano di fare grandi guadagni, invece di difendere le nostre aziende?
I dazi non sembrano di moda, ma dal punto di vista storico va riconosciuto che è la formazione di uno Stato che ha reso possibile le condizioni del mercato libero, che ha preceduto il mercato stesso. Perché non ci dovrebbero essere dazi, per il fatto stesso che prima sono state sostenute spese enormi per costruire le strade che vengono utilizzate per portare rapidamente le merci sui mercati italiani? Perché le spese che lo Stato ha sostenuto e sostiene per garantire le condizioni che rendono possibile la sussistenza del mercato libero, tra cui anche quelle per la sicurezza dei cittadini (che pure in Italia ora non sempre è garantita anche per un'immigrazione sregolata e clandestina), non dovrebbero essere fatte pagare anche agli importatori di merci prodotte nell‘Estremo Oriente? Si noti che i dazi sono storicamente stati fatti pagare dallo Stato anche per autofinanziarsi e non si capisce perché uno Stato con spese enormi come quello italiano non dovrebbe far pagare dazi, tanto più che questi servono anche a difendere le aziende nazionali da concorrenti che non garantiscono un'effettiva reciprocità e fanno ricorso a forme di concorrenza sleale e distruttiva.
Ricardo, dopo complesse e approfondite analisi, mise in evidenza che nella Gran Bretagna del suo tempo il capitale investito nella terra e nella produzione agricola era, per così dire, mediamente «retribuito» più del capitale investito negli altri settori produttivi, pertanto parlò di «rendita fondiaria» e propose l'abolizione dei dazi sul grano e su altri prodotti agricoli, che potevano essere importati a prezzi più bassi di quelli imposti dai produttori inglesi; ma neppure Ricardo pensava alla totale abolizione dei dazi.

Non risulta che in Italia, in questi tempi, il capitale investito nelle industrie tessili sia retribuito più del capitale investito in altri settori produttivi, piuttosto a Bruxelles sono state fatte scelte opinabili e decisamente punitive nei confronti dell'apparato produttivo italiano, che possono e debbono essere modificate al più presto. La situazione che si è verificata deve anche favorire un ripensamento dello stesso Trattato costituzionale che, se fosse già stato approvato, renderebbe di fatto impossibile o meno efficace una responsabile iniziativa del governo italiano.

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