FilmUP.com > Forum > Attualità - Notizie dal fronte
  Indice Forum | Registrazione | Modifica profilo e preferenze | Messaggi privati | FAQ | Regolamento | Cerca     |  Entra 

FilmUP Forum Index > Zoom Out > Attualità > Notizie dal fronte   
Vai alla pagina ( Pagina precedente 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 Pagina successiva )
Autore Notizie dal fronte
xander77

Reg.: 12 Ott 2002
Messaggi: 2521
Da: re (RE)
Inviato: 16-03-2005 10:49  
quote:
In data 2005-03-14 16:29, Quilty scrive:
Anche i bambini ad Abu Ghraib

Dagli Stati uniti il generale Karpinski, ex-direttrice del carcere alla periferia di Baghdad, tristemente noto per gli orrori e le torture perpretati dalle truppe americane, rivela: «Dietro le sbarre anche detenuti di undici anni»

STEFANO CHIARINI
Il Manifesto

Bambini dall'«apparente età di otto anni» sarebbero stati, e forse lo sono ancora, imprigionati dalle truppe di occupazione americane nel tetro complesso carcerario di abu Ghraib, salito lo scorso anno agli onori della cronaca in seguito alla messa in rete di una serie di foto nelle quali si vedevano dei soldati americani che torturavano, maltrattavano e umiliavano i prigionieri iracheni. L'ha sostenuto nel corso di un interrogatorio della commissione di inchiesta sulle torture, il generalle Janis Karpinski, che prima dello scandalo dirigeva il complesso penitenziario composto da un insieme edifici, tende, palazzine e torri di guardia, che si estende per chilometri e chilometri tra l'omonimo paese, ad una ventina di chilometri a occidente di Baghdad, e la base Usa, Camp Victory, costruita attorno all'aeroporto della capitale. Della presenza di bambini nel carcere di abu Ghraib si era già parlato lo scorso anno - anche grazie alle rivelazioni del giornalista investigativo Seymour Hersh - quando si venne a sapere che molte delle foto dello scandalo, relative a maltrattamenti, umiliazioni e torture ai danni di donne e bambini, non erano state rese note. Già nel luglio del 2004 alcuni media tedeschi avevano lanciato una campagna per denunciare arresti a maltrattamenti di minori iracheni, anche ad abu Ghraib, da parte dei soldati della coalizione. Il portavoce della Croce Rossa Internazionale, Florian Westphal, intervistata dalla rete «Swr» aveva dichiarato che tra il gennaio e il maggio del 2004 aveva registrato 107 bambini nel corso di 19 visite in sei diverse carceri. Ricorrenti inoltre le denunce del sequestro delle mogli, figlie e sorelle dei resistenti ricercati da parte dei militari americani che così sperano di costringere i loro parenti a consegnarsi.

Il generale Karpinski ha confermato la presenza di bambini-detenuti nel carcere nel corso di una testimonianza rilasciata nel maggio del 2004 al generale George Fay il cui contenuto è stato reso noto ieri dall'«American Civili Liberties Union» che ne aveva fatto richiesta sulla base del «Freedom of Information Act». Nel corso della sua deposizione l'alto ufficiale americano dichiara che durante il suo periodo di comando a capo del penitenziario delle torture, dal luglio al novembre del 2003, era solita visitare i più piccoli «ospiti» della prigione e che uno di loro «sembrava avere non più di otto anni». «Mi disse di averne circa dodici - continua il generale - che era con suo fratello ma che voleva vedere la madre e piangendo mi chiese se potevo chiamare la madre». Il generale non dice poi che fine ha fatto il ragazzino e perchè mai si trovasse in quel terribile carcere dove le violenze, le torture, erano all'ordine del giorno. La testimonianza della Karpinski ha una sua particolare importanza in quanto è la prima ammissione pubblica, documentata, della presenza nella prigione di bambini al di sotto degli undici anni. Secondo quanto dichiarato dal generale davanti alla commissione di inchiesta, l'Esercito americano avrebbe cominciato a mandare donne e bambini ad abu Ghraib nell'estate del 2003 in quanto le condizioni di vita in quell'inferno sarebbero state migliori di quelle nelle quali erano stati tenuti e tenute fino a quel momento. Le autorità carcerarie americane, nonostante vi siano state numerose denunce e articoli di stampa, hanno sempre negato che nel carcere vi siano state violenze contro le donne ma alcuni dei documenti resi noti ieri sembrano delineare una ben diversa realtà: sei testimoni avrebbero dichiarato che una sera tre uomini incaricati di portare avanti gli interrogatori e un interprete si ubriacarono, presero una ragazza diciassettenne dalla sua cella e l'avrebbero costretta a spogliarsi. Un altro soldato ha raccontato come nel gennaio del 2004 alcuni soldati hanno versato acqua gelata e fango sul figlio diciassettenne di un generale iracheno per costringere il padre a collaborare. La testimonianza del generale Karpinski è importante anche perché conferma la pratica dei «detenuti fantasma» non registrati e tenuti nascosti alle ispezioni della Croce Rossa. L'alto ufficiale ha confermato di aver visto un ordine scritto che le imponeva di non registrare un detenuto preso dalla Cia, mentre secondo un altro ufficiale l'Intelligence americana e la polizia militare avrebbero negoziato una sorta di intesa su come dovevano essere trattati i «prigionieri fantasma». Il Pentagono ha ammesso di aver tenuto nascosto alla Croce Rossa l'esistenza di almeno 100 detenuti violando apertamente le Convenzioni di Ginevra.

Nel settembre del 2003 il colonnello Thomas Pappas avrebbe dichiarato agli inquirenti (secondo quanto riporta il Washington Post) che la Cia avrebbe chiesto agli ufficiali dell'intelligence militare di «continuare a rendere disponibili celle per i loro detenuti e che questi non dovevano essere sottoposti alle normali procedure».

Il generale Karpinski, particolarmente amareggiato per essere stata l'unica ad essere criticata per lo scandalo delle torture, ha inoltre sostenuto che l'allora numero due dell'esercito in Iraq, gen. Walter Wodjakowski, nell'estate del 2003 le avrebbe ingiunto di non rilasciare più alcun prigioniero anche se sicura della sua innocenza: «Non mi importa se teniamo dentro 15.000 civili innocenti -la avrebbe detto il suo superiore - Noi stiamo vincendo la guerra». Il Pentagono in un rapporto reso noto questa settimana si è autoassolto per le torture ad abu Ghraib, in Iraq e in Afghanistan, sostenendo che nessun funzionario dell'amministrazione e nessuna delle politiche seguite avrebbero alcuna responsabilità per le torture e i maltrattamenti ai danni dei prigionieri.


La generalessa Karpinski era ospite l'altra sera a Ballarò. Ha pubblicamente ammesso che la strategia USA in Iraq sta fallendo: non si aspettavano una resistenza così tenace e ha parlato di insorti, non terroristi.
Tutto questo davanti a un Adornato (ex comunista, ora Forza Italia), nerissimo, che si è visto smontare le sue tesi sui "principi dell'Occidente" (in realtà non sapeva neppure di cosa stava parlando) dritto in faccia.

_________________
"Quando sarò grande non leggerò i giornali e non voterò. Così potrò lagnarmi che il governo non mi rappresenta. Poi quando tutto andrà a scatafascio, potrò dire che il sistema non funziona e giustificare la mia antica mancanza di partecipazione"

[ Questo messaggio è stato modificato da: xander77 il 16-03-2005 alle 14:05 ]

  Visualizza il profilo di xander77  Invia un messaggio privato a xander77    Rispondi riportando il messaggio originario
Oxygene

Reg.: 09 Mar 2005
Messaggi: 129
Da: Iceland (es)
Inviato: 16-03-2005 10:49  
quote:
In data 2005-03-16 10:43, xander77 scrive:
guidato per lo più da pessimi ufficiali.


non capisco come tu possa affermare una cosa del genere

  Visualizza il profilo di Oxygene  Invia un messaggio privato a Oxygene    Rispondi riportando il messaggio originario
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 29-03-2005 15:50  
Torture, l'esercito Usa si autoassolve

Il Pentagono decide di non processare i diciassette soldati accusati di «assassinio, cospirazione e omicidio colposo» per la morte di tre prigionieri in Iraq e Afghanistan

FRANCO PANTARELLI
Il Manifesto 27.3.05
C'NEW YORK C'era stata un'indagine. Gli uomini della divisione criminale dell'esercito americano avevano fatto il loro lavoro e la loro raccomandazione finale era stata che disciassette soldati venissero processati per reati come «assassinio, cospirazione e omicidio colposo», riferiti a tre persone morte in Afhganistan e Iraq mentre si trovavano «sotto custodia» delle forze armate americane. Il Pentagono ha ricevuto quelle raccomandazioni, ha ringraziato gli investigatori, ha valutato le loro indicazioni e poi ha deciso di non processare quei diciassette soldati, compiendo così un ulteriore passo verso il generale auto-perdono. Non si tratta più di scaricare sulle «mele marce» la colpa di questo spaventoso passo indietro compiuto dagli Stati Uniti sul piano della civiltà: ora l'obiettivo sembra quello di perdonare le stesse mele marce. Non tutti i diciassette prodi sono stati prosciolti, tuttavia. Uno di loro ha dovuto subire nientemeno che una reprimenda scritta e un altro è stato congedato.

Un portavoce della divisione criminale, Chris Grey, ha rilasciato una dichiarazione molto rispettosa della decisione di non processare quei soldati, come si conviene a una struttura militare specie di questi tempi, ma anche così dalle sue parole traspare una certa «delusione» per come si è conclusa questa storia. «Noi - ha detto - consideriamo ogni morte molto seriamente e siamo impegnati a indagare ogni caso con la massima professionalità e accuratezza, determinati ad arrivare alla verità dovunque le prove possano portare e senza badare al tempo che ci vuole». Insomma, dice senza dire il portavoce, noi il nostro lavoro lo abbiamo fatto e lo abbiamo fatto bene. Se quei soldati sono riusciti a evitare il processo non prendetevela con noi. E chissà che non sia proprio quella delusione degli investigatori la ragione per cui i dettagli di questa storia hanno finito per trapelare.

I tre morti - solo di uno di loro, un colonnello iracheno, si conosce parzialmente il nome, Jameel, che forse è davvero il suo ma forse no - sono una sorta di primo stock dei «28 più 3" (nel senso che 28 sono di competenza dell'esercito e 3 della marina) su cui è stata avviata un'indagine. Nel primo dei tre casi, quello appunto del colonnello Jameel, si è deciso di non processare nessuno perché la sua morte è sopraggiunta come "conseguenza" di una serie di applicazioni legali della forza» e che quelle applicazioni si sono rese necessarie «in risposta alle ripetute aggressioni da parte del detenuto». Insomma è colpa sua, del colonnello, se a un certo punto lo hanno «dovuto» appendere a un bastone per la gola e lui è morto asfissiato. La cosa è avvenuta all'American Forward Operating Base di Al Asad, in Iraq, nel gennaio 2004.

Della seconda morte senza responsabili si sa molto poco, solo che è avvenuta in Afghanistan nell'agosto del 2002 e che il caso è stato archiviato per «mancanza di prove», mentre della terza si sa un po' di più: che è avvenuta in Iraq nel settembre 2003, che il morto era prigioniero della quarta divisione di fanteria, che il luogo dove era detenuto era uno dei tanti american detention center e che il suo caso l'archiviazione è stata decisa perché i soldati responsabili «non erano bene informati delle regole di ingaggio».

Uso legale della forza, regole di ingaggio: sono termini che sembrano portare direttamente ai famosi «memo» stilati dal ministro della Difesa Donald Rumsfeld e dal consigliere legale di Georege Bush, quell'Alberto Gonzales che poi è stato promosso ministro della Giustizia. E in effetti sembra principalmente questa la ragione per cui il Pentagono ha deciso di non andare avanti, il che non fa sperare niente di buono negli altri casi attualmente ancora in piedi. Di sedici di essi si sa che le indagini sono state concluse ma che ancora non sono state fatte le «raccomandazioni». Delle altre dodici morti si conosce in pratica solo il loro numero e i celebrati media americani non mostrano molto desiderio di saperne di più. Un'osservazione però è ancora possibile. Di queste 31 morti sotto indagine, solo una è avvenuta ad Abu Ghraib, il che fa pensare che la fama di quella prigione come pietra dello scandalo delle torture è probabilmente usurpata. In altri american detention center succede di peggio.


  Visualizza il profilo di Quilty  Invia un messaggio privato a Quilty    Rispondi riportando il messaggio originario
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 30-03-2005 15:05  

I dimenticati profughi di Falluja

Viaggio tra i sopravvissuti della città distrutta ancora accampati tra le rovine o in misere tendopoli


Una città assediata La chiusura delle strade espone gli abitanti al fuoco dei soldati Usa. Ultime vittime un operaio e il guidatore di un'ambulanza
Gli «comparsi» Centinaia di famiglie non hanno più notizie da cinque mesi dei loro cari svaniti nel nulla, in alcuni casi dopo l'arresto
E. A. KHAMASManifesto ,29.3.05

Invitati dall'Organizzazione per i diritti umani di Falluja ad un incontro sulla drammatica situazione in città e sulla sua ricostruzione, organizzato presso il locale cementificio, non siamo stati in grado di parteciparvi perché l'autostrada era stata chiusa proprio nei pressi del luogo della riunione. Così siamo dovuti tornare quasi a Baghdad e prendere una strada alternativa. Arrivati finalmente sul posto abbiamo trovato solamente il dottor Samir, uno dei dirigenti della fabbrica, che ci ha confermato come tra i tanti drammatici problemi di fronte ai quali si trovano gli abitanti di Falluja, divenuti profughi e senza tetto nella loro stessa città, vi è senza dubbio l'improvvisa chiusura delle strade da parte dei soldati: «Chiudono continuamente questa o quella strada senza alcun avviso, senza alcun segnale. Abbiamo appena perso un nostro dipendente proprio per questa ragione. Si tratta di Hadi Saleh Hantoosh, che al momento di lasciare il lavoro non sapeva che la strada dalla quale era venuto al mattino era stata chiusa. E' stato così ucciso dai soldati americani. Lo stesso è sucesso pochi giorni fà al guidatore di un'ambulanza».

30.000 case distrutte

Il sig. Samir ci ha poi confermato che gli edifici distrutti durante l'attacco a Falluja tra ottobre e novembre sono almeno 30.000. Per ricostruirli ci vorranno almeno 500 milioni di dollari ma il Comitato per la ricostruzione della città avrebbe ottenuto solamente una vaga promessa per appena il 20% del totale, circa 100 milioni di dollari. «Al di là delle promesse ufficiali -chiediamo a Samir - quante famiglie hanno ricevuto dei finanziamenti sino ad oggi?» «Nessuna - ci risponde il dirigente della fabbrica - forse cominceranno nei prossimi giorni». E sono passati cinque mesi dall'inizio dell'attacco. «A che punto è la ricostruzione di scuole, ospedali, strade ed edifici pubblici?», chiediamo di nuovo al manager membro del Comitato per la ricostruzione: «A questo dovrebbero pensare altri progetti, qui parliamo solo delle case distrutte» ci risponde. Non certo migliore la situazione per quanto riguarda i servizi essenziali come acqua elettricità, raccolta delle immondizie. Mohammad del della «Humar rights Organization» di Falluja ci conferma a tale proposito che il dottore Ni'ma al Jaser del WHO (World Health Organization) non è stato fatto entrare in città e lo stesso è successo al sig. Elia Tambori delle Nazioni Unite.

All'interno di Falluja la gente cerca di sopravvivere come può. Alcuni negozi semi-distrutti hanno comunque cercato di riaprire. La gente vive tra e sotto le macerie. Alcune famiglie cercano di portarle via. Altre vi hanno eretto sopra delle tende. Abu Qeis è uno di questi. Pensionato di una sessantina di anni si occupa di una famiglia di circa 25 persone nel quartiere di Gebeil. Ha dieci figli, tre figlie (una di queste ha perso il marito nell'attacco del marzo del 2003 ed è rimasta vedova con quattro bambini), sua moglie, le sue cognate (una delle quali è rimasta anch'essa vedova con tre bambini). Quando gli americani hanno attaccato falluja ad ottobre l'intera famiglia si trasferì a Halaabsa, una città dell'Ovest, sistemandosi con altri quattordici nucleai familiari in una scuola.

Dopo quattro mesi la famiglia di Abu Qeis è stata costretta a tornare in città dopo che il direttore della scuola «Ibn Roshd», li ha cacciati via sostenendo che ormai «la guerra è finita. Tornato a Falluja Abu Qeis ha trovato la sua casa completamente distrutta. L'unica cosa rimasta in piedi era la porta del bagno, che aveva chiuso prima di partire. Il suo quartiere è uno di quelli compeltamente distrutti. Sembra come se un fortissimo terremoto abbia sconquassato la zona e raso al suolo ogni singolo edificio. Abu Qeis è convinto che la sua casa sia stata distrutta a freddo da un carro armato americano e non dai bombardamenti: « Non vi è alcun segno di esplosioni, tutto è semplicemtne schiacciato e i mobili sono ridotti a legna da ardere». Abu Qeis ha messo una tenda donatagli dalla mezzaluna rossa, accanto alle rovine della casa. Le condizioni di vita sono assai tuttoprecarie. L'unico reddito percepito sono i 75 dollari della sua pensione che riceve ogni tre mesi. «Mi chiamano il responsabile delle vedove» ci dice sorridendo mostrando i suoi denti rotti. Sono senza casa, senza medicine, senza niente.

Profughi senza speranza

Non diversa, forse ancora più tragica, la situazione delle famiglie che vivono nei locali del comune di Ameriya, 25 chilometri a ovest di Falluja. Nella grande sala dell'edificio abbiamo trovato cinque famiglie. Due bambini erano appena nati.

Pochi giorni fa è arrivato loro l'ordine di lasciare il campo al più presto o sarebbero stati tutti arrestati. «Che farete adesso?» chiediamo ai capi famiglia. «Scapperemo altrove, cos'altro possiamo fare? Non abbiamo i soldi per ricostruire le nostre case che sono state completamente rase al suolo, non possiamo neppure viverci, e non vogliamo finire in carcere» ci dice Nadim che prima di tornare a Falluja aveva passato ben nove anni come prigioniero di guerra in Iran. Nella scuola per ragazzi «Ibn al Nadim», ospitata nello stesso complesso, troviamo altre quaranta famiglie. Un'associazione umanitaria inglese ha eretto alcune tende nel cortile per permettere ai ragazzi di seguire comunque le lezioni. Accanto alle tende hanno messo un grande cartello in inglese. La vice direttrice, la signora Mariam è furiosa: «Non si può andare avanti così, il mondo deve accorgersi di questa tragedia. Ci hanno abbandonato nella polvere, i bambini si ammalano giocando in questa polvere e sporcizia. E poi ci hanno messo quel cartello in inglese. Noi siamo arabi e parliamo arabo non accettiamo queste umiliazioni». Lo stesso figlio della vicedirettrice non può più andare a scuola dal momento che le truppe Usa una notte sono entrare nella scuola - la «Faris al Arabi» - e l'hanno trasformata in una base militare

«Perché tutto questo?»

Uno cheik della moschea di al Jolan ci dice che gli abitanti di falluja stanno lavorando come api per ricostruire la loro città senza aspettare dei risarcimenti che nessuno sa quando arriveranno. All'inizio, dopo aver visto quella distruzione nessuno voleva tornare in città. Poi si sono sistemati tra i muri caduti con dei teli per tetto. «Prima di ricostruire - ci dice lo sheik - bisogna però chiedersi e soprattutto chiedere il perché di tutto questo. perché i bambini sono stati straziati? Perché tante donne sono state uccise e umiliate?» e ancora «Adesso siamo noi a chiedere loro "Dov'è Zarqawi? La nostra città, la nostra storia, i nostri libri, i nostri documenti tutto è stato distrutto, e ora vogliamo sapere il perché». «Noi lo abbiamo sempre detto che non si trattava di Zarqawi che qui non c'è mai stato e che i responsabili dell'entrata nel paese di qualche terrorista sono solo loro che hanno lasciato aperti i confini così a lungo»

I marines contro il corano

Ismael, un amici dello sheik è ancora più esasperato. La sua casa è stata occupata dai soldati che l'hanno semidistrutta. Ma non è tanto e solo questa la ragione della sua furia: «Hanno defecato sul mio sacro corano, Ho fatto il possibile per pulirlo ma era troppo tardi». Quella di occupare delle case per abitarvi, usarle come uffici o depositi è pratica corrente delle forze americane a Falluja. Questa è la storia di Abu Mohammed che aveva una grande casa sul fiume: «Sono arrivati alle due di notte e ci hanno detto di andarcene su due piedi. Sono rimasti tre giorni e l'hanno trasformata in un pollaio. Hanno usato le tende nuove per pulirsi di stivali, le pentole per farci dentro i loro bisogni. Mi hanno preso una vecchia pistola di antiquariato di mio nonno. Sono andato quattro volte a chiederla alla loro base ma l'hanno fatta sparire. Per tre giorni ci hanno chiuso tutti in una stanza. Ci davano quindici minuti per preparare un pò di pane. Per non parlare dell'uso del bagno con tutti quei bambini e quelle donne»

«Dov'è mio figlio?»

Quando abbiamo visitato il campo profughi vicino alla moschea al Mustafa all'università di Baghdad (dove vivono ancora 175 famiglie) lo sheik ci ha raccontato come i profughi abbiano organizzato numerose manifestazioni per protestare per le condizioni nelle quali erano costretti a vivere e invitare gli organismi internazionali a visitare Falluja. Molte sono le famiglie tornate a Falluja per cercare i loro parenti scomparsi. Um Ahmad di 35 anni, sta cercando suo figlio, Ahmad, che insieme ai suoi amici decise di rimanere a Falluja quando tutta la famglia se ne allontanò. Da Falluja chiamava ogni ogni giorno per chiederle come si cucinava questo o quel piatto... poi più nulla. Hanno cercato dappertutto ma di lui non c'è più traccia.

Um Omar, 51 anni, chiede a tutti di suo figlio Izzideen, scomparso da novembre. Ahmad Ramzi, dieci anni, vuole sapere di suo padre che sarebbe stato arrestato due giorni prima dell'Eid (metà ottobre) ma di cui non c'è traccia in alcuna prigione o base militare americana.

Nel campo profughi di Ameriya Abdul Rahman cerca ancora suo fratello, Khidir Ali Abdulla, 25 anni, con un handycap mentale, scomparso da cinque mesi...

  Visualizza il profilo di Quilty  Invia un messaggio privato a Quilty    Rispondi riportando il messaggio originario
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 01-04-2005 16:10  
Bagdad, il rapporto dell'Onu
"la guerra affama i bambini".


Cresciuti i casi di malnutrizione dall'inizio dell'invasione.

BAGDAD- Dall'inizio dell'intervento anglo- americano in Iraq sono raddoppiati i casi di bambini iracheni malnutriti. Jean Zieglier , che ha coordinato il rapporto Onu, denuncia: "Oltre un quarto dei bambini iracheni soffre di sottoalimentazione cronica e la malnutrizione acuta tra i piccoli sotto i cinque anni è praticamente raddoppiata " passando dal 4% dopo la caduta del dittatore Saddam Hussein (aprile 2003) al 7,7% l'anno scorso. Nel dossier presentato ieri alla Commissione Onu sui diritti umani riunita a Ginevra, si denuncia anche che la popolazione irachena ha avuto oltre 100mila morti in più rispetto a quelli che ci sarebbero stati senza l'invasione. "La maggioranza è dovuta alla violenza, ma buona parte anche alle condizioni di vita sempre più difficili", ha aggiunto Zieglier . Il rapporto esamina infine la situazione di altri paesi dove le condizioni di vita sono sempre più difficili: il Darfur, la Corea del Nord , e i territori palestinesi.

1 aprile 2005- la Repubblica

  Visualizza il profilo di Quilty  Invia un messaggio privato a Quilty    Rispondi riportando il messaggio originario
honecker

Reg.: 31 Gen 2005
Messaggi: 626
Da: Pankow (es)
Inviato: 09-04-2005 12:28  
BAGHDAD, DECINE MIGLIAIA MANIFESTANO CONTRO OCCUPAZIONE
Decine di migliaia di persone stanno affluendo nel centro di Baghdad per partecipare ad una manifestazione in favore della partenza delle truppe straniere, indetta nel secondo anniversario della caduta di Saddam Hussein. Auto della polizia bloccano i principali assi stradali della capitale e due dei ponti sul Tigri, mentre la folla scandisce slogan quali ''No all'America, No all'occupazione''. Ieri erano stati gli imam radicali sciiti e religiosi sunniti a indire la manifestazione nella piazza Ferdous, nel centro della capitale, dove il 9 aprile del 2003 un centinaio di persone aiutate da militari americani riuscirono ad abbattere una grande statua di Saddam Hussein, in quella che fu un'immagine simbolo della caduta del regime. Migliaia di manifestanti provenienti dal quartiere sciita di Sadr City convergono sul posto portando enormi bandiere irachene. Alcuni innalzano la foto divenuta tristemente famosa di un prigioniero di Abu Ghraib, il carcere iracheno gestito dagli Usa, con in testa un cappuccio nero e le mani attaccate a fili elettrici. Il capo radicale sciita Moqtada Sadr e il Comitato degli ulema musulmani, una delle principali organizzazioni religiose sunnite che aveva chiamato a boicottare le elezioni del 30 gennaio, hanno invitato a partecipare in massa alla manifestazione.

ANSA 09/04/2005

  Visualizza il profilo di honecker  Invia un messaggio privato a honecker    Rispondi riportando il messaggio originario
ipergiorg

Reg.: 08 Giu 2004
Messaggi: 10143
Da: CARBONERA (TV)
Inviato: 09-04-2005 13:57  
Ci sono anche notizie positive. E sonore smentite ai soliti soloni che usavano favolosi termini come "dittatura della maggioranza" per sminuire il successo delle elezioni di gennnaio

Baghdad. “Ricostruiremo un governo iracheno basato sui principi della democrazia e dei diritti umani”, ha affermato ieri il neoeletto presidente del nuovo Iraq, il curdo Jalal Talabani. Il discorso di giuramento di Talabani è stato pronunciato davanti al nuovo Consiglio presidenziale iracheno, formato, oltre che dal leader curdo, dai due vicepresidenti: il sunnita Ghazi al Yawar, già capo dello Stato ad interim, e lo sciita Abdul Mahdi, promosso dalla sua posizione di ministro delle Finanze. La composizione dei vertici istituzionali dell’Iraq è la dimostrazione che il processo democratico nel paese, nonostante i continui e quotidiani attacchi terroristici, continua ad avanzare.

Talabani, nel suo discorso di investitura, ha proposto un’amnistia ai terroristi iracheni per “offrire loro un’opportunità” di integrarsi nel nuovo Iraq. Ha inoltre fatto un appello “ai fratelli sunniti” perché decidano di partecipare attivamente al processo democratico in corso. Il canale al Iraqia è stato invece il primo ad annunciare la nomina dello sciita Ibrahim al Jaafari, leader del partito Dawa, a nuovo premier del paese. Jaafari ha promesso che presenterà il suo esecutivo nel giro di due settimane. Intanto, tra gli altri candidati alla carica di vicepremier ci sono l’attuale primo ministro ad interim, Iyyad Allawi, e il capo dell’Iraqi National Congress, Ahmed al Chalabi. Lo schema, anche nella formazione del governo, sarà sempre lo stesso: un equilibrio nelle nomine tra i tre principali gruppi etnico-religiosi del paese, cioè sunniti, sciiti e curdi. Per questo motivo, Chalabi, sciita come il premier, anche se laico, potrebbe essere il prescelto – fanno sapere a Baghdad – soltanto se i sunniti rifiuteranno per uno di loro l’incarico.

La figura di Chalabi è stata inoltre, in queste ultime settimane, rivista al meglio anche negli Stati Uniti. Dopo le accuse di aver fornito informazioni falsate sulle armi di distruzioni di massa in possesso del dittatore Saddam, persino il liberal Los Angeles Times ha cercato di riabilitarlo un po’. In una lunga intervista al quotidiano arabo- londinese, al Sharq al Awsat, Jaafari sì è invece difeso dall’accusa di avere idee integraliste dal punto di vista religioso. “La maggior parte degli iracheni è di fede musulmana – ha detto Jaafari – pertanto è naturale che le norme giuriche islamiche debbano essere tra le principali fonti della legislazione”, ma non l’unica, dunque. Affermazione, questa, ripresa dallo stesso grande ayatollah Ali al Sistani, che ha più volte sottolineato che il nuovo Iraq non sarà un unico blocco monolitico sciita di stampo iraniano. Significative, infatti, sono state le sue parole: “Nel nuovo governo non ci saranno turbanti”. Una forte provocazione nei confronti dell’Iran, dove domina il controllo dei clerici sulla vita politica e giuridica (wilayat al faqih) del paese. Nei prossimi giorni si dovranno assegnare i cinque ministeri considerati di maggior rilievo nel nuovo Iraq: Esteri, Difesa, Interno, Finanze e Petrolio. Sembrano già esserci forti tensioni tra il gruppo curdo e quello sciita, soprattutto sul dicastero per il greggio. A Baghdad si scommette che il ministero degli Affari esteri andrà a un curdo, come ora; quello della Difesa a un sunnita; l’Interno e le Finanze a due esponenti sciiti. Sul petrolio, tutto da decidere.
_________________
Spock: We must acknowledge once and for all that the purpose of diplomacy is to prolong a crisis.

  Visualizza il profilo di ipergiorg  Invia un messaggio privato a ipergiorg  Vai al sito web di ipergiorg    Rispondi riportando il messaggio originario
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 12-04-2005 12:02  
Baghdad, 11:04 ,12.4.05

IRAQ: BOMBARDAMENTO USA SU RUMANA, OLTRE 20 MORTI
Un bombardamento aereo e di artiglieria pesante sul villaggio di Rumana, nei pressi del confine con la Siria, avrebbe provocato oltre 20 morti, compresi 7 bambini, riferisce l'emittente televisiva panaraba al-Jazira, citata dall'agenzia Efe. Testimoni oculari citati dalla fonte riferiscono che tra le vittime ci sono 7 bambini e 6 donne. Tre abitazioni sarebbero state completamente distrutte. Rumana si trova a pochi chilometri dalla citta' di al-Qaim - 450 chilometri a ovest di Baghdad - dove ieri si erano registrati pesanti scontri tra truppe Usa e guerriglia irachena dopo l'esplosione di due auto-bomba nelle vicinanze di una base iracheno-statunitense. Tre soldati americani erano rimasti feriti a causa delle esplosioni.

  Visualizza il profilo di Quilty  Invia un messaggio privato a Quilty    Rispondi riportando il messaggio originario
honecker

Reg.: 31 Gen 2005
Messaggi: 626
Da: Pankow (es)
Inviato: 14-05-2005 16:57  
La vergogna degli Stati Uniti, a due anni dalla “missione compiuta”
di Robert Fisk
Una guerra tutt'altro che conclusa. Continuano gli abusi e sembra senza fine l'escalation di violenza nella capitale irachena
A due anni dalla “Missione Compiuta”, qualsiasi statura morale che gli Stati Uniti avrebbero potuto rivendicare alla fine della loro invasione dell'Iraq è stata da tempo sciupata dalla tortura, dagli abusi e dalle morti di Abu Ghraib. Che il simbolo della brutalità di Saddam Hussein sia stato convertito, per i nemici dell’ex dittatore, nel simbolo della loro stessa brutalità è un epitaffio di singolare ironia per tutta l’avventura irachena. Siamo stati contaminati dalle immagini della crudeltà degli interrogatori, impiegati dalle guardie e dai comandanti delle prigioni.

Ma questo non riguarda solo Abu Ghraib. Vi sono chiari e comprovati vincoli tra gli abusi ad Abu Ghraib e la crudeltà nella prigione statunitense di Bagram, in Afghanistan così come a Guanatamo.Curiosamente, il generale Janis Karpinsky, unico ufficiale di alto rango che dovrà affrontare le accuse per Abu Ghraib, mi ha confessato un anno fa, quando visitai la prigione, che aveva lavorato a Guantanamo Bay ma mi assicurò che lì non le era stato permesso di assistere agli interrogatori, il che mi parve molto strano.

E' stata già raccolta una grande quantità di prove evidenti riguardo il sistema che gli americani hanno creato per maltrattare e torturare i prigionieri. Intervistai un palestinese che mi fornì una prova convincente delle violazioni anali con pali di legno perpetrate a Bagran -dagli americani, e non dagli afgani.

Intervistai un palestinese che mi raccontò delle violazioni anali con pali di legno perpetrate a Bagran - dagli americani, non dagli afgani.
Molte delle storie che sono uscite da Guantanamo - le umiliazioni sessuali di prigionieri musulmani, le catene ad alcuni sgabelli in cui defecano e urinano, l’uso della pornografia per far sì che i musulmani si sentano impuri, le soldatesse che indossano vestiti succinti per fare gli interrogatori (o, in alcuni casi, che fingono di imbrattare il viso di un prigioniero con il flusso mestruale)- sono eventi sempre più comprovati. Gli iracheni con cui ho parlato per molte ore mi hanno descritto in tutta sincerità gli interrogatori militari e civili, non solo ad Abu Ghraib, ma nelle basi statunitensi in tutto l’Iraq.

In un accampamento americano appena fuori Fallujah, i prigionieri vengono colpiti con bottiglie di acqua di plastica piene, fino a che queste si rompano e taglino la pelle. Nella prigione di Abu Ghraib sono stati usati cani per spaventare e feriti i prigionieri.

Come si è sviluppata questa cultura immonda nella “guerra al terrore?” Come si origina l’ingiustizia istituzionalizzata che abbiamo visto in tutto il mondo, le vili “consegne” di prigionieri in cui dagli Stati Uniti i rapiti vengono trasferiti in paesi dove possono essere bruciati, elettrificati o, come accade in Uzbekistan, fritti vivi nel grasso?

Come ha scritto Bob Herbert sul New York Times, quello che sembrava inconcepibile quando vennero alla luce le prime fotografie di Abu Ghraib è ora una routine chiara, tipica dell'abuso "perpetrato dalle operazioni dell'amministrazione Bush".

Amnesty International, nel documento di 200 pagine pubblicato l’ottobre scorso, ricostruisce i memorandum del segretario alla difesa Donald Rumsfeld riguardo ai sistemi degli interrogatori e all'autorizzazione delle pratiche di tortura.
Per esempio, nell’agosto 2002, solo alcuni mesi dopo la dichiarazione di "Missione Compiuta", un documento del Pentagono affermò che “al fine di rispettare l’autorità costituzionale del presidente di comandare una campagna militare, [la legge americana che proibisce la tortura] deve essere considerata inapplicabile durante gli interrogatori compiuti sotto l'autorità del comandante in capo”. Questo significa che è stato Bush a dare il permesso di torturare?

Nel 2004 un report del Pentagono utilizza parole specifiche per permettere a coloro che compiono interrogatori si usare la violenza senza correre il rischio di dover affrontare future azioni legali: “sebbene un funzionario sappia che il risultato delle sue azioni sarà un grave dolore, se procurare tale dolore non è il suo obiettivo, non esiste il requisito specifico dell'intenzione [per essere colpevole di esercitare la tortura], sebbene colui che compie l’interrogatorio ammetta di non averlo agito in buona fede”.

L’uomo che istituzionalizzò direttamente i crudeli interrogatori di Abu Ghraib è stato il maggiore generale Geoffrey Miller, il comandante di Guantanamo che fu inviato a Abu Ghraib con l’ordine di “aumentare l’efficienza” nelle operazioni di confinamento”.
A questo seguì un incremento nell’uso criminoso delle mogli e la nudità forzata dei prigionieri. In un documento di Miller che seguì alla sua vistia ad Abu Ghraib nel 2003, il generale maggiore parla della necessità di una forza di detenzione che “crei le condizioni per gli interrogatori e per lo sffruttamento dei detenuti”. Secondo il generale Karpinski, Miller affermò che i prigionieri “sono come cani, e se si permette loro di sentirsi qualcosa di più che cani, si perde il controllo su di loro”.



Il “nuovo” Iraq imparerà da questi centri di interrogatori como devono essere trattati tutti i prigionieri e, inevitabilmente, i “nuovi” iracheni faranno loro la lezione di Abu Ghraib.
La lista delle prigioni presenti in territorio iracheno è un simbolo vergognoso non solo della nostra crudeltà ma del nostro insuccesso nel creare le circostanze in cui il nuovo Iraq dovrebbe prendere forma. Si possono celebrare elezioni e creare un governo, ma quando si permette a questo potere militare di estendersi tutto il senso della democrazia cambia. Il “nuovo” Iraq imparerà da questi centri di interrogatori como devono essere trattati tutti i prigionieri e, inevitabilmente, i “nuovi” iracheni faranno loro la lezione di Abu Ghraib e torneranno nello status che avevano durante il regime di Saddam e l'intero scopo dell'invsionee (almeno quello della versione ufficiale) andrà perduto.

La ribellione è sempre più imprevebilie da controllare ed è divenuto ovvio il vuoto della stupida bravata del presidente Bush. Sembrava che la vera missione fosse istituzionalizzare la crudeltà degli eserciti occidentali, sporcandoci per sempre con la depravazione di Abu Ghraib, Guantanamo e Bagram - per non parlare delle prigioni segrete che non è concesso visitare nemmeno alla croce rossa e in cui chissà quali viltà si stanno consumando.
Mi chiedo: quale sarà la nostra prossima “missione”?

  Visualizza il profilo di honecker  Invia un messaggio privato a honecker    Rispondi riportando il messaggio originario
honecker

Reg.: 31 Gen 2005
Messaggi: 626
Da: Pankow (es)
Inviato: 04-06-2005 19:33  
A Falluja si compì un genocidio che ora l'esercito
statunitense cerca di coprire cremando rapidamente i
corpi dei civili uccisi...

Una fonte militare della NATO, ha rivelato al
quotidiano saudita al-Watan, che nei corridoi
dell'organizzazione atlantica, circolano informazioni
militari, circa la perpetrazione di decine di massacri
collettivi a danno degli iracheni, da parte
dell'esercito statunitente dopo le operazioni militari
contro Falluja.
Secondo la fonte, le informazioni rivelano che gli
americani hanno seppellito i cadaveri degli iracheni
uccisi in fosse comuni, aggiungendovi calce viva ed
altri prodotti chimici per assicurarsi della rapida
decomposizione dei cadeveri, al fine di far perdere,
per quanto possibile, ogni traccia che potesse far
risalire al numero delle vittime. Inoltre, stando a
queste informazioni alcune di queste fosse comuni si
trovano nelle zone desertiche dell'area curda.

La stessa fonte ha, inoltre, assicurato al quotidiano
che esecuzioni collettive e senza processo sono state
eseguite contro decine di sunniti, tra cui anche
minorenni, e che alcuni esperti militari della NATO -
che hanno contribuito ad istituire una accedemia
militare per l'addestramento delle forze irachene -
hanno confermato queste informazioni. Secondo alcuni
documenti a questo proposito, la maggior parte delle
persone uccise erano civili che non detenevano armi né
facevano parte della resistenza irachena.
Allo scopo di smaltire il sovraffollamento nei
carceri, si sono verificate a partire dallo scorso
febbraio - sempre seconda la stessa fonte - operazioni
segrete di deportazione collettiva verso destinazioni
ancora ignote, ma si presume che i deportati siano
stati giustiziati senza processo.

Mentre associazioni europee per la difesa dei diritti
dell'uomo - spiega il quotidiano - cercano di
avvalersi dei rapporti degli esperti della NATO, per
svelare le operazioni dei massacri collettivi e le
fosse comuni, opera delle forze americane, esponenti
militari americani in Iraq, invece, hanno descritto
tali crimini, come "eccessi militari che possono
accadere in qualsiasi guerra".
Washington - sempre secondo l'anonima fonte - si
considera praticamente ancora in stato di guerra,
mentre la maggior parte degli stati europei, ritiene
che gli autori dei crimini, che siano semplici
soldati, esecutori di ordini superiori o esponenti
militari che hanno ordinato o permesso a tali crimini
di verificarsi, devono essere processati e puniti come
criminali di guerra. La fonte, ha anche notato che
ultimamente, organizzazioni per la difesa dei diritti
dell'uomo, hanno chiesto di poter visitare l'Iraq e,
precisamente, le zone dei confini - in una sorta di
missione d'indagine per raccogliere informazioni e
prove sulle esecuzioni collettive - ma le autorità
americane, con la scusa del pericolo che i
rappresentanti di queste organizzazioni corrono, hanno
sempre rimandato la decisione a questo riguardo.
Secondo la stessa fonte, è probabile che gli americani
abbiano spostato i resti delle vittime dalle fosse
comuni attuali ad altre, per cancellare ogni traccia
che possa portare alle prove dei genocidi.

  Visualizza il profilo di honecker  Invia un messaggio privato a honecker    Rispondi riportando il messaggio originario
honecker

Reg.: 31 Gen 2005
Messaggi: 626
Da: Pankow (es)
Inviato: 19-06-2005 12:18  
Sono il Dr.Mohammad Hadeed, un medico iracheno di Falluja. Ho vissuto le due battaglie di Falluja, quella di aprile e quella di novembre. Sono rimasto nella città sino alla fine della prima battaglia ed i primi dodici giorni della seconda.

In Iraq si guarda all’Italia come ad un paese che è membro della coalizione militare occupante ma, nello stesso momento, si guarda al popolo italiano come ad un popolo amico di quello iracheno. La grande speranza del popolo iracheno è quella che il governo italiano riesca a capire la realtà della situazione in Iraq e del gioco americano e che possa prendere provvedimenti in merito. L’intenzione è stata quella di andare lì per preservare la pace e aiutare la popolazione irachena. Ma in Iraq oggi non esiste la pace. La verità è che gli Stati Uniti hanno fatto dell’Iraq solo una terra del terrorismo.

Comincerò col presentare la situazione in Iraq, sia prima che dopo la guerra.

Gli Stati Uniti avevano preparato il mondo a questa guerra, a partire dalle armi di distruzione di massa e dai presunti rapporti tra il potere di Saddam Hussein con Al-Qaeda. Gli Stati Uniti hanno continuato a raccontare menzogne, finché tutto il mondo è stato portato a credervi. Gli stessi iracheni avevano cominciato a credere in questa intenzione ed in queste menzogne degli Stati Uniti. Per questo motivo il popolo iracheno non ha opposto una vera resistenza. Pensavano che gli Stati Uniti fossero entrati solamente per prendere le armi di distruzione di massa e, fatto questo, intendessero uscire. Pensavano che questo avrebbe salvato il mondo dalla minaccia delle armi di distruzione di massa ed anche che per il popolo iracheno sarebbe stata un’occasione per eliminare l’embargo sofferto per dieci anni. Pensavano che gli Stati Uniti se ne sarebbero andati via dall’Iraq.

La guerra cominciò il 19 marzo 2003 e dopo 20 giorni anche Baghdad era presa dall’esercito americano. Dovete capire che quando Baghdad è stata occupata dall’esercito americano Bassora stava ancora opponendo resistenza. Per questo Baghdad era la chiave dell’occupazione americana in generale. Pensavamo che gli Stati Uniti ci avrebbero portato la democrazia. Pensavamo anche che avrebbero trovato le armi di distruzione di massa, che ci avrebbero liberati da queste armi e dai pericoli che potevano derivare da queste armi. Pensavamo che avrebbero diffuso la pace nell’Iraq. Ci aspettavamo che all’Iraq sarebbe venuto del bene. Ma niente di tutto questo è accaduto.

Adesso vi parlo dopo più di due anni d’occupazione. Abbiamo visto solamente un cammino nero. Non esiste alcuna luce. Gli Stati Uniti non hanno portato la democrazia, bensì la morte, non hanno portato il cibo, ma la fame, non hanno portato la pace, ma il terrorismo, hanno portato un governo attraverso i carrarmati, composto solamente da individui filo-americani, al soldo degli Stati Uniti. In questo governo hanno posto proprio quelle persone che avevano fatto pensare e convinto gli Stati Uniti ed il governo americano dell’esistenza delle armi di distruzione di massa e comunque sempre per i loro obiettivi personali. Adesso quegli individui sono parte del governo iracheno.

Il precedente governo e lo stato sono stati distrutti. Ministeri, funzioni e funzionari sono stati disciolti. Anche settori della sanità e dell’istruzione sono stati danneggiati. Hanno portato al potere personaggi che non hanno nessuna competenza, salvo quella di essere alleati degli Stati Uniti. All’inizio hanno creato un consiglio locale per i loro alleati. Oggi hanno anche organizzato delle elezioni che però sono state completamente menzognere e fasulle. Attraverso queste hanno solamente raccolto come frutto la creazione di divisioni tribali, sia etniche, tra curdi ed arabi, che religiose, tra sciiti e sunniti. Adesso gli iraniani sono arrivati al governo in Iraq. La Lista 169, che sarebbe la coalizione di tutti i partiti sciiti che adesso costituisce la maggioranza nel governo e nel parlamento iracheno, viene chiamata la “lista iraniana”. Il ministro delle finanze è una persona ricercata dall’Interpol. Chalabi è un personaggio accusato di aver svaligiato la banca di Amman in Giordania ed ora è il ministro della finanza e quindi anche competente per il petrolio. Gli Stati Uniti hanno preso un ladro e gli hanno attribuito la competenza delle finanze, ma anche e soprattutto quella del petrolio.

Vorrei dire, in tutta sincerità, e vi chiedo veramente di credermi, che tutti gli attentati con le bombe che avvengono in Iraq non sono opera degli iracheni. Lo stesso governo lo ha riconosciuto. La Resistenza irachena non è responsabile di tutto quello che le viene attribuito dai media occidentali. Molti attacchi sono propaganda per gli Stati Uniti, che possono così mostrare come in Iraq ci siano bombe, attentati e quindi disordine. E’ per questo che vengono messe bombe nelle moschee degli sciiti: per attribuirle ai sunniti. Per lo stesso motivo vengono messe anche nelle chiese: per attribuirle ai mussulmani contro i cristiani. Si tratta di uno scenario costruito dagli Stati Uniti per dimostrare al mondo che devono rimanere lì, perché se loro se ne andassero fuori, in Iraq ci sarebbe la guerra civile.

Prima dell’ingresso degli americani in Iraq, noi medici lavoravamo senza mai sapere chi di noi fosse sunnita o sciita o cristiano. Di questo si è cominciato a parlare solo dopo il loro ingresso ed è ciò che hanno portato gli Stati Uniti in Iraq. Ci sono moltissime persone impegnate nella realizzazione di questo scenario: un’organizzazione molto preparata ed efficiente nel preparare attacchi contro chiese e moschee, per mettere cristiani, sunniti e sciiti gli uni contro gli altri e far credere a tutto il mondo che esista realmente uno scenario da guerra civile. Ma si tratta di una situazione impossibile: le etnie sono molto alleate tra di loro. In Iraq ci sono tantissimi matrimoni misti, sia tra cristiani e mussulmani, che tra sciiti e sunniti. La società civile irachena vive al di sopra di ogni divisione per religione o etnia.

Durante la battaglia di Falluja, mentre stavamo organizzando il soccorso, ho raccolto l’appello di un medico cristiano da una radio di Londra. Mi chiedeva, benché io sia un medico mussulmano, di soccorrere la sua famiglia, cristiana, rimasta come me intrappolata in questa guerra. Ho svuotato una parte della mia casa per dare ospitalità a questa famiglia cristiana. Questo è lo spirito presente tra gli iracheni.

La verità è che l’Iraq è solamente un campo di battaglia per tutti gli aspiranti alle ricchezze della regione. E’ un campo di battaglia tra le forze dell’imperialismo, le forze del terrorismo, le forze economiche. E’ un campo di battaglia. Ma l’Iraq, con il suo popolo, non c’entra niente.

Gli Stati Uniti hanno preparato le armi, hanno preparato l’esercito, perché trovasse le armi di distruzione di massa. E non le hanno trovate. Hanno detto che Saddam Hussein aveva delle armi con le quali minacciava i vicini e che per questo motivo avevano dovuto distruggere tutte le armi irachene e sciogliere completamente l’esercito. Avevano detto che Saddam Hussein era una persona molto pericolosa per il mondo. Adesso è loro prigioniero. Adesso che comunque tutte le ragioni per le quali sono entrati in Iraq non esistono più, perché gli Stati Uniti non se ne vanno? Gli Stati Uniti stanno creando contraddizioni tra gli iracheni per giustificare la loro presenza. Hanno posto nel governo dell’Iraq individui che perseguono questa linea. Hanno dato ordine all’attuale Ministro degli Affari Esteri di richiedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di far rimanere ancora in Iraq le forze della coalizione. Il Ministro degli Esteri degli Stati Uniti ha dichiarato che non potranno sconfiggere la Resistenza prima del 2009. Avevano preparato il mondo (italiani compresi) con una propaganda secondo la quale sarebbero stati accolti coi fiori al loro ingresso in Iraq. Hanno trovato tutt’altro. Allora hanno cominciato a dire che i terroristi operano attacchi contro l’esercito americano. Sono stati loro ad aprire i confini iracheni e permettere l’ingresso in Iraq ad organizzazioni terroristiche. Questo è solamente uno scenario per creare confusione, per mischiare le carte. In effetti sono loro che comandano anche quelli che tagliano le teste. E questo con l’obiettivo di fornire una cattiva immagine della Resistenza. Ma la Resistenza è nobile. Purtroppo in tutti i settori della società civile irachena, compresa anche la Resistenza, ci sono persone che lavorano per le forze della coalizione. E’ logico pensare che siano venuti per distruggere questo paese e non per togliere le armi di distruzione di massa o per togliere di mezzo Saddam Hussein.

L’Iraq è considerato uno dei paesi più ricchi del mondo. Oltre al petrolio l’Iraq possiede numerosi altri minerali, come fosfati e rame; si dice anche che nel nord dell’Iraq ci sia uranio. Adesso loro hanno cominciato a svaligiare le ricchezze dell’Iraq: nel nord cominciano addirittura a sparire montagne, perché contengono minerali. Stanno portando fuori veramente grosse quantità di minerali. Per non parlare di tutte le ruberie durante il governatorato di Paul Bremer: sono spariti quasi sei miliardi. E durante l’attuale governo sono spariti almeno altri sette miliardi, ricavati dalla vendita del petrolio iracheno. Così come altre somme miliardarie stanziate per comprare materiale ed invece sparite.

(Il Dr.Hadeed si alza ed indica delle foto sui cartelloni di una mostra fotografica esposta.)

Vedete questa signora irachena? Si tratta di un’anziana che porta un sacchetto di grano sulla testa. Anche quest’altra vecchia signora sta aspettando, da ore, di entrare nella città di Falluja. Gli Stati Uniti si sono creati dei nuovi nemici tra gli iracheni. Guardate questi bambini: non sono dei terroristi. Sono persone che hanno il loro paese nel cuore. In modo spontaneo hanno issato una bandiera irachena. Si tratta di una reazione emotiva all’occupazione straniera. Osservate anche quest’uomo: abbraccia suo figlio e piange. Cosa direbbe Bush a questo signore? Perché l’hanno arrestato? Perché lo tengono prigioniero? E’ anche possibile che sia stato ammazzato. Cosa direbbe Bush a suo figlio? Che suo padre è un terrorista? Ha senso affermare che centinaia di migliaia di iracheni sono tutti terroristi? Queste sono foto di Resistenti: nascondono i loro volti per non essere riconosciuti dall’esercito americano e dai loro alleati. Io sono un medico e non amo questa violenza. Esiste sempre, però, una contro-reazione. Per ogni azione esiste una contro-reazione. Esistono la violenza e la contro-violenza.

L’esercito americano ha lasciato depositi di armi aperti ed ha fatto sì che gli stessi iracheni se ne impossessassero, per produrre uno scenario da guerra civile che giustificasse la loro permanenza. Lo scenario prevede che gli iracheni si bombardino tra di loro, in modo da far rimanere gli eserciti della coalizione. Ma è successo anche che queste armi siano state utilizzate per fare la Resistenza contro gli americani. Per questo stanno preparando una mappa politica basata sulla divisione etnica dell’Iraq. Per favorire questa guerra civile irachena, per far sì che gli iracheni si combattano tra di loro e si dimentichino dell’occupante. Ma sono sicuro che questo scenario fallirà. All’inizio, con l’aiuto di Ahmed Chalabi, e per mano di bande da lui guidate, hanno ucciso circa 1.200 tra ingegneri, dottori e docenti universitari, al fine di disperdere il vecchio partito Baath. Hanno portato l’esercito Badr dall’Iran e questo fa parte della Lista 169. Hanno come incarico di uccidere tutti gli Ulema della sunna per creare disordine. Ma gli iracheni sono coscienti di questa situazione e cercano di spegnere il fuoco. Questa, in generale, è la situazione in Iraq. Chi cammina in Iraq, non solamente se straniero, non ha nessuna certezza di tornare a casa vivo. Per strada ci sono uccisioni e bombardamenti. Di tutte queste situazioni i primi responsabili sono gli Stati Uniti.

Ai tempi di Saddam Hussein tutti gli iracheni avevano una tessera alimentare con la quale potevano fare i loro approvvigionamenti. In questi ultimi mesi la lista dei prodotti compresi è parecchio diminuita ed i prodotti che si possono prendere sono di scarsa qualità.

La Resistenza irachena è autentica. E’ anche presente sia al sud che al nord. C’è a Bassora, a Nassiriya. Non so se sapete che c’è stata anche una Resistenza contro la presenza italiana a Nassiriya. E’ una reazione popolare. Credo che gli abitanti di Nassiriya stiano aspettando che l’esercito italiano lasci la città. Nassiriya ha continuato a resistere anche dopo l’occupazione di Baghdad. Esiste comunque anche l’idea che gli italiani siano stati messi in trappola, che non sappiano nemmeno loro dove sono finiti.

Adesso vi parlerò di Falluja, la mia città, dove sono stato medico e testimone.

Ho vissuto le due battaglie di Falluja, a cominciare da quella del mese di aprile. Allora mi trovavo ancora fuori dall’Iraq, ma avevo sentito dai media che Bush dichiarava di voler “educare” Falluja, dopo che vi erano stati uccisi degli agenti dei servizi segreti americani e bruciata la loro macchina. Adolescenti un po’ incoscienti ne avevano mutilato i corpi. Tutti gli iracheni c’erano rimasti male e non avevano approvato la cosa. La nostra religione non accetta questo. I nostri rappresentanti erano persino andati a presentare le loro scuse all’esercito occupante per quello che aveva fatto un gruppo di giovani incoscienti. E’ sorta una contraddizione tra la popolazione di Falluja, ma a causa degli americani.

Falluja è stata la prima città a negoziare con gli Stati Uniti. Avevano chiesto all’esercito americano di mettersi d’accordo su come entrare nella città evitando la guerra. Avevano anche riservato loro la sede del partito Baath della città che era stata scelta per essere il luogo della presenza della rappresentanza americana. Ma l’esercito americano ha preferito rimanere nelle scuole, tra le case. Allora, i giovani di Falluja, hanno intentato un’azione democratica (pensavano di poter esercitare la democrazia di cui sentivano parlare nei media). Hanno fatto una manifestazione per chiedere all’esercito americano di uscire dalle scuole ed andare nella sede del partito Baath.

Ma l’esercito americano ha aperto il fuoco contro questa manifestazione pacifica. Circa 17 giovani sono stati uccisi e 7 feriti. Non ci hanno nemmeno lasciato portare soccorso. Quando le squadre di soccorso si avvicinavano ai giovani feriti venivano prese di mira dall’esercito. Hanno continuato a sparare fino alla morte. Il giorno dopo i responsabili militari hanno presentato delle scuse. Hanno dichiarato che era stato solamente un soldato americano ad aprire il fuoco per paura e che gli altri avevano sparato dopo di lui per solidarietà. Hanno ottenuto un’altra autorizzazione dall’esercito americano per un’altra manifestazione pacifica. Anche nella seconda manifestazione hanno ucciso 4 persone, con la scusa che alcune si erano avvicinate ad un carrarmato. Quando sono arrivati ad un incrocio davanti agli americani, sono iniziati gli spari.

A quel punto chi aveva delle armi ha cominciato a reagire e gli spari hanno incominciato a echeggiare per tutte le vie della città. Era nata, in questo modo, una specie di Resistenza spontanea, una reazione. Le armi ci sono. Grazie a Saddam Hussein il popolo era abituato ad utilizzarle, ha passato dieci anni in guerra contro l’Iran, un anno in Kuwait, ha subito dieci anni di bombardamenti americani contro l’Iraq. Il popolo iracheno è ormai abituato a maneggiare le armi.

I cittadini di Falluja hanno chiesto che venissero risarcite le vittime, le persone che erano state uccise. Ma gli Stati Uniti hanno rifiutato ed hanno anche incominciato ad umiliare i capi delle tribù, i saggi, gli Ulema. Ci sono foto che mostrano soldatesse americane mentre mettono i piedi sulla testa di un imam di Falluja. Nella cultura locale ciò ha il significato di una colpa così grave da meritare una condanna a morte, anche se il colpevole fosse stato Saddam Hussein in persona. Esistono anche tradizioni per le quali se qualcuno viene ucciso deve essere risarcito con soldi perché, diversamente, per 40 anni la famiglia dell’ucciso deve vendicare il torto. Questa è la situazione che si è prodotta tra la gente di Falluja e l’esercito americano.

La prima battaglia è cominciata nel mese di aprile. Bombardamenti disorganizzati. Uccisioni di civili, bambini. La gente di Falluja ha opposto resistenza in tutta spontaneità e la Resistenza si è diffusa anche in tutte le altre regioni dell’Iraq. C’è stata, nello stesso momento, Resistenza a Bassora, Kerbala, Najaf, Samarra … ed anche a Baghdad, a Sadr City, da parte degli sciiti. Loro stessi hanno opposto in quel periodo una Resistenza alla presenza americana in solidarietà con la gente di Falluja. E’ questa la vera relazione tra sciiti e sunniti in Iraq. Per due settimane l’esercito americano non è riuscito ad entrare in Falluja ed è rimasto sotto minaccia nelle altre regioni intorno alla città, perché anche queste avevano posto resistenza insieme alla gente di Falluja. In quel momento lo stesso presidente Bush ha dovuto riconoscere che il suo esercito stava attraversando un momento molto difficile. Paul Bremer stesso aveva dichiarato di essere molto sorpreso di questa Resistenza a Falluja. L’esercito americano aveva richiesto il cessate il fuoco, perché il morale delle truppe cominciava a calare.

Avevano promesso un risarcimento per le persone uccise e le case distrutte, e l’autorizzazione al ritorno degli sfollati in città. Sono iniziati delle trattative con delegazioni della città di Falluja. Quando si stava quasi per giungere ad un’intesa, gli americani si dichiaravano d’accordo con le richieste, ma aggiungevano: “Noi siamo d’accordo con voi, ma dovete ancora negoziare col governo iracheno”. Nelle negoziazioni col governo iracheno questo diceva: “Gli Stati Uniti non hanno accettato”. Ciò nonostante si era arrivati ad un’intesa col governo iracheno, che aveva accettato i punti proposti dalla Resistenza di Falluja. A questo punto, però, il governo aveva affermato di dover chiedere agli americani se accettavano o no. Questi ultimi dichiararono: “Tutti questi punti d’accordo che avete raggiunto col governo iracheno ci stanno bene, però vogliamo Al-Zarkawi”. Il significato è: se io non sono d’accordo con te basta che ti chieda una cosa impossibile... Ovvero, semplicemente, ti voglio mettere dalla parte del torto e utilizzare la forza contro di te. Allora la gente di Falluja rispose: “Vi aiutiamo a trovare Al-Zarkawi”.

E durante i negoziati gli americani hanno continuato a bombardare Falluja. Hanno ucciso tantissime persone. Quando i giornalisti mostravano le foto di donne e bambini uccisi dall’esercito americano e chiedevano: “Ma perché li uccidete? Al-Zarkawi non c’è tra questi che sono stati uccisi”. Rispondevano: “Al-Zarkawi era lì, ma era appena uscito”.

La gente di Falluja era sinceramente aperta al dialogo e disposta alla pace. Pensava che gli americani avessero un po’ di legittimità e sincerità, ma la verità è emersa dopo la battaglia di novembre: negoziavano solamente per guadagnare tempo. Nel frattempo i loro aerei sorvolavano la città, sia di giorno che di notte, e fotografavano le postazioni per prepararsi alla battaglia. Hanno fatto anche penetrare nella città i loro alleati. Noi pensavamo che volessero fare la pace, che negoziassero per la pace. In sei mesi avevano solamente preparato lo scenario per scatenare la loro violenza sulla gente di Falluja. Questa, quando andava a dormire, pensava che avrebbe anche potuto non svegliarsi più. Ma tutti amiamo la nostra città e non possiamo lasciarla.

Quando è cominciata la battaglia di novembre, il primo ad essere occupato è stato il grande ospedale di Falluja. Si trova in periferia. Lo separa dalla città un fiume, attraversato da un ponte. Gli americani sono entrati in città in modo selvaggio, come barbari. Hanno ucciso dei medici e ad altri hanno legato le mani dietro la schiena. Ci hanno maltrattati. Quando un medico chirurgo chiedeva loro di non essere picchiato sulle mani in quanto chirurgo, veniva picchiato proprio su quelle ed anche in faccia. Hanno distrutto tutto il materiale medico affermando che nell’ospedale c’erano dei terroristi. Anche l’amministrazione dell’ospedale ha portato avanti delle trattative con gli americani. Hanno detto loro: ”State occupando l’ospedale. Noi vi aiutiamo a trovare i terroristi, se ci sono”. Hanno cominciato a cercare ed hanno trovato donne, bambini, persone malate, ciascuno con la propria patologia: questo hanno trovato. Quelli tra gli americani che erano entrati nell’ospedale ed hanno visto i malati, hanno cominciato a scusarsi coi medici, dicendo che loro stessi erano stati mandati lì, perché era stato detto loro che in quel posto c’erano dei terroristi e pensavano di essere già arrivati nel centro della città. In quel momento Falluja stava subendo distruzioni e bombardamenti. L’ospedale era occupato e non c’era nessuna possibilità di raggiungerlo. L’esercito americano ne aveva fatto uscire tutti i malati. A Falluja non esisteva più un ospedale.

Avevano dispiegato quasi sessanta chilometri di esercito tutt’intorno. Per due giorni, senza interruzioni, giorno e notte, la città è stata bombardata. Sono stati utilizzati tutti i tipi di armi, anche quelli non autorizzati a livello internazionale: napalm, bombe al fosforo, bombe che provocano shock elettronico. Abbiamo imparato a riconoscere anche questi tipi di armi, avendo subito sulla nostra pelle per colpa dell’esercito americano. Abbiamo imparato a riconoscerle anche dal suono che producono arrivando. Le cluster-bomb erano riconoscibili, perché quando cadevano continuavano ad esplodere ripetutamente. Con la bomba che produce lo shock elettronico tutti i macchinari smettono di funzionare: in questo modo hanno distrutto anche le attrezzature sanitarie dell’ospedale che si usano per radiografie ed altro. La gente intorno a Falluja ci ha raccontato di aver visto i bombardamenti sulla città: vedevano bombe fosforescenti che cadevano sulle case come fuochi d’artificio, con colori verde e rosso.

Ho portato un filmato, ripreso dai ragazzi, e mi dispiace di non poterlo proiettare. In questo filmato c’è la documentazione di quanto successo. Anche dei tanti animali che sono stati uccisi. Ci sono cadaveri di persone anche dove non c’è traccia di armi da fuoco. Sono tutti bruciati come nelle foto esposte nella mostra e questo prova l’utilizzo di armi non-convenzionali. Ci sono anche immagini di cadaveri dove sono rimaste solamente le ossa, cadaveri senza testa. Alla fine del film ci sono immagini di civili che hanno incominciato a ritornare nella città. Tre o quattro persone uccise dopo la fine della battaglia. Questo filmato è stato girato nel mese di gennaio 2005. Non è stato realizzato da un giornalista, ma dagli stessi abitanti. Abbiamo documentato tutte le persone uccise che abbiamo sotterrato in un campo sportivo. Tra queste ci sono donne e bambini. Sicuramente un filmato avrebbe potuto esprimere molto meglio quello che ho cercato di descrivervi con le parole.

Voglio farvi un riassunto della distruzione. A Falluja esistono 36.000 case. La popolazione è di 350.000 abitanti. 100.000 erano all’interno della città nel corso della battaglia di novembre. Anche le regioni dove sono sfollati gli abitanti della città sono state bombardate. Ho in mente una famiglia, composta da 10 persone, che abita a 15 chilometri da Falluja. Sono arrivate altre due famiglie a rifugiarsi da loro, 15 persone. Sono così diventate 25. Il cibo disponibile non è sufficiente per tutti. Sono sotto assedio. Al mercato tutto è stato esaurito. Anche i medicinali non ci sono più. Quindi, per due mesi non solo Falluja, ma anche le zone intorno, sono state sotto bombardamento. Dopo un mese e mezzo l’esercito americano ha autorizzato solo pochi aiuti umanitari e solo nelle zone limitrofe a Falluja.

5.000 famiglie in città, 100.000 persone. Bombe e nessuna assistenza sanitaria. Anche noi medici eravamo sotto assedio ed il personale sanitario abitante in città non era autorizzato a recarsi all’ospedale. Nel secondo giorno di bombardamento abbiamo trasformato un centro medico in ospedale. Abbiamo riunito tutto il personale sanitario della città, ma non abbiamo trovato alcun chirurgo, in quanto erano tutti rimasti nell’ospedale, prigionieri degli americani. Non potevamo quindi prestare le dovute cure mediche alle decine e decine di feriti, che necessitavano di operazioni chirurgiche in varie parti del corpo. Tutte queste persone sono decedute. Abbiamo poi aperto un altro centro medico per accogliere i feriti. Quelli che avevano una situazione più difficile venivano trasferiti al primo centro. Tutti quelli che erano feriti all’addome o alla testa non sono sopravvissuti. Abbiamo cercato di mandare le ambulanze fuori città per il soccorso, ma sono state colpite: abbiamo perso sia autoambulanze che malati. Due ore prima del loro ingresso in città, gli Stati Uniti hanno bombardato il centro trasformato in ospedale, uccidendo tutti i presenti. Non avevamo più ormai alcuna possibilità di prestare cure mediche. Ogni ferito doveva aspettare solamente la morte: non importa se bimbi piccolini, donne od anziani. La gente ci cercava telefonicamente chiedendo aiuto, ma non potevamo fare nulla, anche perché dall’alto uccidevano chiunque andasse per strada.

Il terzo giorno i cecchini americani si sono sparsi per la città. Sia dai tetti, ma anche dall’interno delle case, sparavano su qualsiasi cosa si muovesse per strada, che fosse donna, bambino, anziano, o persona ferita o malata, quand’anche con la bandiera bianca. Abbiamo documentazione di tutto questo. Abbiamo tantissimi filmati che lo provano. Non facevano alcuna distinzione tra il gatto e la persona anziana od il bambino. Sparavano su tutto. Anche sugli alberi, sulle foglie che si muovevano per il vento.

Io ed altro personale sanitario eravamo nel secondo centro che avevamo improvvisato. Ci hanno incastrati in un edificio, dove siamo rimasti bloccati per sette giorni. Avevamo finito le provviste alimentari. Abbiamo telefonato all’ospedale e parlato anche con medici americani, che ci erano parsi umani. Ci diedero rassicurazioni promettendoci di farci uscire dalla città, ma erano solamente parole. Sono stato obbligato ad alzare una bandiera bianca ed andare dai militari iracheni, dopo che mi avevano autorizzato ad uscire. Mi hanno preso prigioniero. Avevo chiesto ed ottenuto d’incontrare il comandate dell’esercito della zona in cui mi trovavo. Gli ho chiesto di fermare i bombardamenti sulla gente e sul centro medico. Gli ho spiegato che all’interno delle case e del centro medico vi erano bambini. Lui mi ha risposto che non c’erano bambini. Gli ho detto: “Posso dimostrarvelo: lei dia l’ordine di non spararmi. Io esco. Datemi mezz’ora. Posso far uscire in cento metri quadri tutti i bambini che ci sono.” Volevo fargli vedere quanti bambini, donne ed anziani erano senza cibo e quanti feriti. Bastava dar ordine all’esercito di non sparare sulle persone che alzavano bandiera bianca. Avevamo stabilito come luogo d’incontro una moschea. Sono uscito quindi con la bandiera bianca. Ho camminato per circa un chilometro e sono riuscito a radunare duecento persone tra adulti e bambini, tra i quali dieci feriti. L’ufficiale americano si è convinto. Quindi è stato improvvisato un altro centro medico all’interno della moschea portando anche dei medicinali dalle case. Abbiamo chiesto di far uscire i feriti dalla città, ma è stato rifiutato. Non hanno accettato che venissero trasferiti all’ospedale. Alcuni avevano problemi di cancrena, con arti da amputare. Alcuni dei feriti e dei malati avevano necessità, per le loro patologie, di personale medico specialistico. Alla fine hanno autorizzato il trasferimento dei più gravi all’ospedale militare giordano, 2 chilometri fuori Falluja, di fronte ad una base americana. Da lì sono stati trasferiti a Badhdad.

Gli americani hanno continuato ad uccidere la gente di Falluja per due mesi. Dopo due mesi ci hanno autorizzati a ritornare in città.

Nella prima battaglia di Falluja organizzazioni umanitarie italiane (fra queste Inter S.O.S. e Croce Rossa) hanno partecipato al soccorso, trasferendo alcuni feriti all’ospedale italiano di Badhdad. Anche dei giornalisti italiani sono entrati in città e ne abbiamo incontrati alcuni. A novembre, invece, non c’era nessuno. L’esercito americano non aveva concesso autorizzazioni.

Vi darò in breve alcuni dati sulla situazione di distruzione prodotta a Falluja. In Italia, se una casa presenta una fessurazione in un muro, tutto l’edificio è considerato pericolante. Le distruzioni avvenute a Falluja sono state molto spesso parziali e la gente ha continuato ad abitarvi malgrado le crepe. E’ stata creata una commissione urbanistica, ma le statistiche fornite non sono obiettive, secondo i criteri occidentali, in quanto considerano distrutta una casa solo se lo è interamente. Su 36.000 case esistenti, la statistica ufficiale parla di 3.100 case completamente distrutte: significa che non esiste più niente, solo sabbia. Ma quando della casa sono distrutti solo un terzo od i due terzi, il danno non viene conteggiato. Questo anche col fine di non riconoscere risarcimenti. 2.000 case sono state bruciate: magari ne resta l’edificio, ma tutto è bruciato. Gli Stati Uniti hanno promesso risarcimenti per 493 milioni di dollari. Ne hanno poi offerti solamente 100, che stiamo ancora aspettando. 1.800 edifici di carattere produttivo sono stati distrutti. 258 fabbriche. Nessuno di questi è stato conteggiato né considerato, per il momento, per eventuali risarcimenti.

Tre quarti della città sono stati cancellati. Non c’è più acqua corrente, né elettricità. Adesso ci sono 6 ingressi alla città. Solamente per entrare od uscire le automobili aspettano 5 o 6 ore. Sono autorizzati ad entrare solo i residenti. Dalle 8 di sera (ultimamente dalle 10) alle 6 di mattina, c’è il coprifuoco. Continuano ancora gli arresti. Di notte continuano ad irrompere nelle case. Continuano ancora ad usare gli elicotteri. L’esercito americano ruba, va a rubare nelle case. E’ sbalorditivo: rubano braccialetti d’oro e tutto quello che trovano. Se trovano una macchina fotografica dicono: “Questa la usano i terroristi”. Quindi se la rubano. Così pure i cellulari. Questa è la situazione.

Metà delle scuole è occupata dall’esercito americano. I bambini vanno a studiare nelle tende. In questo momento in Iraq ci sono 40 gradi. Potete immaginare un bambino di 6 o 7 anni che va a studiare sotto una tenda? Non esiste più l’acqua potabile corrente. Sono state distrutte anche le fogne ed i corsi d’acqua. Viene portata dell’acqua agli angoli delle strade, ma si tratta di acqua non potabile. L’acqua che si riesce a ricavare deve essere bollita, ma per farla bollire occorre il gas, ed il gas non c’è più in Iraq, non si trova. I prodotti alimentari ancora reperibili a Falluja, come frutta, verdura o carne, sono molto cari e costano il doppio rispetto a Badhdad. I prezzi sono aumentati per via dell’assedio, perché un commerciante deve sostenere costi molto alti per entrare in città superando l’accerchiamento: deve pagare ed in più deve perdere molto tempo.

L’esercito americano uccide qualsiasi persona dia fastidio, anche un bambino. Se passa davanti a loro e muove una mano come per prendere qualcosa in terra, spaventa e da fastidio ai militari, che quindi gli sparano. All’aeroporto avevano sparato su un taxista. Al suo arrivo l’autista era sceso a prendere i bagagli del passeggero. Hanno sparato con la scusa: “Abbiamo immaginato si trattasse di terroristi che portavano armi”. Io stesso in auto, passando vicino a dei militari americani, ho ricevuto una bomba di quelle che non uccidono, ma fanno un rumore assordante, che ha provocato la rottura dei vetri della macchina. Questo solamente perché volevano che lasciassi loro la strada. Lo stesso è capitato ad un mio collega medico, al quale hanno sparato solamente perché intralciava il loro percorso lungo la strada. Per fortuna non è morto, ma ha dovuto farli passare.

Le organizzazioni umanitarie in Iraq non lavorano. E’ show-business. Non si tratta di vere organizzazioni umanitarie: credo siano solamente organizzazioni dei servizi segreti, di spionaggio. Questo perché l’Iraq è un campo di battaglia. Ciò che viene fatto è solo per controllare la situazione, sino a quando non si arrivi a tagliare la torta irachena. Personalmente non ho avuto modo di verificare l’operato di organizzazioni umanitarie. Ci sono tantissime organizzazioni che si dichiarano umanitarie, ma cosa hanno portato? Hanno portato generatori elettrici? No. Hanno portato qualcosa di utile per le abitazioni? Hanno curato feriti? Hanno aiutato bambini orfani? Hanno dato loro un qualche aiuto materiale? No. Tutto questo non mi risulta. Quando dico che non mi risulta, intendo dire che non ho visto niente di concreto.

Alcune organizzazioni arabe, soprattutto dell’Arabia Saudita, avevano fatto un piano per la riorganizzazione di Falluja, ma il governo iracheno non aveva accettato e sono sicuro che questa decisione è stata dettata dagli Stati Uniti, che vogliono che la città ed i suoi cittadini diventino poveri ed isolati dal resto del mondo arabo. Credo sia questo il loro disegno.

Credo che l’Italia si sia fatta incastrare nel gioco iracheno. E’ possibile che gli americani abbiano promesso al governo italiano una fetta della torta irachena. Piuttosto che fare i poliziotti dappertutto in giro per il mondo sarebbe meglio dedicarsi a sviluppare la vita in pace nel proprio paese. Costruirsi la propria casa e preservarvi la pace e la democrazia sarebbe la cosa migliore: meglio che cercare di esportarla altrove. Abbiamo sempre pensato che guerra e violenza non facessero parte delle abitudini degli italiani. Sapevamo anche che l’esercito italiano aveva una cultura militare diversa da quella americana. La cultura dell’esercito americano non è né civile, né militare. Chi spara su una manifestazione pacifica, chi spara su un ferito sino a causarne la morte, dimostra di non avere nemmeno una cultura militare.

Non sono un politico, ma un medico, e prima ancora di essere medico sono iracheno.

Ci sono tantissime dittature nel mondo. Ognuno dei presidenti e dei capi di stato arabi ha governato o governa almeno da 30 anni e conserva il potere con la forza. Nello stesso Qatar, che è stato il primo ad offrire la base militare per occupare l’Iraq, un figlio ha fatto un colpo di stato ai danni del padre. Il padre, che era il principe, si era recato a Londra. Il figlio gli ha detto: “Ho fatto un colpo di stato. Non sei più principe”. Si è autorizzati a fare una manifestazione pacifica ad esempio in Qatar od in Egitto, nazioni amiche degli Stati Uniti? Chi di voi sta seguendo le notizie dell’Egitto saprà che è in corso un cambiamento della Costituzione e le notizie che arrivano parlano di arresti e persone scomparse.

Se prima odiavamo Saddam, adesso lo amiamo e speriamo nel suo ritorno. Accettiamo un dittatore iracheno, ma non un democratico americano.

Lasciate che la Resistenza prenda i colori dell’arcobaleno. Il mio arrivo qui è Resistenza. Perché l’Iraq è un insieme di religioni, di etnie, di frazioni. Gli stessi sciiti, che attualmente gli americani stanno utilizzando per un governo loro alleato, stanno opponendo resistenza agli americani. Anche la loro partecipazione alle elezioni è stata una forma di resistenza. I sunniti non vi hanno partecipato ritenendole un gioco americano. Tutte le regioni a maggioranza sunnita sono state bombardate, in preparazione delle elezioni. Tra gli sciiti, la massa ha seguito gli ordini di Al-Sistani. Questi è un’autorità religiosa, ma non è iracheno, è iraniano. Non possiede alcun senso di patriottismo o di cittadinanza iracheni. Ha promulgato una fatua, ovvero un imperativo religioso, di partecipare alle elezioni. Chi non fosse andato a votare non sarebbe più stato considerato mussulmano. Gli sciiti seguono molto l’autorità religiosa, senza spirito critico, al contrario dei sunniti che sono molto critici nel rapporto con le loro autorità religiose. Al tempo stesso questa fatua è stata una promessa: “Partecipate in massa alle elezioni, così gli americani andranno via”. Quindi, se guardiamo bene, il semplice iracheno sciita ha votato alle elezioni per la partenza degli occupanti. Anche il sunnita, che non ha votato, ha espresso con la sua non partecipazione la chiara volontà di far andare via gli americani. Credo che sia il primo che il secondo modo siano comunque Resistenza.

Adesso stanno chiedendo ai sunniti di partecipare alla stesura della Costituzione. I sunniti hanno costituito, ad esempio, il Comitato degli Ulema dell’Islam, il Partito Islamico, il Congresso Costituzionale dell’Organizzazione per la Lotta Contro la Guerra, il Consiglio Iracheno di Discussione. Questo Comitato degli Ulema dell’Islam è quotidianamente esposto all’arresto o all’uccisione dei suoi esponenti. Il presidente del Partito Islamico è stato arrestato, malgrado sia sempre stato pronto anche a collaborare. E’ stato fra quelli che hanno firmato per l’ingresso degli americani a Badhdad. Costui viene arrestato e ne viene diffusa la foto con una soldatessa americana che gli mette le scarpe sulla testa. Quest’immagine è stata diffusa in tutti gli Stati Uniti. Poi hanno detto: “Abbiamo sbagliato persona. Credevamo di aver arrestato un terrorista”. Come possono non aver riconosciuto il presidente del Partito Islamico che ha sempre collaborato con loro e che aveva firmato anche per il loro ingresso in Iraq? Paul Bremer stesso lo conosce. Gli stessi Rumsfeld e Bush lo avevano incontrato. Al Consiglio Iracheno di Discussione hanno distrutto la sede ed arrestato tutti i membri. E’ rimasto solamente il Congresso Costituzionale per la Lotta Contro la Guerra, che è un gruppo d’intellettuali. Non hanno ancora una sede, perché sicuramente, nel momento in cui lo facessero, gli verrebbe distrutta.

Com’è possibile in questa situazione creare una forza politica della Resistenza? Com’è possibile pensare ad una Resistenza unitaria? Appena apri una sede te ne distruggono un’altra. La democrazia americana in Iraq autorizza ad uccidere anche il politico, chi svolge un’attività anche solamente politica, non militare. Ci sono centinaia di migliaia di persone arrestate, rinchiuse nelle prigioni americane. Io stesso ho la consapevolezza di poter essere ucciso od imprigionato, ma amo il mio paese. Sono sicuro, almeno spero, che si arriverà all’unificazione della Resistenza. Si arriverà al punto che gli stessi Stati Uniti saranno obbligati ad aprirle una porta, perché non hanno il controllo della situazione. All’inizio dicevano: “Questi sono i vecchi sostenitori di Saddam”, dopo hanno detto che si trattava di terroristi, adesso che sono i ribelli. Arriverà il giorno che li chiameranno Resistenti.

Non abbiamo di fatto nessun governo. Non abbiamo polizia. Non abbiamo sicurezza. Non abbiamo nemmeno servizi d’informazione. Non esiste giustizia. Nessuno può andare a citare qualcuno in giudizio. Il popolo iracheno “si governa da solo”.

La Resistenza esiste e c’è differenza tra Resistenza e terrorismo. In precedenza in Iraq non c’era mai stato terrorismo. Cercate nel terrorismo internazionale: non si trovano nomi di iracheni ma si possono trovare nomi americani, europei, arabi sauditi, marocchini, egiziani, ma non iracheni. Il terrorismo non fa parte degli iracheni: è stato importato dagli Stati Uniti. Qui chiunque oppone resistenza agli americani viene definito terrorista. Ma non è la Resistenza che uccide i civili, i giornalisti, e persino militari. Non è pensabile che per uccidere un militare occupante si uccidano 50 connazionali. O che si uccidano i connazionali perché sono mussulmani, o cristiani o di qualsiasi altra religione. Questo non fa parte della nostra cultura, né della nostra religione, né delle nostre consuetudini. Sono i servizi di sicurezza internazionali. Per vendetta e per fornire una brutta immagine dell’Iraq.

Gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq innanzitutto per ragioni economiche. Gli ordini sono stati politici e la pratica militare. Sappiamo che si erano preparati ed organizzati per entrarvi e non per uscirne. Ma credo che la decisione ultima non sia nelle loro mani. La decisione finale sarà quella dei cittadini iracheni. Se questi combattenti della Resistenza verranno uccisi (indicando le foto di alcuni cartelloni) la decisione passerà nelle mani di quel bambino, di questi bambini… Sono loro che riusciranno a liberare l’Iraq!


  Visualizza il profilo di honecker  Invia un messaggio privato a honecker    Rispondi riportando il messaggio originario
honecker

Reg.: 31 Gen 2005
Messaggi: 626
Da: Pankow (es)
Inviato: 25-06-2005 13:30  
La tortura che non fa notizia
Trovata a Karabila una «clinica della morte», centro di tortura della guerriglia sunnita. Ce n'erano una ventina anche a Falluja


Impegnati in una battaglia casa per casa, per distruggere le basi degli insorti nei villaggi iracheni non lontani dal poroso confine con la Siria, i marines hanno scoperto, in un edificio di Karabila, una «clinica della morte», attrezzato centro di tortura della guerriglia sunnita. Ne avevano trovati una ventina anche a Falluja, nel cuore del famoso triangolo. Ma quelli erano «freddi», abbandonati e ripuliti frettolosamente dai ribelli. Quest’ultimo laboratorio di violenza e sevizie per intimidire la popolazione era invece ancora «caldo», perché non c’era stato il tempo di nascondere gli strumenti della sofferenza, e di far sparire (o eliminare) le vittime delle torture.
Oltre a cavi elettrici, manette, cappi per simulare o eseguire impiccagioni, i soldati americani hanno trovato infatti quattro prigionieri ancora in vita: preziosi testimoni che, forse per la prima volta, stanno rivelando gli inconfessabili segreti della resistenza più violenta, senza tacere particolari agghiaccianti. Sono ragazzi colpevoli di aver accettato l’«infamia» di un posto di lavoro nella nuova polizia irachena, magari per poter sfamare la famiglia, e quindi ritenuti complici del nemico; che avevano semplicemente rifiutato di trasformarsi in kamikaze; oppure che non accettavano di praticare l’odioso ricatto del sequestro di persona, come imponevano le istruzioni di un volumetto (edizione 2005) ritrovato nel carcere camuffato da deposito, con i vetri delle finestre anneriti: «Come scegliere i migliori ostaggi».
A parte un accurato reportage del New York Times, la scoperta della camera di tortura, nel villaggio di Karabila, si è diluita nella generale indifferenza. Come se fosse scarsamente rilevante, anche da parte di coloro che erano e sono rimasti contrari alla guerra all’Iraq, il ricorso a pratiche odiose e inaccettabili da parte di iracheni contro i loro fratelli. Il mondo era inorridito quando si alzò il sipario sulle torture e sugli abusi che alcuni soldati americani avevano inflitto agli iracheni, arrestati dopo la guerra e rinchiusi nella prigione di Abu Ghraib, che fu teatro delle orrende pratiche e delle brutali vendette che Saddam Hussein riservava ai suoi nemici. Proprio quel carcere iracheno, nel quale venivano massacrati gli oppositori del regime, scelto come simbolo di una dittatura insopportabile e da abbattere, era insomma diventato teatro di un altro crimine: con i nuovi detenuti umiliati nel corpo, nella dignità e nell’onore, e trasformati in volgare documentazione pornografica.
La coscienza del mondo era insorta, chiedendo giustamente un’esemplare punizione per i militari americani responsabili dello scempio. Oggi, per contro, il silenzio che accompagna la scoperta di altre torture e di altre vittime è grave e assordante. Può significare soltanto comprensione e tolleranza (con la scusa che si tratta di «episodi collaterali di una guerra sbagliata») per pratiche che ogni coscienza civile non può accettare, né giustificare. Mai. Non respingerle sdegnosamente è un atteggiamento razzista al contrario, quindi altrettanto colpevole.
Certo, qualcuno dirà che non possono essere simmetriche le responsabilità per gli abusi compiuti dai soldati della più grande democrazia del mondo, e quelle per le torture inflitte ai loro fratelli da iracheni che non sanno neppure che cosa siano la democrazia e i diritti umani, essendo cresciuti sotto uno dei regimi dittatoriali più feroci. Ma la verità è un’altra. Gli Usa hanno scoperto e denunciato le colpe di Abu Ghraib, e i loro soldati verranno puniti. Il silenzio sulla scoperta dei marines rasenta l’omertà ed è doppiamente colpevole: nei confronti dell’Iraq e di quei Paesi arabi, anche moderati, che continuano a tollerare il ricorso alla tortura, ritenendola necessaria pratica coercitiva, e magari giustificandola con la lotta al terrorismo internazionale. Eppure tutti sanno che non esistono torture veniali e torture mostruose, ma soltanto torture. Come non esistono dittatori buoni e dittatori cattivi, ma soltanto dittatori.
Antonio Ferrari


  Visualizza il profilo di honecker  Invia un messaggio privato a honecker    Rispondi riportando il messaggio originario
Ipsedixit

Reg.: 10 Gen 2005
Messaggi: 702
Da: Potenza (PZ)
Inviato: 25-06-2005 16:07  
Secondo me stavano meglio sotto Saddam Hussein che sotto la bandiera a stelle e strisce...

  Visualizza il profilo di Ipsedixit  Invia un messaggio privato a Ipsedixit  Email Ipsedixit    Rispondi riportando il messaggio originario
josebono

Reg.: 14 Gen 2005
Messaggi: 1606
Da: partinico (PA)
Inviato: 29-06-2005 08:45  
dove passa gli Usa non cresce più l'erba....

  Visualizza il profilo di josebono  Invia un messaggio privato a josebono  Email josebono    Rispondi riportando il messaggio originario
Alessandro

Reg.: 12 Nov 2002
Messaggi: 1274
Da: Milano (MI)
Inviato: 29-06-2005 10:19  
Infatti tu sei tutto bruciato.
Se sessant'anni fa non fossero "passati", chissà che bello, oggi saresti normale.
_________________
Io sono tutti.

  Visualizza il profilo di Alessandro  Invia un messaggio privato a Alessandro  Email Alessandro    Rispondi riportando il messaggio originario
Vai alla pagina ( Pagina precedente 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 Pagina successiva )
  
0.251798 seconds.






© 1999-2020 FilmUP.com S.r.l. Tutti i diritti riservati
FilmUP.com S.r.l. non è responsabile ad alcun titolo dei contenuti dei siti linkati, pubblicati o recensiti.
Testata giornalistica registrata al Tribunale di Cagliari n.30 del 12/09/2001.
Le nostre Newsletter
Seguici su: