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FilmUP Forum Index > Cinema > Critica il critico > LA DISTRUZIONE dei Fratelli Coen   
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Autore LA DISTRUZIONE dei Fratelli Coen
NancyKid
ex "CarbonKid"

Reg.: 04 Feb 2003
Messaggi: 6860
Da: PR (PR)
Inviato: 23-07-2004 19:03  
A tutti i fan dei fratelli Coen, leggete questa interessante recensione di The Ladykillers fatta dalla rivista online PickPocket (Che è stato definito più volte il Miglior Sito di Cinema qualitativamente parlando). E' un pezzo veramente interessante, che offre diversi spunti riguardo questi due registi (che a me piacciono e non piacciono)

"Forse non c’è più speranza per i fratelli Coen. O forse non c’è mai stata e le opere precedenti a questo Ladykillers sono, in retrospettiva, i campanelli d’allarme di due (non) autori ricurvi nella loro opera di sfruttamento del cinema. Intendiamoci, i Coen non hanno mai fatto cinema, nell’intesa più sublime e magica del concetto, ma semmai lo hanno inequivocabilmente usato.

Ad alcuni questo lavorio macchinoso, programmatico, accessorio, può piacere e lasciare d’incanto, a chi invece sa guardare oltre abbassando gli occhi di fronte allo sfarfallio luminoso, non può che infastidire e denunciarsi solo come abile marchingegno di consenso a buon mercato.

Si rimane dunque ancora stupiti di fronte a questo atteggiamento, soprattutto all’indomani di perle di orrore cinematografico come Prima ti sposo, poi ti rovino, così tese nel compito da portare a termine senza sbavature, da indurci a pensare che al di là della macchina da presa stazionino esseri dalla passione smarrita e con in dote il forte sospetto che gli spettatori siano come i personaggi messi in scena: marionette addomesticate senza cuore e vita.

Per questo motivo il seppur bravo Tom Hanks non fa altro che assecondare mestamente le sevizie che i Coen gli cagionano attraverso una scrittura davvero senza potenza vitale. L’attore diventa il paradigma di un film già morto in partenza, adagiato su una sceneggiatura che ingenuamente punta al riciclo e alla ripetizione sistematica di una circostanza pur di non tradire un vuoto creativo impressionante. I lanci dal ponte, l’autoritratto del marito che muta e la continua menzione di Edgar Allan Poe fanno il paio con le difficoltà (o peggio la volontà) di scorgere altre strade attraverso la regia.

I Coen qui non esistono se non attraverso le loro bolse macchiette, piatti disegni che si ergono in piedi automaticamente come figurine all’apertura di un libro illustrato. Tom Hanks, ancora, è davvero triste perché addomesticato e controllato in ogni sfumatura, così lontano dalla vitalità e libertà delle sue migliori prestazioni.

In quanto a sistematicità, i fratelli registi fanno davvero paura. I loro personaggi sono loschi individui di un cinema dell’orrore involontario, unico atteggiamento non pianificato all’interno di un film che usa il remake di MacKendrick come pretesto per stuprare ancora il cinema, non certo per donargli un valore aggiunto.

Proprio per questi motivi i Coen dovrebbero essere banditi dalla casta della cinematografia d’elite cui fanno parte da tempo senza meriti di sorta, e ricacciati, almeno per ora, nella gora dei finti autori, finti intellettuali tanto di moda oggi, soprattutto nel panorama europeo.

Ci riserviamo però di rimettere mano ad un giudizio terminale proprio perché sappiamo che i Coen potrebbero, se solo volessero, regalarci qualcosa di inaspettato. O almeno questo è il nostro sempre più labile desiderio" - Simome Ciaruffoli (PickPocket)

_________________
eh?

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alessio984

Reg.: 10 Mar 2004
Messaggi: 6302
Da: Napoli (NA)
Inviato: 24-07-2004 02:36  
Uhm....
ri-uhm...
tri-uhm...

A me i fratelli Coen piacciono, ed anche molto!
Non ho ancora visto THE LADYKILLERS!
Il loro penultimo film "PRIMA TI SPOSO POI TI ROVINO" (titolo italianizzato di INTOLERABLE CRUENTLY) nonostante abbia avuto scarsi incassi negli Stati Uniti e sia stato denigrato dalla maggior parte dei "critici", io l'ho trovato molto divertente! Forse è un po' politically correct, sicuramente un prodotto minore rispetto ai loro film precedenti, ma nel complesso è un "buon" film! Molto scorrevole, attori carismatici (soprattutto George Cloney, che ho rivalutato), dialoghi "coeniani", battute strepitose, ecc.

Se mi volto indietro e guardo la loro filmografia, ricordo film con la F maiuscola: IL GRANDE LEBOWSKI, L'UOMO CHE NON C'ERA, FARGO, FRATELLO DOVE SEI?, CROCEVIA DELLA MORTE, BARTON FINK, e qualche titolo così-così quali MISTER HULA HOOP e ARIZONA JUNIOR, mi manca solo il loro primo film: BLOOD SIMPLE.

Però, c'è un però! Noto che in realtà non c'è nessun vero e proprio capolavoro con la C maiuscola! Sono grandi film ma non capolavori! I fratelli Coen hanno giocato e continuano a giocare con il loro stile sì impeccabile e perfetto e con le citazioni, ma i loro film sembrano appunto "senza anima"! Sono quindi d'accordo con la recenzione sopra riguardo al fatto che anch'io credo che Coen possano fare molto di più e aspetto ansiosamente un loro CAPOLAVORO!

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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
Messaggi: 15032
Da: Roma (RM)
Inviato: 24-07-2004 06:50  
Sarà l'amnatedella McDormand geloso.
_________________
Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento : quello in cui l'uomo sa per sempre chi è

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celeste

Reg.: 23 Apr 2004
Messaggi: 867
Da: firenze (FI)
Inviato: 24-07-2004 10:04  
quote:
In data 2004-07-24 06:50, gatsby scrive:
Sarà l'amnatedella McDormand geloso.




avevi proprio sonno eh? data l'ora...
_________________
Ovviamente è possibile amare un essere umano, se non lo si conosce
abbastanza bene.

(Charles Bukowski)

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vietcong

Reg.: 13 Ott 2003
Messaggi: 4111
Da: roma (RM)
Inviato: 24-07-2004 16:11  

avevo già letto questa recensione, che trovai abbastanza condivisibile, benchè Ladykillers non mi sia dispiaciuto. In effetti avevo anche pensato di essere diventato schizofrenico, ma in realtà è tutta una questione di aspettative: sapevo già che dovevo aspettarmi un Cohen minore, visto che mi sembrano ormai incalanati nella regola Alleniana 'più film, meno qualità'.

Che i due tendano alla disumanità, a personaggi-burattino o macchiette troppo esasperate per poter essere amate (in primo luogo da loro stessi) è vero, ma è anche una tendenza del cinema attuale, vedi Kill Bill.
E' il rischio che corre chi fa cinema rimasticando cinema, senza un'urgenza espressiva personale.

Però non condivido molto il discorso per cui
chi si è lasciato incantare da alcuni loro film sia in qualche modo un superficiale che è stato ingannato. E' un discorso molto soggettivo, ma trovo che di momenti 'incantevoli' nel loro cinema ce ne siano, magari il Grande Lebowski, che io considero un capolavoro a tutti gli effetti, e dove la caratterizzazione dei personaggi è più umana, meno cinica. penso almeno al protagonista, una figura che amo veramente, che è diventato quasi un tipo psicologico, perfezionando l'immagine mentale che ognuno di noi ha del 'fancazzismo'.

Del resto se l'autore dell'articolo chiude su una nota di speranza per il futuro artistico dei due, vuol dire che qualche qualità l'ha trovata nei loro film precedenti, qualità non possono essere del tutto smentite dalla (relativa) fiacchezza degli ultimi lavori.

_________________
La realtà è necessaria a rendere i sogni più sopportabili

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facess

Reg.: 18 Lug 2004
Messaggi: 29
Da: ewqq (AL)
Inviato: 25-07-2004 11:42  
Anche io sono d'accordo con il direttore di Pickpocket per quanto riguarda i Coen. Pickpocket, come ho letto più volte altrove, cerca un approccio differente nei confronti del cinema, più strutturalista e meno narrativo, più cahiers e nouvelle vague che quotidianista, più postmoderno che classico. Almeno così dicono. Mica sono parole mie queste
Volevo chiedervi una cosa, che ne pensate della recensione di Master and Commander sempre di Pickpocket?


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Willard

Reg.: 25 Mag 2004
Messaggi: 32
Da: Torre del Greco (NA)
Inviato: 25-07-2004 14:00  
Non condivido molte delle recensioni di Pickpocket, soprattutto la visione rosea di un orribile rifacimento hollywoodiano dell'Iliade .

Non ho visto Ladykillers, e dei Coen ho visto solo, forse, le cose migliori (Lebowski e Fargo) ma resto dell'idea che siano bravi.
Non mi piacciono alcune recensioni che ho letto perchè già un critico che invoca la censura di un film mi mette i brividi.
Poi sembra che non abbiano proprio capito nulla di 21 grammi: non è assolutamente un film sulla leggerezza e la frammentazione non è indice di movimento, ma di disintegrazione.
Poi danno un voto positivo a Vacanze in India....

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facess

Reg.: 18 Lug 2004
Messaggi: 29
Da: ewqq (AL)
Inviato: 25-07-2004 17:14  
"un orribile rifacimento hollywoodiano dell'Iliade".

TROY non è un rifacimento hollywoodiano dell'Iliade, "è una ri-costruzione postmoderna del peplum hollywoodiano", citazione dai Cahiers du Cinema.
E questo Pickpocket lo ha capito prima di tutti.

Tra l'altro dire che loro non hanno capito nulla su 21 GRAMMI mi sembra un pochino esagerato, tenuto poi conto che alcuni di loro un paio di anni fa fecero un'intervista-studio lunghissima su Inarritu, pubblicata su FilmCritica, mi sembra.

Ps: a perte tutto vi consiglio il libro di Ciaruffoli, "Stanley Kubrick. Eyes Wide Shut", edizioni Falsopiano. E' stupendo, e poi ti fai un'idea di che razza di critici sono quelli di Pickpocket. Altro che "non hanno capito".

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riddick

Reg.: 14 Giu 2003
Messaggi: 3018
Da: san giorgio in bosco (PD)
Inviato: 25-07-2004 21:03  
quel pomposo cazzone può scrivere quello che vuole, i coen sono i coen
_________________
M.O.I.G.E. al rogo

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facess

Reg.: 18 Lug 2004
Messaggi: 29
Da: ewqq (AL)
Inviato: 25-07-2004 22:54  
quote:
In data 2004-07-25 21:03, riddick scrive:
quel pomposo cazzone può scrivere quello che vuole, i coen sono i coen




Addirittura anche superdotato fu?
Miii, allora lo devo proprio conoscere.

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ines49

Reg.: 15 Mag 2004
Messaggi: 376
Da: PADOVA (PD)
Inviato: 26-07-2004 00:32  
Adoro i Cohen, ma ritenere che tutti i loro films debbano essere per forza dei capolavori penso sia eccessivo.

Non da "addetto ai lavori, ma da umile amante del cinema che va da Murnau passando per Kubrick, Fellini, Romero, e fino a Garrone, i due fratelli mi trasmettono sempre la loro intelligente ironia e mi divertono (talvolta di più, talvolta di meno)

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OneDas

Reg.: 24 Ott 2001
Messaggi: 4394
Da: Roma (RM)
Inviato: 26-07-2004 00:36  
è una recensione arrogante e astiosa. Per niente condivisibile, nel metodo e nei contenuti.
_________________
tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore ?

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facess

Reg.: 18 Lug 2004
Messaggi: 29
Da: ewqq (AL)
Inviato: 26-07-2004 15:44  
Parli della recensione di LADYKILLERS?
Be', opinioni, io penso il contrario.
E comunque su Pickpocket Ciaruffoli è più "militante", quando scrive per esempio su duellanti il tono è differente. C'ho fatto caso.

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Hawke84

Reg.: 08 Giu 2004
Messaggi: 5586
Da: Cavarzere (VE)
Inviato: 27-07-2004 01:50  
Io non condivido per niente l'analisi,
non posso credere che si possa accusare i Coen di "stupro" nei confronti del cinema.
Sarei curioso di leggere anche una recensione dello stesso autore nei confronti di Tarantino ..colui che ha saputo per primo "usare" (come dice il critico) il cinema, e a sfruttarne tutti i segni..tutti gli artefici..cadendo volutamente nell'assurdo!
Sembra quasi che il recensore sia vicino ad un tipo di cinema che esclude a priori ogni forma di post-modernismo (dove è il presunto vuoto di contenuti, il "non sense" a fungere da vero contenuto)
La sua è una visione nostalgica dei vecchi valori del cinema classico e/o moderno.

Invito a leggere invece la recensione di Ledykillers che ho trovato su Revision e che condivido in toto:


- Cinema come gioco di tempi. Ciò che veramente stupisce in Ladykillers è la sua disinvolta sovrimpressione di presente e passato. Film contemporaneo e film in costume convivono, senza bisogno di flashback, nel medesimo universo narrativo: una doppia cronologia che traspare negli scoperti “dislivelli” dei linguaggi, delle musiche, e soprattutto delle scenografie.
Nella linda magione dell’anziana signora Munson, nel viale alberato del suo quartiere, negli interminabili gospel della sua chiesa, nell’ufficio dello sceriffo, galleggia un Tempo targato anni ‘30, pietrificato e immobile. Nel caveau del casinò, nei ristoranti, nei campi di football, sui set pubblicitari, scorre invece un Oggi ansiosamente in divenire. È questo l’ultimo incanto manieristico dei Coen: un falso film storico, un set dove ogni porta spalancata e ogni salto di montaggio sono il varco verso una nuova dimensione. Il vecchio Mississippi di Fratello, Dove Sei? era un sogno esplicitamente declinato al passato; Ladykillers scopre invece che quel paesaggio è ancora tra noi: si è solo nascosto tra quattro mura.
Il sedicente ensemble dei ladri-musicisti che deturpa la quiete di Miss Munson incarna l’irruzione del presente in un luogo dove gli orologi sono fermi da anni. E tra queste due correnti temporali in paradossale incrocio, si insinuano altri tempi minori: i brani rococò dell’ensemble (non eseguiti dai vetusti strumenti dei gaglioffi, bensì da un prosaico stereo portatile), le liriche di Poe, l’antiquato idioma del professor Goldthwait Higginson Dorr... Figlio di un internato in manicomio (dove tempo e spazio restano concetti nebulosi), Dorr è il forbito trait d’union tra le due epoche: sebbene del tutto estraneo alla placida retrodatazione della città, le sue parole e il suo abbigliamento rimandano chiaramente ad un evo remoto saturo di letteratura e cinema. Dorr è il terzo dei fratelli Coen, viaggiatori del tempo filmico e professori emeriti adoratori delle lingue morte, perennemente in cerca di generi decrepiti e inerti ai quali donare nuova vita, come sognava Poe col suo “ritratto ovale”.

La prima lingua morta è la narrazione, logoro balocco da smontare. Dopo aver illustrato il mondo piccolo della signora Munson e l’arrivo del professore, la trama cambia improvvisamente rotta per tornare al “presente”. Seguono quattro sequenze (completamente autonome l’una dall’altra) che introducono quattro personaggi senz’alcun legame tra loro. Stacco. Si torna dalla Munson che va ad aprire la porta: appare il professor Dorr seguito dai quattro ceffi appena presentati, che solo ora identifichiamo come componenti della banda. Quanto cinema contemporaneo (sempre premuroso di rendere digeribile ogni svolta) si permette ellissi così ardite? La seconda lingua morta è la grammatica del cinema. I Coen recuperano una figura abusata come il flashback e la convertono in un enigma barocco sulla relatività del tempo. È la sequenza in cui il giovane Gawain striscia tremebondo alle spalle della vecchia, seduta accanto al camino; pare ormai deciso ad ucciderla... quando, ai suoi occhi, la scena si trasforma: al posto della vittima, ora c’è sua madre che guarda “I Jefferson” alla Tv. Tre ere lontanissime, tre periodi distinti dell’iconografia afro-americana si comprimono nella stessa inquadratura: un presente quasi ottocentesco cede il posto ad un passato prossimo tipicamente “anni ’80”, il tutto sotto gli occhi del Marlon Wayans di Scary Movie. Ma qual è il vero oggi e qual è il vero ieri? È qui il centro di gravità del film: come nelle stanze polverose di Psycho e Shining, anche nella villa di Ladykillers le ore hanno smesso di scorrere e sono riparate in cantina. Vedova da vent’anni, Miss Munson parla ancora col ritratto del marito come se fosse ancora vivo (e infatti cambia spesso espressione). Sotto il ponte della città, scorre instancabile la stessa chiatta stracarica di rifiuti. E tra qualche decennio sembreranno più vivi i neri dei Jefferson o quelli di Mark Twain? Sembrerà più attuale il 1930-2004 di Ladykillers o il 1955 de La Signora Omicidi da cui è tratto?
In bilico su questo gorgo temporale, il tunnel scavato dai ladri è un ritorno al futuro. Un cordone ombelicale che lega la nostra realtà sporca e grossolana alla finzione arcaica e pittoresca nella quale Miss Munson è volontariamente prigioniera. L’ultimo saggio teorico dei Coen (che alla critica italiana è sembrato così “leggero” e “disimpegnato”) fa esplodere questo impenetrabile muro, lasciando convivere sullo stesso palcoscenico pacifici personaggi e turbolenti spettatori.

_________________
perchè l'italiano è sempre quello che va piano quando vede la macchina della polizia e appena passata corre oltre il limite.

[anthares]

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facess

Reg.: 18 Lug 2004
Messaggi: 29
Da: ewqq (AL)
Inviato: 27-07-2004 15:24  
Se eri curioso di leggere qualcosa su KILL BILL bastava andare su Pickpocket, comunque ho copia-incollato qui sotto una delle recensioni dedicategli, quelli di Ciaruffoli, appunto.
Tra l'altro non credo che Ciaruffoli escluda il postmoderno, dato che ho letto da qualche parte (forse in un'intervista che gli hanno fatto on-line), che sta scrivendo in questo periodo proprio un libro sul cinema post-moderno.




“CAPITOLO 1: La lama che recise il cinema”
di Simone Ciaruffoli

Tarantino non è il primo a dirci che la vendetta è un fuoco che arde senza mai spegnersi. Che non si ferma di fronte a nulla, non ascolta nessun refolo di vento e nemmeno l’umido delle lacrime. Questo ce l’ha insegnato il cinema prima di lui e ancor prima la letteratura.

Quanto è importante allora la vendetta? Se parliamo di drammaturgia la vendetta è il motore scatenante degli eventi. Il combustibile che valicando pendii e odore di morte ci traghetta dall’inizio di un racconto alla sua quanto mai tragica e conosciuta fine.

L’esclamazione Kill Bill è il titolo, l’inizio e quindi la dichiarazione d’intenti, l’epilogo invece è il compimento della tragedia, la risoluzione di quegli intenti. In mezzo tutto il cinema possibile.

Parliamo dunque di cinema, non di vita. Di cinema sempre e comunque. Di vendetta al cinema, che non è quella di tutti i giorni, quella che appartiene alla fatalità della nostra vita poco colorata. Il cinema può tutto e, dallo stesso, tutto possiamo aspettarci; per questo senza dubbio Tarantino è diventato uno dei massimi esponenti di questo assunto. Quando andiamo a vedere Tarantino entriamo al cinema due volte.

Il mondo di Kill Bill non ha nulla a che vedere con una rappresentazione anche sommaria della vita, con i suoi pretestuosi fondamentalismi realistici e le sue morali. L’universo di Kill Bill (volume primo e secondo) si agita direttamente nell’inconscio collettivo cinematografico. Ecco perché Tarantino non fa semplicemente un film, bensì ci fa vedere il cinema. Ci rammenta che il nostro atto del guardare deve sempre fare i conti con un bagaglio cinematografico e con le sue regole, con i suoi personaggi (mai veri ma sempre figurine di un grande album appeso al muro) e le loro azioni sempre uguali a se stesse.

Con Tarantino bisogna entrare in un altro ordine di idee per poter godere appieno della maestria con la quale erige il suo mondo. Fatto di Manga, di Kung Fu, di Western, di Splatter e di Gangster, di spade e Shaolin, Superman e maionese. Bisogna arrendersi all’eventualità che in quel set possa entrare prima o poi qualcosa di antropomorfico, inteso nell’accezione più classica. Perché i personaggi mossi dallo sguardo infantile ma tremendamente moderno di Tarantino sono “solo” delle figurine, degli scarti di pellicola ricolorati e rimontati a piacimento, a discrezione dell’autore sognante e anelante cinema.

Per questo motivo anche la scansione di Kill Bill deve necessariamente fare i conti con un immaginario a scomparti non di tempo formato da istanti, ma di spazio composto da set. Non esiste il tempo in Tarantino (se non quello del cinema), ma lo spazio. Se si desidera cercare una minima contestualizzazione temporale, questa la si rintraccia solamente in flashback così dannatamente veri da sembrare ancora iati di spazio, piuttosto che salti indietro nel tempo. Sembra ancora di entrare in un altro set, in un’altra contingenza profilmica.

Ecco che allora se il cinema di Tarantino è questione di settori formati da set spesso riconoscibilissimi, la vendetta di cui sopra sarà veicolata dalle situazioni e dalle caricature che in passato hanno caratterizzato proprio quei set. Quegli istinti primari e così romantici, animali e allo stesso tempo di grande onore, quella summa di istintività primitive e per temperamento così inclini alla vendetta, saranno per forza di cose raccontati prima dai guerrieri combattenti del Kung Fu, poi dai guerrieri combattenti del Western.

Così la formazione culturale di Tarantino si dimostra magnificamente con quei personaggi che nello stesso periodo cinematografico sono stati paladini ed eroi di due generi e di due continenti. Due cinematografie che nello stesso momento stavano (forse) inconsapevolmente creando le basi storiche del loro cinema. E che in Kill Bill s'incontrano per dare vita, non senza perturbarci, a un caleidoscopico circo west-est marziale.

Nell’ottica della contaminazione dei generi e nella dissacrazione di qualsiasi logica narrativa e stilistica, Tarantino fende il suo Kill Bill in due parti non corrispondenti (d’altronde lo aveva già fatto con la scrittura di Dal tramonto all’alba) e sentenzia ancora che il cinema, almeno il suo, è fatto di brandelli di film e generi. Brani di pellicola recisi dalla spada di Hattori Hanzo. Oggetto che simbolicamente richiama il cut, il taglio di montaggio, l’arma più cinema, più cinematografica possibile. L’unica infatti che taglia e collega le due parti di Kill Bill.

Al contrario di quanto si è più volte scritto, la decisione di dividere il film in due “puntate” fa parte di una strategia non – solo - di marketing (Miramax), ma di estetica (Tarantino). Kill Bill è uno, e allo stesso tempo due film. A onor di scrittura, il secondo risponde al primo, ma allo stesso tempo rivendica una sua autonomia. Il prologo nella chiesa è quanto di più illuminante in questo senso, perché dà luce (messinscena) a ciò che nella prima parte era solamente suggerito, raccontato.

Kill Bill è la rappresentazione cinematografica di un soggetto narrativo, uno sceneggiato in due puntate, un film in due episodi, due film di cui il secondo è il continuo solamente perché posteriore al primo.

Kill Bill è un geniale esperimento perché punta al futuro della ri-visione filmica, ripetuta negli anni più e più volte, la quale come sappiamo non è fattibile al cinema ma solamente in home video. Kill Bill è ora, in questi anni e nella storia del cinema, l’unica pellicola pensata per il Dvd piuttosto che per il cinema. Più de Il Signore degli Anelli e più di qualsiasi film studiato per l’home video solo retroattivamente alla sua uscita in sala (pensiamo a Memento e a Irreversibile). Naturalmente una cosa del genere poteva pensarla solo un cinefilo e videotecaro come Tarantino.

Kill Bill è qualcosa che esula dai nostri normali parametri e dunque di difficile tassonomia, per dirla con Deleuze. Per questo cerchiamo di motteggiare il meno possibile perché sarà il tempo a spiegarci tutto, è solo questione di pochissimi anni. Arriveremo a capirlo meglio e nel suo disegno complessivo. Abbiate fede in Kill Bill.

Il capolavoro Kill Bill.

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