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FilmUP Forum Index > Cinema > Tutto Cinema > "Detour", di E.G. Ulmer   
Autore "Detour", di E.G. Ulmer
Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 28-08-2008 12:28  
Franz Kafka amava contrapporre i caratteri negativamente ipertrofici di una società crudele alla debolezza e alla vulnerabilità di personaggi di per sé forse ambigui, ma di sicuro non colpevoli come invece, molto spesso, venivano giudicati in conclusione delle sue opere.

E. G. Ulmer, regista che definirei quasi appolide, o cittadino del mondo, vagabondo come è stato fra la Repubblica Ceca (sua terra natale), gli Stati Uniti e altri Paesi europei, sembra invece, nel suo cosiddeto capolavoro del B-Moovie (girato in soli sei giorni), Detour (1946), cercare di sottolineare come le esistenze di quei pochi personaggi che si svolgono nei 69 minuti di pellicola non rapresentino tanto la forza distruittrice della società sul singolo, ma piutosto piccole porzioni di essa, ciascuna vittima di se stessa. Una di queste, vittima principalmente di eventi di cui in verità non è affatto responsabile.

Può dirsi che la storia di Detour, allora, sia effettivamente vagamente Kafkiana, ma con la variante di un plot noir che vada a concentrarsi, in verità, più sulla psicologia del singoo personaggio che non anche sulla caratterizzazione dell'aspetto collettivo, corale, complessivo della società che lo ha partorito.

Un giovane pianista di New York, fidanzato con una cantante che lavora nello stesso locale in cui suona lui, aprende che quest'ultima vuole lasciare la città per trasferirsi a Los Angeles, onde intraprendere la carriera i attrice ad Hollywood.
Stanco della solita vita, decide un giorno di andarla così a trovare ma, essendo sprovvisto dimezzi di trasporto, decide di praticare l'autostop. Sarà l'inizio di una serie di eventi chelo tscineranno in un vortice di autodistruzione, in quanto l'incontro con due personaggi casualmente incontati sulla stada si rivelerà negativamente determinante in questo senso.

Ciò che Ulmer, già a suo tempo assistente alla regia per Murnau, riesce magistralmente a rendere sulla pellicola è un senso smisurato - e tutto espressionista - per le atmosfere, per una sorta di perverso gioco di angolazioni, di distorsioni geometriche, che verranno ripresi, negli anni a venire, da registi quali Zulawski, che fanno dell'insano gusto per un'irrazionalità sbandierata ai quatro venti la ragione prima ed ultima del loro cinema.
A ben vedere Detour gode proprio di un'innovazione narrativa, che poi, bene o male, è quella che sottende sempre un film: il cinema è prima di tutto una tecnica di racconto, e non v'è dubbio che la struttura per flashback che Ulmer attua qui - ripresa forse da Citizen Kane di Welles, ma sicuramente dotata di una personale pculiarità, che sposta la focalizzazione degli eventi dal puzzle di personaggi e vicende all'unico ed allucinato punto di vista del protagonista - sia effettivamente un'arma vincente e che rende questo film davvero come un prevedibile epilogo sull'autodistruzione, in cui non conta tanto come andrà a finire, ma piuttosto perché ci si è andati a finire.
Questo regista riesce a sconvolgere ogni capacità percettiva dello spettatore, nella misura in cui opera un processo di non progressione: i set, i luoghi sono quasi tutti in interni e quelle rare sequenze girate in esterno fanno riferimento ad un'ossessiva costante, dal sapore del tutto paranoico: la stada. Questo elemento è un punto di partenza ed un punto di non approdo. Quasi mai la camera si ferma a filmare una meta, un trguardo o una direzione. Il viaggio del protagonista è totalmente proteso verso il nulla, ed anche gli ambienti al chuso, che dovrebbero garantire una seppur minima certezza, finiscono per divenire volutamente ripetitivi, segni inconfutabili di una situazione di regresso, più che di evoluzione. Ulmer è strategicamente interessato alla trasparenza, all'idea di illusione, di imperfezione geometrica, non solo nelle linee spaziali che traccia con i suoi freddi movimenti di macchina, ma anche nei volti di bravissimi attori che ha preso dalla strada, o comunque non dal panorama di professionisti celebri o conosciuti: ad un tratto il protagonista confessa di essere fisicamente attratto da una dona che incontra sul suo percorso, proprio perché imperfetta, di una bellezza del tutto naturale e per niente artefatta. Detour è così un film frammentario, in cui la recitazione non si espande, non gode dell'evoluzione del personaggio, ma, complice anche una buona direzione degli attori, tende a limitare, pur nei piani sequenza (in cui le doti attoriali vengono sempre fuori), il predominio dell'uomo sulla scena. Le sequenze di dialogo, sono più improntate su una carica di tensione, di rapporto reciproco fra i personaggi (in particolare fra il protagonista e la donna che accetta di caricare a bordo di un'auto "rubata", a metà film) che sembra costruito quasi su un'influenza reciproca di cnflittuale erotismo, che non sul potere effettivo della parola, di ciò che il verbo possa creare nella mente dello spettatore. Simo quasi più morbosamente interessati al modo in cui gli attori si parlano, che non a ciò che effetivamente si dicono.

Ciò che mi rimanda a Zulawski - o meglio, ciò che mi fa pensare che Zulaswki sia stato vagamente influenzato da questo film - è proprio il senso dell'assurdo che pervade tutta l'opera, tanto da arrivare a sconvolgere ogni certezza, a cominciare dall'identità dei protagonisti. Mentre in Professione reporter di Antonioni la perdita dell'identità, lo scambio avvengono più per scelta del protagonista che per effettiva forza superiore, in Detour il caso - o un destino beffardo e crudele - sembrano abbattersi con fatale puntualità sul personaggio. Egli si ritrova a viaggiare per raggiungee a tutti i costi un trauardo ambito, quando invece scivola, via via, senza averne colpa, sempre più lontano dalla meta prestabilita.

E' questo crudele senso per l'impossibilità di avere la meglio sul destino o sul caso - due concetti di per sé distanti fra loro, ma incredibilmente complici nell'opera di Ulmer - a farla da padrone in questo film. E a ben vedere sono proprio questi elementi, giocati con sapiente utilizzo di mezzi, tecnica e stile da parte di questo geniale regista, che ci inducono ad affermare, senza esagerare, che Detour rasenta davvero la perfezione proprio nella sua imperfezione, nella sua mancanza di pretese, nella sua semplice complessità stilistica e nel suo allucinato viaggio in atmosfere inquietanti. A dire, insomma, che questo è un autentico ed imperdibile capolavoro.



Pubblicato anche sul mio blog.

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L'amico Fritz diceva che un film che ha bisogno di essere commentato, non è un buon film . Forse, nella sua somma chiaroveggenza, gli erano apparsi in sogno i miei post.

[ Questo messaggio è stato modificato da: Richmondo il 25-09-2008 alle 13:09 ]

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pkdick

Reg.: 11 Set 2002
Messaggi: 20557
Da: Mercogliano (AV)
Inviato: 28-08-2008 13:02  
ottimo film, anche se il senso di ineluttabilità che dovrebbe permearlo mi è sembrato a tratti un pò forzato, un pò come se il protagonista in più di un frangente se le andasse a cercare.
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Quattro galìne dodicimila

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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 28-08-2008 13:58  
quote:
In data 2008-08-28 13:02, pkdick scrive:
ottimo film, anche se il senso di ineluttabilità che dovrebbe permearlo mi è sembrato a tratti un pò forzato, un pò come se il protagonista in più di un frangente se le andasse a cercare.




Diciamo che è un film in cui decisamente il "gesto" o "l'atto" imprimono un segno fatalmente indelebile sul corso degli eventi. Qui la parola è solo un tessuto di contorno, una sorta di cornice che pare sopraggiungere a descrivere una situazione che è già bella che delineata e sulla quale nulla può il discorso verbale. In fin dei conti, ciò che conta più di tutto, qui, è il peso schiacciante di gesti all'apparenza innocenti, innocui, insignificanti, ma che prendono senso proprio per un'assurdo gioco di raccordi, tanto da mutare le situazioni e renderle negativamente esponeziali. Come giustamente dici, tutto parte da una minima volontarietà da parte del protagonista. Se non chiedesse un passaggio in auto, tutto ciò non avrebbe inizio. Se non oartisse già dal presupposto che la polizia non crederebbe alla morte accidentale del suo compagno di viaggio, forse si salverebbe e si eviterebbe i successivi risvolti allucinanti. Ma sono gesti ed espressioni di volontà pur sempre minimi, insignificanti, che si gonfiano fino a diventare intollerabili, nel'incapacità dell'uomo di controllare i suoi stessi comportamenti.
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E' meglio essere belli che essere buoni. Ma è meglio essere buoni che essere brutti.

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pkdick

Reg.: 11 Set 2002
Messaggi: 20557
Da: Mercogliano (AV)
Inviato: 28-08-2008 14:38  
si ok, ma ad esempio (SPOILER) tirare su una autostoppista mentre in teoria sei in fuga disperata non è un gesto così minimo e insignificante...
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Quattro galìne dodicimila

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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 28-08-2008 14:43  
quote:
In data 2008-08-28 14:38, pkdick scrive:
si ok, ma ad esempio (SPOILER) tirare su una autostoppista mentre in teoria sei in fuga disperata non è un gesto così minimo e insignificante...





SPOILER:

Ma nella sua contorta logica, il protagonista di questo film fa di tutto per non destare sospetti, per passare inosservato: si veste con i vestiti del prededente proprietario morto, per evitare che la polizia si insoppettisca, per esempio. Così anche (o almeno io la interpreto così) nell'offrire un passaggio ad un'illustre sconosciuta, nonostante egli sia già in fuga. In fin dei conti, il protagonista di Detour è l'ingenua innocenza che paga atteggiamenti tenuti in buona fede.
Ma in definitiva sono comportamenti che avranno un peso molto superiore alla loro effettiva portata.
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pkdick

Reg.: 11 Set 2002
Messaggi: 20557
Da: Mercogliano (AV)
Inviato: 28-08-2008 18:22  
vabeh, comunque al di là di questi dettagli (continuo a pensare che filare dritto sarebbe stato un modo più sicuro di passare inosservati...) come detto concordo sul discorso di fondo e sulla validità del film. a me tra l'altro è piaciuta anche la sequenza finale, che successivamente ho letto essere stata imposta dalla produzione in quanto era ritenuto inammissibile che un colpevole potesse farla franca, ma che io invece avevo interpretato come la rappresentazione dei sensi di colpa e dell'angoscia del fuggitivo (se non erro la macchina della polizia si materializza mediante una dissolvenza, o qualcosa del genere).
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Quattro galìne dodicimila

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quentin84

Reg.: 20 Lug 2006
Messaggi: 3011
Da: agliana (PT)
Inviato: 16-09-2008 18:35  
L'ho appena visto.
Ho molto apprezzato questo noir senza omicidi (almeno senza omicidi concretamente attuati), questa storia kafkiana (il destino o il caso che ti prende di mira senza ragione) narrata con taglio espressionista.
Mi ha colpito, tra le altre cose, la sequenza in cui Al fa irruzione nella camera di Vera...il piano sequenza che alterna lo sfocato con l'immagine nitida per dare il senso dell'angoscia, dello smarrimento di lui che si sente definitivamente in trappola.
Un bel film.

[ Questo messaggio è stato modificato da: quentin84 il 16-09-2008 alle 18:49 ]

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 17-09-2008 11:32  
quote:
In data 2008-08-28 12:28, Richmondo scrive:

Può dirsi che la storia di Detour, allora, sia effettivamente vagamente Kafkiana, ma con la variante di un plot noir che vada a concentrarsi, in verità, più sulla psicologia del singoo personaggio che non anche sulla caratterizzazione dell'aspetto collettivo, corale, complessivo della società che lo ha partorito.




Ottimo post, ottima discussine.

Kafkiano, giusto, sensibilità europea nel cuore dell'America, come seppero fare i grandi registi provenienti dalla vecchia Europa trapiantati a Hollywood. Ulmer, in Detour, di psicologia ne usa davvero tanta nel tratteggiare con il suo consueto e trasversale maledettismo l'anti-eroe della solitudine e della melanconia che contrappone, trasversalmente, senza parere, ma in modo esempalre, all'America finta del "sogno americano" finto, tanto in voga in buona buona parte di cinema hollywoodiano consolatorio e propagandista. Anche Billy Wilder, un regista più acclamato di Ulmer che non per questo gli era da meno, aveva tanta di quella psicologia che riusci a collocare quella in avanzo perfino nello stomaco dell'investigatore E.G. Robinson de La Fiamma del peccato... film apparentemente di genere.
Fritz Lang, in due pellicole memorabili, ugualmente kafkiane, sempre interpretate da Robinson, La signora del ritratto e La strada scarlatta, cesella con rara raffinatezza visiva e narrativa le "oniriche paranoie" di due mediocri e tranquilli borghesi - un professore e un cassiere - nel rappresentare il loro passaggio da una vita grigia e noiosa, ad una terribile dimensione da incubo - kafkiana - che tuttavia li trasformerà in "eroi" per caso e per qualche tempo. Tanta paura... ma finalmente un po' di adrenalina a rendere un po' più movimentate le loro grigie esistenze. Nonostante i lieto fine... (ma si era in era maccartista, comunque sotto il controllo vigile della censura moralista, patriottica...), ma intanto aveva picconato per bene e messe col culo per terra i notabili, rispettabili prof. borghesi.

Per tornare ad Ulmer... è un grande regista e un grande narratore di storie. Prende il "genere" e lo rivoluziona, lo usa per rappresentare il dramma esistenziale e sociale, senza dar troppo nell'occhio, potendo contare sulle meno controllate (perchè meno budgettate, destinate a riempire le sale di terz'ordine, delle periferie/provincie americane che si vedevano attaccate all'interno del loro stesso "territorio", sublime paradosso!) produzioni cosiddette di serie "B".

E' il caso anche del bellissimo Bluebeard, una rivisitazione in chiave sentimentale (un sentimento che accentua maggiormente l'orrore), del "mito" di Barbablù, il pericoloso seria killer di donne. Surreale, onirico, paranoico, "caligaresco", "mabusiano", "faustiano", con questo film impressionante, cupo, disperato, lucido, essenziale (dura un'oretta), raffinato, tragico, psicologicamente ambiguo e devastante, Ulmer rende un sublime omaggio al cinema espressionista tedesco, al cinema delle sue origini, già che fu allievo e scenografo di Murnau.

In Fratelli messicani, molto amato da Truffaut (alla base dell'idea di Jules et Jim) torbida storia di un rapinatore che seduce una donna sposata insoddisfatta dalla vita isolata e magra che conduce nella sperduta fattoria messicana. Fino a quando... non si riconosceranno... amante e marito, fratelli accomunati da uno stesso destino fatto di sottomissioni, umiliazioni, miserie.
Mezzi assai ridotti anche in questo caso, si ha il massimo risultato espressivo, e quasi potrebbe bastare lo splendido "colore", che ha una sua autonomia linguistico-espressiva, poetica, per rappresentare il dramma, le psicologie dei personaggi e del film.

The Black Cat, un horror/thriller/noir psicologico, uno dei suoi primi film, (1934), ambientato in Transilvania, anticipatore di alcune tematiche ricorrenti nei film di genere di là da venire: il serial killer folle, mosso da una delirante "filosofia" (erano gli anni del nazismo, Ulmer girava già in America), che trasformava le sue vittime (come al solito donne) in bambole da custodire in grandi teche di cristallo, una cosa ripresa in maniera evidente anche da quella cazzatona di The Cell.
Molto liberamente tratto dall'ononimo racconto di Poe, il film vanta una coppia di interpreti eccezionali che fanno faville: Bela Lugosi e Boris Karloff. Grande stile, lisergico, anarchico, straniante, affilato come la lama di un rasoio, scenografie ardite, sghembe futuriste, anticipatrici dei tempi a seguire, un bianco e nero straordinario, evocativo, firmato dal fotografo espressionista John Mescal (di nome e di fatto...).

Scusate se ho parlato qui di questi film, ma non credo, data anche la loro rarità, che ci saranno occasioni di aprire topic specifici. Io li rimediai con grande fatica, quando il mulo doveva ancora nascere.


[ Questo messaggio è stato modificato da: AlZayd il 17-09-2008 alle 11:39 ]

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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 17-09-2008 12:21  
quote:
In data 2008-09-17 11:32, AlZayd scrive:
quote:
In data 2008-08-28 12:28, Richmondo scrive:

Può dirsi che la storia di Detour, allora, sia effettivamente vagamente Kafkiana, ma con la variante di un plot noir che vada a concentrarsi, in verità, più sulla psicologia del singoo personaggio che non anche sulla caratterizzazione dell'aspetto collettivo, corale, complessivo della società che lo ha partorito.




Ottimo post, ottima discussine.

Kafkiano, giusto, sensibilità europea nel cuore dell'America, come seppero fare i grandi registi provenienti dalla vecchia Europa trapiantati a Hollywood. Ulmer, in Detour, di psicologia ne usa davvero tanta nel tratteggiare con il suo consueto e trasversale maledettismo l'anti-eroe della solitudine e della melanconia che contrappone, trasversalmente, senza parere, ma in modo esempalre, all'America finta del "sogno americano" finto, tanto in voga in buona buona parte di cinema hollywoodiano consolatorio e propagandista. Anche Billy Wilder, un regista più acclamato di Ulmer che non per questo gli era da meno, aveva tanta di quella psicologia che riusci a collocare quella in avanzo perfino nello stomaco dell'investigatore E.G. Robinson de La Fiamma del peccato... film apparentemente di genere.
Fritz Lang, in due pellicole memorabili, ugualmente kafkiane, sempre interpretate da Robinson, La signora del ritratto e La strada scarlatta, cesella con rara raffinatezza visiva e narrativa le "oniriche paranoie" di due mediocri e tranquilli borghesi - un professore e un cassiere - nel rappresentare il loro passaggio da una vita grigia e noiosa, ad una terribile dimensione da incubo - kafkiana - che tuttavia li trasformerà in "eroi" per caso e per qualche tempo. Tanta paura... ma finalmente un po' di adrenalina a rendere un po' più movimentate le loro grigie esistenze. Nonostante i lieto fine... (ma si era in era maccartista, comunque sotto il controllo vigile della censura moralista, patriottica...), ma intanto aveva picconato per bene e messe col culo per terra i notabili, rispettabili prof. borghesi.

Per tornare ad Ulmer... è un grande regista e un grande narratore di storie. Prende il "genere" e lo rivoluziona, lo usa per rappresentare il dramma esistenziale e sociale, senza dar troppo nell'occhio, potendo contare sulle meno controllate (perchè meno budgettate, destinate a riempire le sale di terz'ordine, delle periferie/provincie americane che si vedevano attaccate all'interno del loro stesso "territorio", sublime paradosso!) produzioni cosiddette di serie "B".

E' il caso anche del bellissimo Bluebeard, una rivisitazione in chiave sentimentale (un sentimento che accentua maggiormente l'orrore), del "mito" di Barbablù, il pericoloso seria killer di donne. Surreale, onirico, paranoico, "caligaresco", "mabusiano", "faustiano", con questo film impressionante, cupo, disperato, lucido, essenziale (dura un'oretta), raffinato, tragico, psicologicamente ambiguo e devastante, Ulmer rende un sublime omaggio al cinema espressionista tedesco, al cinema delle sue origini, già che fu allievo e scenografo di Murnau.

In Fratelli messicani, molto amato da Truffaut (alla base dell'idea di Jules et Jim) torbida storia di un rapinatore che seduce una donna sposata insoddisfatta dalla vita isolata e magra che conduce nella sperduta fattoria messicana. Fino a quando... non si riconosceranno... amante e marito, fratelli accomunati da uno stesso destino fatto di sottomissioni, umiliazioni, miserie.
Mezzi assai ridotti anche in questo caso, si ha il massimo risultato espressivo, e quasi potrebbe bastare lo splendido "colore", che ha una sua autonomia linguistico-espressiva, poetica, per rappresentare il dramma, le psicologie dei personaggi e del film.

The Black Cat, un horror/thriller/noir psicologico, uno dei suoi primi film, (1934), ambientato in Transilvania, anticipatore di alcune tematiche ricorrenti nei film di genere di là da venire: il serial killer folle, mosso da una delirante "filosofia" (erano gli anni del nazismo, Ulmer girava già in America), che trasformava le sue vittime (come al solito donne) in bambole da custodire in grandi teche di cristallo, una cosa ripresa in maniera evidente anche da quella cazzatona di The Cell.
Molto liberamente tratto dall'ononimo racconto di Poe, il film vanta una coppia di interpreti eccezionali che fanno faville: Bela Lugosi e Boris Karloff. Grande stile, lisergico, anarchico, straniante, affilato come la lama di un rasoio, scenografie ardite, sghembe futuriste, anticipatrici dei tempi a seguire, un bianco e nero straordinario, evocativo, firmato dal fotografo espressionista John Mescal (di nome e di fatto...).

Scusate se ho parlato qui di questi film, ma non credo, data anche la loro rarità, che ci saranno occasioni di aprire topic specifici. Io li rimediai con grande fatica, quando il mulo doveva ancora nascere.





Ma hai fatto strabene a parlarne, invece! Primo, perché caso vuole che proprio ieri mi sia accattato La donna del ritratto dell'amico Fritz a soli sei euri e cinquanta (purtroppo manca l'audio originale, ma non si può avere tutto e penso comunque che potrò apprezzarlo in quasi tutta la sua interezza).
Secondo, perché di Ulmer ho avuto modo anch'io di godermi Barbablu .
terzo, perché ho serie intenzioni di reperirmi anche le altre che hai citato, in particolare Fratelli messicani , proprio per il discorso legato a Truffaut, il quale ha attinto fortemente dal cinema misconosciuto, spaziando dal Giappone all'europa (o Amrica) anche di Ullmer.
Confido nella Ermitage e nei suoi prezzi favorevoli (peccato sempre per quel discorso dell'audio originale o, a seconda dei casi, dei sottotitoli), che sicuramente, dopo aver edito Le due orfanelle ed America di Griffith, Lulù il vaso di Pandora di G. W. Pabst o L'uomo con la macchina da presa (più molti altri) di Vertov, non credo abbia difficoltà o remore nel pubblicare in dvd anche i film di questo grande piccolo uomo ceco-austriaco-tedesco-americano.
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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 17-09-2008 14:56  
Ottimo rich, buona pesca e buone visioni!
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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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TheSpirit

Reg.: 21 Set 2008
Messaggi: 3605
Da: Napoli (NA)
Inviato: 31-12-2008 00:28  
Segnalo la scomparsa di Ann Savage, protagonista di questo film straordinario.

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