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Autore Eastern promises: promesse dai balcani (il Cinema albanese)
Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 14-07-2008 13:02  
Prendendo spunto dall'ultimo capolavoro di Cronenberg, scrivo qui, in realtà, per il solo gusto di commentare dei film che soffrono di un silenzio immeritato, ma purtroppo più che comprensibile.
Il Cinema albanese è ricco di spunti, soprattutto se si pensa alle tutt'ora ostiche condizioni di vita in quel Paese e alla mancanza di mezzi per poter girare film alla pari degli occidentali.

So che sarà difficile che riusciate a recuperare questi titoli, che ho avuto la fortuna di veder proiettati, in lingua originale e con sottotitoli in italiano, all'undicesimo Genova film festival.
Tuttavia, non si sa mai che un domani non vi capiti di beccare qualche rassegna o retrospettiva proprio sul Cinema albanese e che non vi imbattiate in queste pellicole. Discuterne, anche allora, sarà sempre piacevole.

Da quello che finora ho potuto vedere, il Cinema albanese soffre, naturalmente, oltre che della povertà e del basso tenore di vita del Paese, anche di un recente passato fatto di isolazionismo ed antiprogressismo all'inversosimile, sotto il giogo del Regime comunista, capace di riversare i propri limiti ideologici, naturalmente, anche sul Cinema, il quale è sempre stato, fino al 1990, più un mezzo di propaganda che di espressione o comunicazione artistica.

Inutile dilungarsi sugli aspetti che riguardano, quindi, la censura.

Man mano che il dominio comunista, però, veniva lasciato alle spalle, le vedute del Cinema albanese si ampliavano, per divenire, oggi, un'avanguardia della settima arte, fra le più snobbate e trascurate, sicuramente, comunque, ancora fortemente influenzata, artisticamente, dalla linearità e dalla semplciità del Neorealismo italiano e della Nouvelle vague francese.

Ma credere che il Cinema albanese sia limitato, per questo, per quanto riguarda la sua peculiare personalità, è quanto di più sbagliato.
Anche nella visione dei primi due film che ho potuto apprezzare Concerto nel 1936 (1978), di S. Kumbaro e Un racconto del passato, di D. Anagnosti (1987) - opere compiute a regime non ancora scioltosi, ho ravvisato dei tratti tipici, caratteristici, indubbiamente folkloristici e di sicuro lungi dall'essere definiti in maniera assoluta come "film di propaganda". Anzi, tutt'altro.
Spenderò, d'ora in avanti, due parole per parlare di questi film , tasselli, nel loro insieme, di un universo a me, come a voi, totalmente sconosciuto.





Già pubblicato sul mio blog .

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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
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Da: Genova (GE)
Inviato: 14-07-2008 13:04  
Concerto nel 1936 , di S. Kumbaro


Purtroppo non ricordo nemmeno i nomi degli interpreti di questo film del 1978.
Sta di fatto che la storia è di per sè semplice, basata su una sceneggiatura concentrica, che parte, cioè, da un evento centrale per mostrare sviluppi ed evoluzioni di fatti secondari ad esso subordinati, per poi, tornare, definitivamente, a concentrarsi sul primo e principale oggetto di narrazione.

Una celebre cantante attraversa la povera e fangosa campagna albanese per giungere in una cittadina a portare conforto alla popolazione afflitta dalla miseria, con la sua voce piacevole e le note di un pianoforte (trasportato su un carro di buoi) suonato da una musicista sua amica.
Il suo arrivo nella città, fra progressisti e conservatori, genera scompiglio e suscita una piccola reazione popolare in un Albania repressa, negli anni degli intensi rapporti con l'Italia fascista di Mussolini e Vittorio Emanuele III.

La rappresentazione di Kumbaro è, come dicevo, concentrica, ed indica nelle costanti panoramiche spesso a trecentosessanta gradi, la situazione senza via d'uscita di una società povera, in degrado fisico ed intellettuale.
Il film si apre, nei titoli di testa, con un disco di vinile che gira senza mai fermarsi.
All'arrivo delle due donne in città, gli animi dei cittadini si scaldano subito, emergono immediatamente le fratture fra cattolici e musulmani. In una sequenza girata in un'osteria - uno dei pochi set al chiuso, che si alternano all'unica ambientazione all'aperto che è la piazza della città, sovrastata da un inamovibile municipio - il regista opera subito una carrellata diluita e senza meta sui volti scavati, rugose rovinati dei cittadini albanesi.

C'è chi dai propri occhi riversa speranza. C'è chi invece ostenta diffidenza.
Fra gli ufficiali, che giocano continuamente ad un divertentissimo scarica barile (che tanto ci ricorda le continue rinunce alle proprie responsabilità da parte dei politici italiani, anche attuali), le caratterizzazioni si fanno marcate: ci sono prefetti progressisti. Ci sono sindaci conservatori. Ci sono soldati che balbettano, mostrando l'insicurezza dell'esercito quale istituzione primaria, nella gestione dell'ordine pubblico e, quindi, della vita nel Paese.
E tutto pare una giostra disordinata, che ruota intorno a quell'unico evento che porta scompiglio in una cittadina persa nelle campagne dei Balcani.

Per certi versi, il colore eterogeneo e l'eterogeneità dei volti di questo film mi ha fatto immaginare che Lasse Hallstrom, nella sua sentita denuncia al conformismo a cui ha dato vita inChocolat, per certi versi, per talune suggestioni, si sia ispirato anche all'opera di Kumbaro.
Mah....chissà. Magari non c'entra nulla.
Ma l'impressione che questo Cinema albanese, così trascurato e dimenticato, si sia fatto strada sugli schermi di certi cinefili, per imprimere sensazioni e spunti anche nel Cinema occidentale, si fa sempre più largo nella mia mente.



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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
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Da: Genova (GE)
Inviato: 14-07-2008 13:07  
Un racconto del passato , di D. Anagnosti






Film del 1987, stracarico di ironia, fino all'inverosimile. Personalmente il secondo film che ho preferito in tutta la rassegna, per il risultato complessivo, lo sguardo critico e grottescamente lanciato su considerazioni socioogiche di un'Albania a-temporale, tanto remota, quanto attuale.
La storia narra di un ragazzino di dodici anni che viene costretto dai familiaria sposare la ventenne Marigo, innamorata di un uomo adulto. A matrimonio inesorabilmente celebrato, questultima sfogherà la sua rabbia repressa proprio sul suo nuovo marito, ma finirà per compredere che questinon ha nessuna colpa, e si alleerà con lui per vendicarsi di chi l'ha costretta a queste noze forzate.
Gli spunti sono interessantissimi, la messa in scena fenomenale, pur essendo semplice. C'è più di un'inquadratura geniale, a cominciare dal dettaglio su una candela che brucia di passione, ma che è costretta a scogliersi senza poter sfogare il suo sentimento, per arrivare all'obiettivo bagnato, che "gronda" di lacrime, nel momento in cui la mdp si sostituisce agli occhi disperati della protagonista del film.
Nelle ambientazioni rurali, sfugge la connotazione geografica e temporale, ma si coglie una caratterizzazione dei personaggi qui, come in Concerto nel 1936, davvero ben curata, al minimo dettaglio. In paritoclare inquesto film è l'aspetto folkloristico di una società che si perde dietro inutili celebrazioni, smarrendo il senso per la praticità, per il pragmatismo, per l'utilità....ma finendo per instaurare i rapporti umani tramite una sorta di cerimonioso asentimentalismo. Alle inquadrature sui paesaggi e sui volti rugosi di questo film, il regista Anagnosti alterna atimi di buio totale con voci fuori campo che si accavallano l'una sull'altra in un esilarante gara del non sense. Ci sarà un po' di Fellini in questa società così buffonesca?
Chissà.
Fatto sta che in questa critica al vetriolo nei confronti di una società che è troppo poco attenta ai problemi del singolo, fino a trascurare perfino la dignità di un bambino - passando attraverso la raffigrazione delpassaggio dal'infanzia all'adolescenza, in un Mondo in cui si vuole sempre tutto e subito - Anagnosti riesce a dipingere con colore e vivacità un contesto di ipocrisia, opportunismo e vizio, presentando l'età dell'innoicenza anche come quella della aggezza e smontando l'aurotità dele istituzioni, fino a ridurle ad un ammasso di insignificante artefazione.
Un gioiello di film.



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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
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Da: Genova (GE)
Inviato: 14-07-2008 13:09  
Slogans , di G. Xhuvani




Film del 2001. Storia semplice ma dal sapore assurdo. Realista e sagace, riesce a dipingere la triste realtà di un'Albania oppressa dal regime comunista.

Negli anni Settanta un giovane maestro di nome Andre viene spedito in un paesino di montagna ad insegnare nella scuola locale. Scoprirà che il primo compito di un docente è quello di propagandare le idee del partito, organizzando squadre di bambini per realizzare la compsizione di slogans - mediante mattoni o pietre - da collocare sul fianco delle colline circostanti, affinché siano visibili da lontano.
Nascerà fra lui ed un'altra insegnante una storia d'amore dimessa e sussurrata che, una volta scoperta, porterà all'arresto di Andre e alla vittoria del totalitarismo sulla libertà.
Non ci sono grandi slanci tecnici, estetici, ma un forte realismo, incentrato sulla forza della parola e di una sceneggiatura di per sé ben redatta.
La direzione degli attori è buona ed il film fa forza sulla spontaneità di questi ultimi, inframezzando squarci di umorismo e di comicità ad attimi di di drammaticità, che via vuia prenderanno campo fino a contaminare l'intera pellicola di quell'amarezza che all'inizio rimaneva sommessamente in sottofondo.
Paesaggi e luci aiutano i protagonisti, talvolta, a tacere con la bocca e ad esprimersi con sguardi speranzosi verso l'orizzonte.



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Reg.: 04 Feb 2008
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Da: Genova (GE)
Inviato: 14-07-2008 13:12  
Tirana anno zero , di F. Koçi







Il Germania anno zero di Rossellini è indubbiamente servito da archetipo a questo bel film, girato nel 2001, sulla condizione dei giovani albanesi nella loro terra d'origine, in un momento in cui il loro Paese sta attraversando prorio "l'anno zero", cioè la fase in cui si deve rialzare la testa, sotto il peso di mille problemi, contraddizioni e con la sfiducia data dalla tagica realtà delle cose.

La storia è quella del ventitreenne Niko, fidanzato con Klara, la quale aspira ad andar a vivere in Francia o in Italia. Niko ha un padre malato, che esaspera la sua condizione per attirare l'attenzione die familiari. Così il peso della famiglia è tutto sulle spalle di Niko, che per lavoro guida un vecchssimo e malridotto camion cinese, relitto del Comunismo.
Esasperata da questa situazione ristagnante, Klara decide di fuggire con un amico di Niko. Ma, pentitasi, tornerà dal foidsanzato, rendendosi conto che realizzarsi al di fuori della propria terra d'origine e poter vivere un amore senza confini è impossibile.

Anche qui, in omaggio al Neorealismo italiano, che indubbiamente ha condizonato fortemente il Cinema albanese, c'è un realismo esasperato, sentito, insistito. Tuttavia lo sguardo non sempre è estremamente oggettivo e documentaristico, ma si lancia in visioni intime. Bellissima è la soggettiva dal camion, per le strade di una Tirana a metà fra il rudere e la rinascita. Così come l'ultima inquadratura: una carrellata che si diluisce a perdita d'occhio. Che prima segue i personaggi che camminano in una radura irta di rovine e di relitti, poi li supera fino a mostrare lo sconfinato stato di degrado e l'impossibilità di uscire da una situazione di piattume totale.
Il personaggio del protagonista è in tutto e per tutto positivo, sprizzante voglia di riscatto e desiderio di emergere, nonostante i continui rimproveri della madre. Ma, proprio per quest'ultimo aspetto, mi ha ricordato un po' la figura del protagonista di Sotto il sole di Roma, di R. Castellani, considerata una delle vette del cosiddetto Neorealismo rosa (anche se per me di rosa non ha proprio nulla, ma vabbeh....): un ragazzo, in realtà, molto più scansafatiche, ma a suo modo anch'egli sofferente per la situazione di stallo e di mediocrità del contesto sociale in cui vive e per il quale la morte del padre - così come accadrà per Niko - significherà una svolta negativa, ma anche il pretesto per ricominciare davvero da zero.

Che altro dire? Attori bravissimi (tra cui Nevin Meçaj, Ermela Teli, Rajmonda Bullku, Robert Ndrenika), che si superano per spontaneità.
Un solo difetto, sicuramente non da poco, ma che testimonia, se vogliamo, la difficoltà di fare Cinema in Albania, fra scarsità di mezzi tecnici ed economici: in moltissime inquadrature si vede l'ombra o addirittura la figura intera del microfono per il suono in presa diretta, che il regista ha omesso di tenere fuori campo.
Ma per noi che godiamo (o, per altri versi, soffriamo) dei De Laurentis e compagnia bella....è sempre facile parlare.
Un ottimo film.




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Inviato: 14-07-2008 13:16  
Eden abbandonato , di E. Milkani.




Personalmente il film, fra tutti, che ho preferito. Si tratta di un cortometraggio del 2002, della durata di venti minuti.
La storia è vaga: un villaggio del sud dell'Albania, poca gente, tante case, paesaggi, suoni. Un bambino arriva dal mare. La gioia sembra esplodere fra gli abitanti del villaggio, che adesso sembrano uscire allo scoperto. Ma forse la felicità durerà poco. Il bambino, che rappresenta il futuro, potrebbe lasciare quelle terre e far ripiombare il paese nell'oblio e nel vuoto assoluto.

Questa è una metafora bellissima - come è emerso anche dalle parole del regista E. Milkani, nell'incontro con il pubblico che ha seguito la proiezione de film - del triste spopolamento di un Albania che conosce sempre più atrocemente il fenomeno dell'emigrazione. Un punto di vista insolito, per noi che siamo abituati a trattare di più il problema dell'immigrazione; anche se in verità non mancano nemmeno in Italia stupende pellicole quali Gli emigranti, di A. Fabrizi, Nuovomondo, di E. Ciarlese. Ma, soprattutto, Lamerica, di G. Amelio, guarda caso, proprio girato in Albania e inerente proprio il problema del miraggio italiano per il popolo di Tirana.

Ma il punto di vista di Milkani è originale ed insolito, dicevo, pima di tutto perché focalizza l'attenzione sul luogo, sul paesaggio, prima che sull'uomo. La sua è una storia di radici, prima che di alberi. Di tadizioni, prima che di innovazioni.
Di protrazione del passato e del presente, prima che di sguardo verso il futuro. Anche perché il futuro, ahinoi, sappiamo essere vuoto e privo di positività.

La bellezza di Eden abbandonato sta nella quasi totale rinuncia alla parola. Qui sono i suoni della natura a parlare. Le immagini, le riprese girate in quei soli dodici giorni, con uno spirito che non esiterei a definire più fotografico che cinematografico, nella misura in cui si ricava finzione dalla realtà. Quest'opera è letteralmente soggiogata al volere della natura. Milkani ha dovuto andare a caccia di nuvole, di pioggia, di vento, di sole. Tutto in pochi giorni. Come un fotografo.
Ma Eden abbandonato è Cinema per altrettanti buoni motivi. Per l'idea di natura che soprassiede l'uomo, per quelle stupende inquadrature di un cielo livido, scolpito dalle nuvole come specchio di un paese che, all'inizio del film, sembra popolato solo da anziani che si sono rassegnati alla rurale routine di tutti i giorni. Lenzuoli neri appesi, in segno di lutto, per un paese che sta morendo sotto gli occhi di tutti. Case abbandonate, diroccate. Perfino una campana suona, senza che nessuno la sfiori, ma solamente perché il vento muove il ramo di un albero a cui è legata tramite una corda.
Immagini bellissime di un paesino a sud dell'Albania, preservatosi proprio nelle sue antiche tradizioni.

L'arrivo di un bambino, inizialmente percepito attraverso il suo pianto ed i suoi vagiti echeggianti fuori campo, porta gioia e sole (finalmente le nuovole si aprono e danno spazio alla luce) nel villlaggio. Spunta qualche giovane. Si balla e si canta, nelle più antiche tradizioni folkloristiche del Paese.
I panni stesi sono bianchi, in segno di speranza e non più neri, a simboleggiare il lutto.
Il prete battezza il bambino, come in una sorta di celebrazione pagana della riconciliazione e della speranza. Ma l'acqua utilizzata per la cerimonia scivola, ripresa attraverso una encomiabile sequenza - costruita su un montaggio perfetto - che scende dalla chiesa, per le strade, fino a raggiungere il mare. Elemento, qui, di estraneità, che implica diffidenza.
E tutto viene prontamente disilluso da un mare che attende di essere solcato da una barca che strappi le vite giovani alle tradizioni e alle radici del loro Paese d'origine.
Tutto ripiomba nell'oblio.

Non c'è una parola. Solo qualche canto popolare, donne e uomini che si uniscono in un coro tradizionale. Anche in questo, oltre che per il "realismo surreale" - passi il termine - Eden abbandonato mi ha ricordato molto il Fata Morgana di W. Herzog. Girato nello stesso spirito di filmare il mistero che si cela soto l'immagine evidente della realtà.
Nell'opera di Herzog era la furia colonizzatrice dell'Occidente ad essere messa in discussone.
Qui è il desiderio di fuggire e di rinnegare le proprie radici ad essere fulcro dell'opera di un regista eclettico, che dovrebbe essere notato sulla scena mondiale.



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