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Autore Lo scafandro e la farfalla, di Julian Schnabel
sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 03-02-2008 02:44  
premio ultrastrameritato per la regia all'ultimo festival di cannes.
solo al l'ha già visto oltre me?
bisogna parlarne, assolutamente.
tutti devono vederlo. a scuola, nelle università.
questo è il miglior film europeo degli ultimi 12 anni almeno. devo decidere se è meglio de L'Odio.
e dire che dopo 30-40 minuti lo stavo trovando fisicamente insopportabile e stavo per andarmene o rischiavo di sentirmi male se continuava a quella maniera.
poi esplode, la narrazione si apre, il film diventa un susseguirsi di sequenze e immagini meravigliose, peraltro proprio come il libro da cui è tratto, che ho successivamente letto con avidità.

segue articolo, a giorni.

_________________
Murphy era un ottimista

[ Questo messaggio è stato modificato da: sandrix81 il 03-02-2008 alle 02:46 ]

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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
Messaggi: 15032
Da: Roma (RM)
Inviato: 03-02-2008 07:25  
si molto bello, ma non sono entusiasta come te.
_________________
Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento : quello in cui l'uomo sa per sempre chi è

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badlands

Reg.: 01 Mag 2002
Messaggi: 14498
Da: urbania (PS)
Inviato: 03-02-2008 10:59  
io ho letto il libro qualche anno fa,e lo trovai commovente ma difficilmente filmabile.lo attendo con curiosità,anche se ritengo schnabel,per quel poco che ha fatto,uno dei registi più vomitevoli che abbiano messo mano a una telecamera.vedremo.
ciao!

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TomThom

Reg.: 07 Giu 2007
Messaggi: 2099
Da: Mogliano Veneto (TV)
Inviato: 03-02-2008 12:11  
Ora sarebbe interessante sapere perché, visto che questo film esce il 15, questo topic non è stato spostato su CineInfo, come fatto per il mio thread su There Will Be Blood.
Attendo spiegazioni.
_________________

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 03-02-2008 13:01  
perché io ho visto il film e, seppur per ora brevemente, ne ho parlato, non congetturato.
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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badlands

Reg.: 01 Mag 2002
Messaggi: 14498
Da: urbania (PS)
Inviato: 03-02-2008 13:20  
tra l'altro era pure abbastanza chiaro dal pirmo post che era stato visto.
ciao!

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TomThom

Reg.: 07 Giu 2007
Messaggi: 2099
Da: Mogliano Veneto (TV)
Inviato: 03-02-2008 13:35  
Ah ok.
Credevo fosse indispensabile che il film fosse uscito nelle sale e alla portata di tutti per il commento, per essere "ammessi" a Tuttocinema.
Non è così e ne prendo atto.
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pkdick

Reg.: 11 Set 2002
Messaggi: 20557
Da: Mercogliano (AV)
Inviato: 03-02-2008 13:40  
a me sembra piuttosto elementare, se un post è un commento post-visione sul film va qui, se è chiacchiericcio pre-visione sul film di là, non vedo cosa c'entri la data di uscita

[ Questo messaggio è stato modificato da: pkdick il 03-02-2008 alle 13:40 ]

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badlands

Reg.: 01 Mag 2002
Messaggi: 14498
Da: urbania (PS)
Inviato: 03-02-2008 13:40  
no no,come puoi vedere anche in altri post,molto spesso appaiono qui prima dell'uscita nelle sale,perchè qualcuno ha visto l'anteprima in sala o come giornalista.comunque dai,tempo due giorni e il tuo petroliere immagino sarà su tuttocinema
ciao!

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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
Messaggi: 15032
Da: Roma (RM)
Inviato: 03-02-2008 14:30  
Questo film è basato sul ruolo dell'arte nella vita di una persona. C'è un sottolineamento di questo concetto sia da un pusto di vista narrativo che tecnico. Schnabel sotto quest'ultimo punto di vista è per certi versi grandioso, anche nella sua indigeribilità.
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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 03-02-2008 15:44  
quote:
In data 2008-02-03 02:44, sandrix81 scrive:
premio ultrastrameritato per la regia all'ultimo festival di cannes.
solo al l'ha già visto oltre me?
bisogna parlarne, assolutamente.
tutti devono vederlo. a scuola, nelle università.
questo è il miglior film europeo degli ultimi 12 anni almeno. devo decidere se è meglio de L'Odio.
e dire che dopo 30-40 minuti lo stavo trovando fisicamente insopportabile e stavo per andarmene o rischiavo di sentirmi male se continuava a quella maniera.
poi esplode, la narrazione si apre, il film diventa un susseguirsi di sequenze e immagini meravigliose, peraltro proprio come il libro da cui è tratto, che ho successivamente letto con avidità.

segue articolo, a giorni.

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Murphy era un ottimista

[ Questo messaggio è stato modificato da: sandrix81 il 03-02-2008 alle 02:46 ]



Che ti dicevo in Infocinema?

Uno dei film più originali degli ultimi tempi. Una vera sorpresa, contro le aspettative, la storia è al "servizio" di un cinema purissimo, straordinario, e non che il cinema sia preso a pretesto per raccontare una storia di quelle che, come spesso accade con le messinscene che si cimentano con le varie ed assortite umane disgrazie, sono a rischio di rivelarsi pietistiche, dell'emozionismo scontato e indotto, con lacrima facile...

Un capolavoro di equilibrio tra tragedia ed (auto)ironia, "realismo" e visionarismo, sogno e veglia: ancora "mare (dentro).., nel profondo, dove si avvera il sogno", uno scafandro come bozzolo della costrizione pronto a liberare la crisalide...

Inutile dire che vincerà la farfalla!

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 07-02-2008 14:15  
IL DIARIO DI UN VIAGGIO IMMOBILE

INNO ALLA GIOIA
Cominciamo da uno di quei dettagli che generalmente vengono bollati come simpatici inserti e nulla più, non degnati di attenzione poiché minimali ai fini diegetici, quei piccoli elementi che nei film sembrano sempre apparire lì quasi per caso (come se in un film possa esserci qualcosa di casuale. In un quadro il pittore butta pennellate a caso? In un libro l'autore inserisce parole a caso?), che si dà per scontato siano scelti aleatoriamente tra una miriade di opzioni possibili e tutte ugualmente significative.
In un flashback, il protagonista si ricorda di quando, da bambino, col padre aspettava il treno sul binario della stazione deserta di Berck. Sul binario deserto, il bambino canticchia una canzone. Poteva canticchiare una canzone qualunque, certo; una qualsiasi canzone popolare (nel senso ampio del termine), opportunamente datata, sarebbe andata bene. Ma il bambino canta "Singin' in the rain". Canta proprio "Singin' in the rain", non un'altra canzone. Balla anche, e, per come può un bambino imitare le movenze di Gene Kelly, balla proprio seguendo i passi che Kelly esegue nel numero più celebre della storia del musical. Può sembrare una scelta marginale quella di una canzone da far canticchiare a un bambino in un flashback non rivelatorio, ma il bambino canta proprio quella canzone, e l'importanza della scelta è sottolineata dal balletto. Non è una canzone qualsiasi, e non è un film qualsiasi. Singin' in the rain è citato, più velatamente, anche in un altro momento del film di Schnabel (che, togliamoci il dente, è forse il più bel film europeo degli ultimi dieci anni almeno): in un altro flashback, Jean-Dominique rivive la vacanza a Lourdes con Josephine; dopo il litigio nella stanza d'albergo, il protagonista lascia sola la ragazza e scende in strada; mediante un efficace gioco di luci, la strada sembra trasformarsi in un set cinematografico in tutto e per tutto simile a quello della celebre sequenza di Cantando sotto la pioggia, e come quello deserto e tutto a disposizione dell'attore, Mathieu Amalric, isolato inoltre da un vistoso movimento di macchina all'indietro che ancora riecheggia l'estetica fatiscente dei musical classici hollywoodiani.
Abbiamo dunque assodato che la citazione di Singin' in the rain è più di un semplice omaggio, e se insisto tanto su questo punto è proprio per l'utilizzo dello strumento-citazione, che è perfettamente integrato nella narrazione (al punto, come detto, da sembrare un dettaglio secondario della diegesi) e al tempo stesso si fa rivelatore di poetica e dichiarazione d'intenti. Insomma, ormai ci sono arrivato: semmai a qualche spettatore stia sfuggendo il senso del film, Schnabel dà un aiuto inserendo ("inserendo", non semplicemente "utilizzando") un richiamo a quel film che è probabilmente la più bella affermazione della gioia di vivere mai vista al cinema.
Andiamo ancora avanti, nel film. Verso la fine (un po’ in tutti i sensi), Jean-Do ha l’ennesimo flashback, quello risolutivo: dalla sua casa di Parigi, sale sulla sua auto sportiva nuova fiammante con il figlio, e insieme partono per una piacevole gita che dal centro della capitale, con i suoi monumenti e i suoi palazzi, si estende fino a una strada di campagna, su cui il protagonista viene colto da un malore e accosta, prima dell’ictus che lo ridurrà nello stato in cui è ora. Per riconoscere la seconda grossa citazione del film, su cui tutta questa sequenza è costruita, probabilmente non c’è bisogno di aver visto – come il sottoscritto – quasi venti volte il film in questione, I 400 colpi; la musica di sottofondo (anzi, di soprafondo) è infatti proprio il celebre tema scritto e orchestrato da Jean Constantin per il primo lungometraggio di François Truffaut, e le stesse riprese ricalcano esplicitamente quelle di Truffaut e Henri Decae: l’inizio della sequenza, composto di carrellate laterali in soggettiva sui palazzi e sulla Tour Eiffel, riprende le immagini dei titoli di testa de I 400 colpi, e la seconda parte, sulla strada di campagna, ricorda la fuga del piccolo Antoine Doinel verso il mare. Ricordo inoltre che entrambe le sequenze, nel capolavoro di Truffaut, erano scandite dal medesimo tema musicale sovracitato.
Anche qui il senso (del film) è presto detto dal senso (della citazione). I 400 colpi è (tra le tante cose) la storia di un bambino che vede quotidianamente i fastosi palazzi di Parigi e la Tour Eiffel, ma che non ha mai visto il mare. La fine del film è in realtà un inizio. Antoine arriva finalmente al mare, lo vede e lo tocca, lo vive sensibilmente; poi, e solo allora, il suo sguardo incrocia quello della macchina da presa e l’immagine si ferma con urgenza autoincidendosi coattamente la parola fine, a soffocare la gioia del ragazzino protagonista. L’arrivo al mare è l’inizio della nuova vita, quella vera, tutta da vivere, di Antoine Doinel. Allo stesso modo in cui quello che è capitato a Jean-Do, superato l’iniziale senso di soffocamento (lo scafandro) è l’inizio della sua nuova vita (quella vera?): nel momento in cui Amalric è colto dall’ictus, la mdp si solleva nell’aria con la leggerezza della farfalla.
Una scelta, come tutto il film e coerentemente con esso, terribilmente commovente nella tragicità con cui porta avanti una dichiarazione d’amore per la vita, per la gioia di vivere.
Del resto, pensando a un altro di quei dettagli su cui non ci si sofferma mai, Max Von Sydow (straordinario nella parte del padre) non è forse, con la sua longevità, la testimonianza vivente che magari la morte si può davvero sfidare e vincere come proprio lui fece nella memorabile partita a scacchi de Il settimo sigillo?

FARFALLE E SCAFANDRI – LO SGUARDO E IL SIMULACRO
Alla fine della sequenza della festa del papà, Cèline e i bambini salutano Jean-Do e vanno via. Un silenzio cosmico si impadronisce della scena, con il protagonista in piano ravvicinato che rimane solo nella sua stanza. La sua voce (che ovviamente non può che essere over), ossia il suo pensiero, entra a commentare e somatizzare la situazione, come accade per tutto il film. Ma a questa particolare sequenza, collocata peraltro piuttosto in avanti (e dunque dopo che già si è vista buona parte del film), Schnabel decide di assegnare un’importanza maggiore (i rapporti padri-figli sono uno degli aspetti più indagati nella pellicola) differenziandola da tutte le numerose scene simili presenti nell’opera, attraverso una forte e (per)turbante scelta di regia. Come ho detto, infatti, Jean-Do resta solo nella stanza ed è ripreso in piano ravvicinato. È dentro l’inquadratura. È oggetto inquadrato, non soggetto inquadrante; non si tratta insomma di una sua soggettiva.
Non è certo la prima non-soggettiva del film, né è la prima volta in cui Jean-Do è inquadrato mentre il suo commento over accompagna l’immagine. È però la prima volta in cui la presenza fisica di Jean-Do si sdoppia: la voce che ascoltiamo non è quella di Jean-Do in quel momento. Non appartiene al registro dell’immagine; viene da un’altra dimensione del racconto, quella dello Jean-Do autore del libro da cui il film è tratto, che guarda oggettivamente allo Jean-Do protagonista e ne descrive lo stato d’animo, mentre finora gli stati d’animo erano non descritti dall’esterno ma espressi, dal soggetto stesso, “in diretta”. Qui la scena invece è fatta di silenzio, pervasa dal silenzio, dal vuoto che si è creato e che si crea ogni qual volta qualcuno esca dalla stanza di Jean-Dominique, il protagonista stesso sta in silenzio anche interiormente, il vuoto di fuori si riflette nel vuoto di dentro. In questo quadro, la voce over che entra in scena non va a rompere il silenzio, ma a descriverlo. È come se a parlare non fosse la voce di Jean-Do ma la stessa farfalla che sembra manovrare la mdp nella scena, precedentemente citata, dell’ictus durante la gita in macchina. La farfalla è proprio questo, la necessità e la capacità di liberarsi dal bozzolo per prendere il volo e vivere.
Quella voce over è dunque quella di un esterno che osserva e commenta l’immagine, che è silenziosa. E l’identificazione di Jean-Do con l’immagine cinematografica è il leit-motiv portante di tutto il film. Ce lo dice chiaramente lui stesso; quando comprende di poter essere ovunque e chiunque grazie all’immaginazione, scorrono sullo schermo delle immagini fotografiche di Marlon Brando, ma Jean-Do ci avverte che non sta pensando di essere un grande divo: “Quello non sono io, è Marlon Brando! Questo, sono io!”, e lo dice mentre sullo schermo si susseguono le immagini più disparate, uno sciatore, una montagna, degli uccelli,… “Questo” non è nessuno, nessuno di immediatamente identificabile (come lo è Brando); “questo” è, molto pragmaticamente, l’immagine cinematografica. Non a caso, poco dopo, racconta che spesso si fa portare in un posto che chiama Cinecittà, e che i paesaggi che vede intorno sembrano set cinematografici.
I primi 30-40 minuti del film sono straordinariamente efficaci (ai limiti della sostenibilità fisica) nel restituire la sofferenza di un uomo che senza accorgersene si ritrova a non essere più in grado di controllare e muovere alcuna parte del proprio corpo ad esclusione degli occhi. La sequenza in cui a Jean-Do viene cucita la palpebra destra per evitare l’ulcerazione della pupilla è esemplare in tal senso: non è tanto il dolore fisico (o la sua proiezione) a rendere quasi insopportabile la visione, quanto piuttosto il senso soffocante di claustrofobia che comporta l’essere chiuso in un corpo che non risponde più a nessun tipo di comando.
Per rendere bene questa serie di idee, per mettere in scena lo scafandro, Schnabel porta l’identificazione tra il protagonista e il cinema alle estreme conseguenze. Se la farfalla è la capacità di volare, leggeri, dove si vuole, lo scafandro è il peso e l’ingombro di un’attrezzatura difficilmente manovrabile. Se la farfalla è l’immagine cinematografica, lo scafandro non può che essere la macchina da presa. In tutta la prima parte, e in tutti i momenti successivi in cui Jean-Do si sente nello scafandro, la macchina da presa prende fisicamente il suo posto. La storia di Jean-Do è la storia stessa del cinema: prima di arrivare a saper comunicare, deve passare attraverso una serie di stadi evolutivi e di prove. L’occhio che si apre, dopo il coma, è un mascherino di apertura simile a quello dei film muti; nelle primissime scene le immagini e i rumori sono confusi, occhi e orecchie sono come finestre sul mondo ma ancora disordinate; tutto quello che riesce a fare è vedere “delle immagini”, si rende conto di non poter parlare, proprio come il cinema agli inizi; quando riceve le prime visite, i dottori spiegano (a Celine e a Laurent) che devono parlargli “direttamente in asse”, poiché fuori dal campo non potrebbe vederli. Non prima di potere, almeno nell’immaginazione, muovere la testa: ecco che una “semplice” panoramica si carica di significati.
Attraverso il proprio percorso, Jean-Do realizza la volontà di evadere dallo scafandro e la disponibilità di tutto quello che gli occorre per farlo, per poter immaginare qualunque cosa: occhio, immaginazione, memoria.



prima o poi su www.positifcinema.com barra qualcosa
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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
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Da: roma (RM)
Inviato: 07-02-2008 15:35  
quote:
In data 2008-02-07 14:15, sandrix81 scrive:
IL DIARIO DI UN VIAGGIO IMMOBILE

INNO ALLA GIOIA
Ma il bambino canta "Singin' in the rain". Canta proprio "Singin' in the rain", non un'altra canzone. Balla anche..... flashback non rivelatorio ... togliamoci il dente, è forse il più bel film europeo degli ultimi dieci anni almeno): ... altro flashback, Jean-Dominique rivive la vacanza a Lourdes con Josephine ... la strada sembra trasformarsi in un set cinematografico in tutto e per tutto simile a quello della celebre sequenza di Cantando sotto la pioggia ... ancora riecheggia l'estetica fatiscente dei musical classici hollywoodiani.




Ottimo pezzo! Quoto solo questa minima parte perchè davvero quelle sequenze del viaggio a Lourdes sono esattamente come le discrivi tu - bella intuizione! -, qualcosa di potente! Mi ci sono "diverito" da morire, come raramente mi capita in questi ultimi tempi al cinena; ho anche pensato al versante "superstizioso" di Lourdes: una Las Vegas decadente e kitsch, delle azzardate illusioni... Con molta, ineffabile, amara, straziante ironia!

Film geniale, una vera rivelazione, e chi se lo sarebbe aspettatto da un autore tutto sommato fino ad ora pressochè normaluccio!?

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 08-02-2008 13:52  
sì esatto, soprattutto nell'ottica del protagonista lourdes è proprio una costruzione falsa e appariscente, proprio come la statua della madonna che josephine vuole a tutti i costi in quanto unica, e poi appena dopo nella vetrina dello stesso negozio ne appare un'altra uguale.
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DaveNet

Reg.: 23 Giu 2006
Messaggi: 138
Da: Piemonte (PS)
Inviato: 17-02-2008 22:28  
quote:
In data 2008-02-03 02:44, sandrix81 scrive:
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solo al l'ha già visto oltre me?
bisogna parlarne, assolutamente.
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e dire che dopo 30-40 minuti lo stavo trovando fisicamente insopportabile e stavo per andarmene o rischiavo di sentirmi male se continuava a quella maniera.
poi esplode, la narrazione si apre, il film diventa un susseguirsi di sequenze e immagini meravigliose, peraltro proprio come il libro da cui è tratto, che ho successivamente letto con avidità.

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[ Questo messaggio è stato modificato da: sandrix81 il 03-02-2008 alle 02:46 ]



Quoto tutto, mi sembra non ci sia aggettivo sufficiente a descrivere la bellezza e la gamma di sentimenti che questo film suscita.
Mi si incasinano centinaia di groppi in gola solo a pensarci...cazzo che FILMONE e che STORIA !!!

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"Il cervello è il mio secondo organo preferito " (W.Allen)

[ Questo messaggio è stato modificato da: DaveNet il 17-02-2008 alle 22:28 ]

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