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Autore The good shepherd - l'ombra del potere
Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 19-04-2007 11:57  
La Cia, le agenzie segrete: quante volte il cinema ci si è confrontato, seguendo le mirabolanti storie di un agente in missione piuttosto che gli scenari da terza guerra mondiale che un solerte e impavido funzionario cercava di scongiurare.
De Niro, alla sua seconda regia dopo Bronx, tenta, a suo dire, di “completare le lacune dei film del genere”. Vale a dire che cerca di mettere in scena la ‘normalità’ di chi lavora nel servizio segreto, tra piccoli misteri e clima di paura, mai veramente in prima linea, eppure sempre in tensione, sempre in cerca di ombre da sorprendere nel buio.
Il pretesto è quello di ripercorrere la storia dei servizi segreti americani, a partire dagli anni immediatamente precedenti al secondo conflitto mondiale, fino al 1961, primo vero flop palese, quella ‘baia dei porci’ dove persero la vita, uccisi sul momento o nelle carceri castriste, più di mille uomini, mandati allo sbaraglio nel vano e goffo tentativo di rovesciare il regime del dittatore cubano.
In realtà, il vero campo di indagine che il regista scandaglia, appassionandosi alla sceneggiatura di Eric Roth, è quello del rapporto con il potere, e della solitudine che ne scaturisce. Così il buon pastore del titolo è quello che prende sempre la miglior decisione per l’interesse collettivo, quasi mai coincidente con il bene o l’affetto dei propri cari.
Matt Damon dà vita ad un personaggio tutto d’un pezzo, che parte come un giovane poeta, a suo modo sognatore, ritrovandosi poi a contrarre, suo malgrado, un matrimonio di convenienza, venendo nel contempo risucchiato nel vortice di paranoie e cinismi del mondo del controspionaggio.
Si parte così dalla Germania del ’39, per passare alla tensione del dopoguerra, per entrare in pieno negli anni della guerra fredda. De Niro non si risparmia al montaggio, disegnando un opera che sfiora le tre ore, ma che per fortuna non presta quasi mai il fianco a possibili critiche di prolissità.
Il regista costruisce un film solido, che incede imponente senza alcun bisogno di artifici o spettacolarizzazioni di sorta, ma che fa del tessuto narrativo il suo punto di forza, così come la sua debolezza.
La pellicola infatti, per quanto solida, mostra alcuni difetti nell’architettura su cui si fonda, essendo macchinosa in alcuni passaggi, enfatica in altri, e dando vita a personaggi la cui presenza così massiccia nel corso della storia è superflua, se non addirittura di peso (ci si riferisce in particolar modo al personaggio di Clover, interpretato dalla Jolie).
Eppure ci sentiamo di sostenere che nel tragitto placido ma inesorabile di un’epicità così sommessa eppur così dirompente, i tanti piccoli difetti di quest’opera vengano in gran parte riassorbiti nel più grande disegno di un film che deve molto, forse troppo, a Scorsese (alcune battute sembrano mutuate dalle sceneggiature di suoi film) e a un certo cinema di De Palma.
Così, nonostante sia uscito da Berlino con le ossa rotte, The good sheperd è un film onesto, che tratta in maniera cauta ma non timorosa due grandi problemi: quello della costruzione di un servizio d’intelligence e quella, ancor più sottile e delicata, della solitudine, del compromesso, degli affetti.

già pubblicata qui
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AtIpIcA

Reg.: 04 Gen 2007
Messaggi: 4177
Da: Milano (MI)
Inviato: 20-04-2007 10:30  
visto ieri sera.
devo dire che le mie aspettative erano nettamente + alte rispetto al prodotto finale, nonostante ciò trovo che sia un film pregevole. credo che piacerà molto a chi ha apprezzato The black dahlia perchè ha una trama compessa e articolata... forse troppo. alcuni incisi trovo che siano deleteri alla comprensione della storia e che tendano a confondere più che a chiarire (a volte aggiunti più che altro per giustificare la relazione tra eventi della sceneggiatura e storia reale). regia e fotografia ottimi.. ma il protagonista doveva essere qualcun altro: matt damon è uno stoccafisso inespressivo incapace di dare lo spessore necessario al suo personaggio centrale. deludente anche angelina jolie con quell'aria da maria addolorata inconsolabile.
interessanti invece i personaggi marginali che ruotano attorno al mondo del protagonista. bravi turturro e e hurt.. sottointeso de niro.
ma... per il buon pastore... chi o cosa si intende?
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Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 20-04-2007 13:47  
damon, insieme forse a cage, è il prototipo dell''uomo senza qualità', maschera centrale nella pellicola di de niro
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AtIpIcA

Reg.: 04 Gen 2007
Messaggi: 4177
Da: Milano (MI)
Inviato: 20-04-2007 18:31  
preferisco un grande attore che interpreta la parte dell'uomo insulso, piuttosto che un attore insulso che fa la parte (non recita) di se stesso
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eltonjohn

Reg.: 15 Dic 2006
Messaggi: 9472
Da: novafeltria (PS)
Inviato: 20-04-2007 21:08  
L'ho visto oggi,lento da morire,non ne potevo più.Matt Damon mantiene praticamente la stessa espressione del viso dall'inizio alla fine,certo il film fa riflettere e non poco ma tutto sommato non mi è piaciuto.
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Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 20-04-2007 22:28  
quote:
In data 2007-04-20 18:31, AtIpIcA scrive:
preferisco un grande attore che interpreta la parte dell'uomo insulso, piuttosto che un attore insulso che fa la parte (non recita) di se stesso




meglio (a volte) un onesto caratterista che non un suo collega poliedrico
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AtIpIcA

Reg.: 04 Gen 2007
Messaggi: 4177
Da: Milano (MI)
Inviato: 21-04-2007 18:57  
pensi seriamente che matt damon sia un attore valido?

secondo me è uno dei tanti sporavvalutati considerando le parti che gli vengono date in ottimi film (the departed per esempio dove scompare di fianco all'interpretazione di di caprio.. che non è uno dei miei attori preferiti..)
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kubrickfan

Reg.: 19 Dic 2005
Messaggi: 917
Da: gessate (MI)
Inviato: 21-04-2007 20:31  
semplicemente strepitoso...

Quando un grande attore, anzi, uno dei più grandi di sempre, si cimenta nella regia, è inevitabile che tutte le tecniche che egli ha assorbito a pelle dai registi (tanti con la R maiuscola) vengano poi applicate nel suo lavoro direttivo. De Niro (mi sembra superflua qualunque citazione esemplificativa di suoi lavori precedenti) raduna per questo film sugli albori e del come e perchè della nascita della Cia un cast di stelle (Hurt, Damon e Jolie in primis) concedendosi una breve sporadica (ma terribilmente significativa) presenza in qualche punto del film. Come negli insegnamenti avuti dai grandi (Leone in primis con “C'era una volta in America”) il neo regista sa che il lavoro a flash-back è quello maggiormente performante per i buoni risultati quando si intende raccontare una vicenda che affonda le sue radici nel passato (in questo caso la seconda Guerra Mondiale) per farla prepotentemente riaffiorare in superficie al momento della ripresa del nodo della vicenda attuale. Costruendo su eventi successi nel passato possiamo capire come mai l'irreprensibile agente interpretato da Damon abbia un tale senso del dovere, vediamo che comunque non è scevro di sentimenti, e che nonostante egli scelga la strada retta per restare ligio al dovere queste decisioni sono per lui fonte di sofferenza, uomini che lavorano per la patria ma poco per se stessi, prima l'agenzia (il cui statuto è stato curiosamente scritto da Ian Fleming, l'autore di 007) e poi Dio come detto nel film, esemplificando nella scena del ringraziamento prepasto il tutto. In maniera raffinata e ben bilanciata partiamo da un inizio che ci fa capire quanto il lavoro possa essere sporco (lotta nel fango e successiva urina), ma ancora di più nel proseguo vediamo come le cose più sporche avvengano in fondo in famiglia, dovendo chiudere in una bottiglia i sentimenti così come le barche che alzano le vele solo quando sono rinchiuse, possono esserci ma non devono uscire. I due comparti (seconda guerra mondiale e primi anni 60) non sono due grandi blocchi contrapposti ma si alternano sapientemente in una crescita parallela (azione e ragione della), e continuando con essa vediamo come la necessità di un lavoro sotterraneo per coprire falle e scoprire spie (il tutto ricordiamo che avviene durante i periodi più bollenti della guerra fredda per la conquista politica di Cuba, da parte dei Russi per tenere allineato Fidel Castro) possa essere vanificato anche dal più piccolo particolare imprevisto, e che anche mezzi per l'epoca tecnologici possano non tenendo conto del valore emozionale portare a un risultato completo e a scoprire verità nascoste.
Il plusvalore occulto di questo film sta nel fatto che la vicenda procede con una accorta lentezza, dando il senso del tutto come se fosse una vera indagine, ma per mantenere il corpus di attenzione e non far cadere nel torpore lo spettatore il flashback (con narrazione più spigliata e meno debitoria di meccanica lenta) viene utilizzato come spiegazione e movimento, scelta quanto mai intelligente e mirata.
DeNiro offre ai suoi numerosi estimatori una prova decisamente sfavillante nella direzione, sia come valore tecnico che direzione degli artisti, (notevole la fotografia con dei chiaroscuri di ovvia simbologia) che non cade assolutamente mai nel banale e che centralizza la figura di Damon a totale mattatore (le altre stelle in fondo sono comprimari oltretutto dallo scarso minutaggio in presenza), graffia al vetriolo (“qualcosa mi sta mangiando le gambe, mi stanno tagliando i piedi pezzo per pezzo” dice il grande occulto da lui interpretato) e oltretutto rischia senza problemi senza mai dotare di inseguimenti esasperati, sparatorie esagerate (gli omicidi avvengono di solito secondo la teoria de il “Cacciatore”del colpo solo) in una filologia perfetta di ragioni sommesse e azioni nascoste, chiudendo il suo arco di narrazione in una ideologia di totale chiusura verso il mostrarsi esterno.
Se un difetto lo vogliamo trovare sembra mancare un po' il fascino dell'invecchiamento umano, dove in fondo solo un paio di occhiali dalle lenti più marcate non danno vera idea della maturità, separando in maniera visivamente meno netta i due periodi.
Lo spettatore che si avvicina a questo lavoro dalla durata extra (167 minuti) deve farlo in una ottica di attesa e di svolgimento paziente, con attenzione, con la soddisfazione di profanare luoghi sacri di un America timorosa che un tempo preferiva anche agire underground e non apertamente come adesso, tronfia e sicura delle sue invincibili legioni che possono conquistare al di là delle ragioni o della logica.
Grazie Mitico Bob.

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honeyboy

Reg.: 12 Apr 2007
Messaggi: 15
Da: torino (TO)
Inviato: 22-04-2007 11:08  
qui la mia recensione del film, che non mi è piaciuto purtroppo

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Skualo

Reg.: 01 Mag 2005
Messaggi: 758
Da: Venezia (VE)
Inviato: 22-04-2007 14:44  
La chiave di volta per la comprensione di "The Good Shepherd", sta tutta - a mio avviso - in una delle più importanti opere letterarie del '900 : "Ulysses" di James Joyce. I continui rimandi ad essa, sono evidentissimi....troppo per essere tralasciati.
In questo sta la (supposta?) grandezza del film ma anche la sua più grande debolezza. Direi che, purtroppo per De Niro, è il secondo aspetto a prevalere.
Il regista e lo sceneggiatore (Roth) dimostrano un coraggio insolito nel voler trattare - a modo loro - una delle opere più geniali mai scritte, ma purtroppo, nello stesso tempo permeata da una complessità concettuale e semantica che definire ostica è puro eufemismo.

Non basterebbe l'intero forum per argomentare sul significato di un romanzo dannatamente complesso come'"Ulysses" di Joyce, ma si possono individuare comunque alcuni aspetti basilari e parallellismi iconico-semantici nella struttura profilmica (e filmica) di "The Good Shepherd" ripresi dall'opera letteraria: in primo luogo la trasposizione del ruoli - e dei relativi significati simbolici sottesi - dei tre personaggi principali, dall' Odissea" di Omero all' "Ulysses" di Joyce al film.

(riprendo qui alcuni spunti redatti dal critico letterario E. Wilson sull'opera di Joyce)

- Ulisse - Leopold Bloom - Edward Wilson;
- Telemaco(il figlio di Ulisse) - Stephen Dedalus - Thomas Wilson(il figlio di Edward);
- Penelope(la moglie di Ulisse) - Molly Bloom - Margaret Ann Russel (la moglie di Edward).

Ulisse incarna da sempre la figura dell'esule.
Leopold Bloom è di per sè un esule ma costretto da particolari contingenze; la sua esistenza è contrassegnata da un'eterna ricerca continua, volta a trovare un figlio per colmare il vuoto lasciato da quello naturale morto durante l'infanzia.
Stephen Dedalus è invece esule consapevole, per scelta nata dal rifiuto verso il proprio padre naturale e gli ideali che questo incarnava, anch'egli inscritto in una continua ricerca volta - in questo caso - al (ri)congiungimento con una nuova figura paterna in grado di placare le sue inquietudini.

Edward Wilson, il protagonista di "The Good Shepherd" è il moderno Ulisse, separato dal figlio e dalla moglie.
Thomas Wilson, il figlio di Edwards, incarna la figura di Telemaco, alla disperata ricerca di suo padre.
Analizzando in chiave allegorica i ruoli di questi due protagonisti nel film, si evince come i riferimenti quadrino alla perfezione.

Purtroppo pero' la complessità e la grandezza dell' "Ulysses" di Joyce rappresentano - ed hanno determinato - il tallone d'Achille del film.
Il narratore onnisciente - il regista - deve possedere prima di tutto la capacità di selezionare e poi combinare i principali elementi del mondo diegetico che andrà a raccontare. Inoltre, deve avere innato il senso del ritmo in modo che la storia proceda catturando sempre, in ogni istante, l'attenzione dello spettatore.
Ai più disattenti, tali "presunte" mancanze della pellicola, sembrerebbero lacune incolmabili del film - soprattutto un ritmo giudicato lento - ma (pur beninteso non volendo esaltare qui le doti di sceneggiatura e di regia più del dovuto), il tutto appare invece ben ponderato:

in parallelo al romanzo di Joyce dove la giornata trascorsa a Dublino subisce una dilatazione temporale fino all'inverosimile, nel film - tacciato dai più come troppo prolisso - accade lo stesso, col supporto di ripetuti flashbacks narrativi. Improbabile un problema in fase di editing o supposti "demeriti" ed "incapacità" da parte del montatore (n.d. letto pure questo): avendo in mente l'"Ulysses", tutto sembra voluto e si incastra perfettamente come le tessere di un puzzle.

Lo stesso dicasi per la "dilatazione della parola" - peculiarità del romanzo - e l'uso esteso del dialogo per tutta la durata del film, l'attenzione maniacale per gli oggetti ("Ulysses") e l'uso continuo del DETTAGLIO da parte del regista, il procedere del romanzo per continue analogie e il concatenamento - appunto - analogico del profilmico e dei flashbacks che ben si confà al tema dell'indagine investigativa che fa da contorno alla vicenda.

Bene inteso, sono il meno indicato a procedere oltre con l'analisi, principalmente per il fatto che detesto con tutte le mie forze l"Ulysses" di Joyce. Conosco quest'opera a livello prettamente scolastico, e per di più l'approccio con essa è stato del tutto forzato (dovuto appunto a contingenze scolastiche). Inutile dire quindi che "The Good Shepherd" non rappresenta assolutamente il genere di cinema che prediligo - soprattutto per il ritmo - (come del resto "Ulysses" di Joyce non è in cima ai miei romanzi preferiti...anzi) , ma da qui a tacciare questo film - ed il lavoro di regia/sceneggiatura/editing - a mero "polpettone" insipido ed indigesto....ce ne vuole. Non voglio incensare il lavoro di De Niro come regista (lo preferisco di gran lunga come attore), ma di certo vanta un'esperienza (sia come attore sia per aver lavorato con i migliori registi) tale da consentire per lo meno - almeno ai più avveduti - un piccolo "beneficio del dubbio" riguardo le sue conoscenze teoriche di come debba procedere lo svolgimento di una storia.

Ho letto tante di quelle critiche in giro tali da farmi riflettere profondamente sul ruolo di critico cinematografico che molte persone si arrogano. Voglio dire, se io, con la mia conoscenza scolastica ed elementare di Joyce ho saputo scorgere queste - poche - analogie in "The Good Shepherd", mi domando se la maggior parte dei critici non siamo compressi nei loro ottusi pregiudizi e conoscenze accademiche cui dare sfoggio o nella mera routine, tanto da dimenticarsi di avere "un'anima". Insomma, che cazzo scrivete a fare?

Puo' darsi invece che sia io un inguaribile fottuto visionario.

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[ Questo messaggio è stato modificato da: Skualo il 23-04-2007 alle 08:59 ]

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claudia07

Reg.: 01 Gen 2007
Messaggi: 399
Da: Sassocorvaro (PS)
Inviato: 24-04-2007 21:32  
De Niro come regista ....... non ci siamo! e mi è sembrato scontato anche come attore.
Il film non mi è piaciuto, troppo lungo e troppo lento, troppo tutto, ma a qualcosa mi è servito, ho preso in biblioteca "Ulysses" di James Joyce e devo assolutamente leggerlo!

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follettina

Reg.: 21 Mar 2004
Messaggi: 18413
Da: pineto (TE)
Inviato: 25-04-2007 01:46  

non dico che non mi è piaciuto ma credevo fosse molto, molto meglio...lento, lento, lento, troppo lento.. matt damon però la sua parte l'ha fatta benissimo... l'uomo di ghiaccio, perenne...
ripeto, non dico che non mi è piaciuto ma non lo rivedrò mai più..

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pkdick

Reg.: 11 Set 2002
Messaggi: 20557
Da: Mercogliano (AV)
Inviato: 25-04-2007 02:14  
...e dillo che non ti è piaciuto!
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Quattro galìne dodicimila

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eltonjohn

Reg.: 15 Dic 2006
Messaggi: 9472
Da: novafeltria (PS)
Inviato: 25-04-2007 14:35  
quote:
In data 2007-04-24 21:32, claudia07 scrive:
De Niro come regista ....... non ci siamo! e mi è sembrato scontato anche come attore.
Il film non mi è piaciuto, troppo lungo e troppo lento, troppo tutto, ma a qualcosa mi è servito, ho preso in biblioteca "Ulysses" di James Joyce e devo assolutamente leggerlo!




Buona Fortuna!
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badlands

Reg.: 01 Mag 2002
Messaggi: 14498
Da: urbania (PS)
Inviato: 25-04-2007 14:51  
arriverà mai un pazzo che tenterà di portarlo al cinema?adoro alla follia quel romanzo,come tutto joice
ciao!

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