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Autore Terroristi e cattivi maestri: parla Per Fly
Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 05-04-2007 09:40  
Per Fly (il quale, alla conferenza stampa, ci informa che la pronuncia corretta del suo nome è ‘Per Flu') arriva a Roma, nel tempio morettiano del Nuovo Sacher per presentare l'ultimo film della sua trilogia (il secondo tassello è stato L'eredità, uscito anche in Italia) benedetta dalla Zentropa e da von Trier, che il regista de Gli innocenti (nella foto il protagonista Jesper Christensen) non esita a definire "iniziatore e grande traino di tutta l'epoca d'oro del cinema danese".
Fatto sta che Fly mira a una riflessione sulla responsabilità personale e collettiva, sul senso di colpa, e ne escono domande sugli anni '70, sul terrorismo, sulla politica. Questo perché la pellicola parla di cattivi maestri, di pessimi allievi, e di una giustizia divina (il contrappasso del rimorso) che arriva laddove la legislazione garantista non può mettere le mani.
Il segaligno Fly non si spaventa, ma anzi ammette che "la responsabilità, privata e collettiva, è il tema principale del film, ma dal punto di vista politico la teorizzazione che ne emerge rispecchia bene il mio stesso pensiero".
Un pensiero pericoloso però, che passa per la (quasi) giustificazione dell'uccisione di un agente in pattuglia perché "vittima di quel meccanismo di guerra che vede la Danimarca in guerra con l'America di Bush", e per una sconfessione dei mezzi violenti di lotta, ma non delle teorizzazioni che li auspicano.
"Non credo nel terrorismo - dice infatti Fly - perché dietro ogni azione violenta c'è una catastrofe, legami che si spezzano, vite che crollano, come del resto ho cercato di descrivere nel film. Credo però fermamente nella posizione teorica che il film esprime".
Il regista non scioglie mai il dilemma, la sua è una posizione che ondeggia tra il rifiuto totale della violenza e una certa accondiscendenza al suo uso qualora le circostanze lo permettessero. "Io dopotutto volevo parlare delle uccisioni reali, non di quelle lontane o raccontate, dell'impatto vero con la morte. Per farlo mi sono documentato a lungo, ma senza la pretesa di voler identificare colpevoli o innocenti. Dietro ogni uccisione non c'è nulla di buono". Ma continua ampliando: "Non mi definirei però un pacifista in senso stretto. Rifiuto qualsiasi tipo di risoluzione armata di qualunque situazione, ma non mi sentirei di escludere che un domani, per cause estreme, non mi solleverei contro ingiustizie o oppressioni. Certo spero di continuare a vivere senza che ce ne sia bisogno".
Una sceneggiatura faticosa e complessa, frutto di un lavoro durato oltre un anno: "Quando inizio a pensare al soggetto, infatti, lo faccio precedere da un lungo lavoro di ricerca sul campo. Poi ci mettiamo a tavolino con gli sceneggiatori e solo dopo mi riservo la redazione di un'ultima stesura. Tutto questo procedimento dura un anno, a volte qualcosa di più. Poi sul set c'è spazio per l'improvvisazione, per cui la nostra è una sceneggiatura che è in continuo mutamento".
Un'ultima curiosità sul finale, la parte di film che forse fatica di più a trovare un proprio perché, un'identità ben precisa: "Era veramente difficile trovare un finale per un film come il nostro. Ne avevamo due o tre in questo caso, abbiamo scelto quello che avete visto, gli altri li troverete sul dvd quando uscirà".

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