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Autore down in the valley
kubrickfan

Reg.: 19 Dic 2005
Messaggi: 917
Da: gessate (MI)
Inviato: 27-10-2006 00:24  
Trama : Harlan e' un ragazzo perennemente spaesato nello sguardo e apparentemente privo di particolari eccessi emozionali .Cappello e stivaloni sembra perennemente invasato dall'idea di essere un vero cowboy.Quanto trova la giovane e bella October i due si innamorano follemente,e tutto sembra andare da sogno se non fosse che il padre di October si intromette nel rapporto osteggiandolo perche' non si fida dell'instabilita' di lui .Sconclusionato e troppo lontano dalla realta' per articolare vere reazioni ponderate , harlan lascia che in se comandi lo spirito libero del cowboy coinvolgendo anche il fratellino di October... Lonnie chiamato "ramoscello" tanto sparuto e bisognoso di compagnia.Un fatto terribile accade e ...

Osservazioni antispoiler per lettura veloce del commento: un film che dura troppo per quello che ha da dire,per gran parte della sua durata scontato e mieloso , oltre che assolutamente anonimo .Poi a un certo punto( molto e troppo tardi ) il film prende corpo e ci dona un finale di buona levatura,con qualche spunto valido, purtroppo reso fradicio dal bagno di qualunquita' che abbiamo dovuto assistere prima .Norton senza sforzo recita perennemente Gump style dando un ritratto del cowboy solitario e fuori dal tempo del tutto privo di qualunque fascino.Un film che nelle sale passera' del tutto inosservato, lasciate che lo sia senza troppa pena.

Osservazioni: che senso puo' avere far durare 125 minuti un film che consuma la sua forza solo nell'ultimo comparto finale di circa mezz'ora? Forse il regista puo' dire di aver voluto approfondire concetti che dovevano esplodere e che se non cotti abbastanza non avrebbero avuto il fragoroso effetto necessario.Niente di tutto questo...ci dobbiamo invece semplicemente tritare il nostro ben piu' utile tempo con una carrellata di situazione prive di mordente ( la giovane carina e che trova il cowboy libero e senza catene, il padre reduce di guerra duro e dispotico,situazioni da teen consumate e consunte, il fratellino tenero e assolutamente in balia del mondo ) che passano nella noia piu' assoluta.Eppure i temi possibili erano vari ( le armi trattate come un pericoloso revival dei tempi che non sono piu',lo spirito di liberta' e la voglia di rivincita seguendo un proprio istinto ) ma il regista ci passa sopra come un rullo e dopo la pausa conoscitiva balneare e il frettoloso abbandonare del posto di lavoro (...io non ho padroni...) si perde in un mare di situazioni da Orange County dove c'e' l'ombra del solito padre ottuso che interviene nel dare dettami ovviamente non seguiti in nome dell'amore cieco ed eterno.Sembra che siamo di fronte all'ennesima versione di amore difficile traumatico con dei genitori ottusi e retrogradi in mezzo, stiamo per alzarci stufi della visione ormai divenuta insopportabile,quando qualcosa accade.
Il film si sveglia e li' ci mostra quel che il regista voleva dire, la fuga per la liberta'in sella al destriero, il rinnegare i tempi e contrapporre civilta' e passato.Con l'aiuto della scenografia di una ghost town mischiamo passato e presente , realta' e fantasia, il tutto lasciandoci increduli per un momento che un film con un simile trascorso possa lievitare cosi'.Sembra di assistere a un duello all'Ok corral,ci sono dei giochi fotografici nella nebbia di buona fattura, e il dualismo uomo-cavallo contro macchina si interseca con il apesaggio continuamente alla ricerca di uan stabilita' tra progresso costruttivo edilizio e campagna .Un buon comparto finale senza dubbio, ma troppo lontano dalla sua origine iniziale per poter essere abbastanza.Bisognava svegliare prima un Norton che a furia di non esserci con le espressioni era finito per scomparire fino al luccichio finale.Partecipa Rory Culkin , fratello del molto piu' celebre interprete di mamma ho eprso l'aereo,nella aprte del fratello indifeso.Se avete voglia di film che sbocciano molto tardi questo fa per voi , fioritura comunque tutt'altro che di pieno appagamento e molto tardiva rispetto alla sua coltivazione.

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non solo quentin ma nel nome di quentin...quentin tarantino project
QUENTIN TARANTINO PROJECT

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Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 14-11-2006 18:23  
Questa volta, stranamente, non siamo in perfetta sintonia

C’è una scena nel segmento conclusivo di Down in the Valley che è post-crepuscolare, romantica, nostalgica, ed infinitamente onirica, apparentemente senza tempo, d’altri tempi in effetti. Harlan è il protagonista combattuto di questo spaccato color porpora di due epoche che non possono più combaciare, neanche tra i loro personaggi distintivi che vagano oltre le aree sconfinate della San Fernando Valley. Ebbene questo “ultimo dei cowboy” viene svegliato dal suono di una musica, mentre dorme nell’edificio in legno che lo ha ospitato per la notte insieme al piccolo Lonnie, un ragazzino di tredici anni che lo ha seguito come un figlio affezionato fin lì, in questa casa fantasma raggiunta nel buio lugubre della notte. Ora è importante tener presente un altro aspetto di questo rifugio, perché tale lo si può definire, visto che i due lo raggiungono durante una fuga a cavallo, come in una galoppata ovattata dal freddo e dal silenzio notturni, verso il primo villaggio con saloon disposto a nascondere una strana coppia di latitanti come questa. La fuga è offuscata dalle brune ore notturne, certo, ma l’affanno e la stanchezza per i due avventurieri sono pressanti tanto da fargli meritare quelle ore di sonno cui non sapremo più se succederà il piano della realtà o quello del sogno, almeno per qualche istante. Harlan è ora fermo davanti alle scale in legno appena discese, di fronte a sé ha quella che potremmo definire la materializzazione del sogno/realtà che abbiamo appena immaginato, quello del villaggio western abitato da uomini in abito con orologio al paltò e donne in vestito lungo riempito dalle frange di seta e dai reggipetto strettissimi, con intorno tutte quelle costruzioni dall’architettura tipicamente rialzata, per far posto ai “posteggi” per cavalli e aumentare l’ampiezza dello stradone, luogo abituale dei mezzogiorno di fuoco. Harlan è lì davanti, fisso e incredulo come noi spettatori di un film fino a poco prima debitore della realtà contemporanea, delle sue problematiche relazionali, sociali, psicologiche e sentimentali; ma per qualche istante ciò sembra essere solo un ricordo, un piacevole scorrere di minuti teso verso qualcosa di eterno come la magia del cinema stessa. Una piattaforma lignea riveste il pavimento di terra e polvere sollevata dai passi della gente, su questa piattaforma una banda suona della musica country, ballabile, confusa, e per questo danzata dalla miriade di persone che è intorno ad applaudire gaudente. Vediamo Harlan sorridere, sembra la prima volta ma in realtà è l’ultima, perché ha vissuto il suo sogno, ricongiungersi con quel mondo perduto che vediamo celebrato solo nei film. Anche Lonnie si sveglia, viene richiamato da Harlan a scendere per godersi lo spettacolo, il sogno, ma Lonnie a suo volta gli grida di stare attento, che i nemici stanno sopraggiungendo sul loro cavallo al trotto. Stacco brusco della mdp su una Panavision nascosta fra due case, ora sugli inseguitori che scendono dall’automobile puntando le loro pistole. La magia del cinema è compiuta, il sogno è sopraggiunto attraverso un climax emotivamente spiazzante e svanito con altrettanto stordente. Questo momento ci sentiamo di appuntarlo tra i più belli degli ultimi tempi cinematografici, ben innestato com’è in un manto di costante, freddamente allegorica, crescente tensione, palpabile fin dalla presentazione dei personaggi, relegati come sono nei loro “caratteri”, in maschere da tipica provincia americana. Tanto che l’incipit ci ricorda immediatamente quello della partenza del giovane texano Jon Voight in Un uomo da marciapiede, qui richiamato dall’abito tipicamente cow boy di un Edward Norton complesso, ermetico, a tratti davvero indecodificabile. Così come la “dimensione d’uomo” della qui sofferente cittadina, letteralmente trapassata dalle molteplici direttrici autostradali, assopisce ancora una volta quelle tensioni comunque fitte e palpabili di contesto familiare che trovavamo già in A history of violence di David Cronenberg. Le ragioni sono diverse, i ponti semiologici anche, ma l’apparentemente solare cow boy dimenticato risorge proprio nel congestionato incrocio autostradale che ha per cornice una città di motel, stazioni di servizio e fast food. Con il cappello in testa e la sacca sulle spalle approda in un distributore di benzina per guadagnarsi di che vivere, ma è solo un flash, una sistemazione più che provvisoria per un freelance nostalgico che non conosce leggi se non quelle dettate dalla libertà del passato, da lui rimpianto sottecchi. In realtà questo lavoro ha durata breve perché un altro momento cruciale nel lavoro di Jacobson si sta per stagliare davanti ai nostri occhi, una visione romantica piena zeppa di sospetti, dubbi ed inquietudini, ma depurata dai rassicuranti risvolti espressivi di due splendidi attori come Norton e la Rachel Wood: l’avvicinamento dell’auto di ragazzi, fra cui la bellissima October, al distributore dove Harlan è seduto noncurante a riposare, in una classica posizione sorniona da cowboy affaticato. Dall’auto richiamano la sua attenzione per farsi fare un pieno, e lui, subito, impacciato, esaudisce il loro comando andando ad immettere il tubo dell’erogazione nel serbatoio, ma rimanendo colpito durante un gesto già così abituale da una figura di donna posata nel bagagliaio, pensosa. Basta uno sguardo, un gioco di geometrie tra finestrini, cielo e tetto della stazione di servizio, due volti per un amore totalizzante, strano, profondamente strano. Un uomo già maturo ed una ragazzina di diciassette anni sembrano poter condividere qualcosa di unico insieme, fin da subito. I due vanno al mare, scopano affannosamente, le parole di lui condizionano terribilmente la fascinazione che lei subisce fino a farle perdere completamente la testa. Noncurante del patriarcale regolamento imposto dal padre, un impeccabile David Morse, a lei ed al fratellastro minore Lonnie, Tobe si ritaglia intere giornate di fughe nel verde, su cavalli ed altalene per realizzare il suo idillio d’amore, insieme al suo uomo. Un amore già maturo, perfetto, una corsa verso la felicità destinata a frenarsi bruscamente. C’è una scena che ci dà sentore di una possibile svolta semantica, che il secondo film dell’americano Jacobson (Dahmer) potrebbe assumere da soave sinfonia rossa passione com’è, ovvero quando dopo la corsa a cavallo, Harlan e Tobe tornano a restituire l’animale a quello che il primo saluta come un vecchio amico: “Charlie!”, tagliatissimo Bruce Dern, ma che in realtà punta il fucile contro tutti e due. Un atto inspiegabile ma giustificabile dal fatto che Charlie non ricorda di conoscere l’amico Harlan, ma anche una dinamica inquietante per come venga rivelata, al contempo, la completa mancanza di conoscenza da parte dei due uomini.
Anche qui uno scambio d’identità, di culture da parte dei diversi personaggi, un susseguirsi scrosciante di emozioni soffuse, sottili ma dettate sempre dalla scelta di un tempo giusto da parte del giovane cineasta. Una storia di violenza che si definisce solo con il passare incessante e impercettibile dei minuti, che paiono più che altro piccoli brividi, dubbi e insinuazioni che si è portati a fare in corso d’opera. Nel frattempo l’approdo alternante di diversi temi scottanti a livello sociologico, come la sconfortante sudditanza all’automobile cui ogni giorno l’uomo fornisce nuova linfa, e il concetto già tastato dell’identità che uno ha di fronte, potenzialmente spergiura anche di fronte allo specchio di noi stessi. Finale emblematico per la scalata molare di congetture capillari, evidenti ma non per questo meno efficaci sul piano della significatività, come l’appresa fuga finale di Harlan in una cittadina in costruzione che sarà cimitero dei suoi ideali, dentro quel design bianco, asettico, che lui macchierà di sangue, come smacco a qualcosa che non riesce a comprendere perché per primo non comprende lui. E il cavallo chiuso in un garage per non farlo scoprire tenta disperatamente di aprire quella parete di metallo così ostinatamente serrata, come a dire che per la natura animale non esistono confini, misure, ma è bene preservare quello spazio incontaminato da riservargli per un futuro più roseo. I garage sono fatti per le automobili, e la contemporaneità per le automobili e per gli individui autoimmobilizzati.
Harlan è la dimostrazione che la riflessività del passato, la pacatezza ed il suo romanticismo, più volte parafrasato dal montaggio come nella successione di dissolvenze incrociate durante il bacio fra lui e Tobe, non possono conciliare con la voluttuosità del presente, la sua velocità incontrollabile e incomprensibile a tutti i sensi. Come il far west può tornare a rappresentarsi attraverso la macchina del tempo chiamata cinema, così anche Harlan sbuca dal nulla dentro l’immagine filmica, ed entrambe ci riportano alla realtà dopo che la parola “fine” è apparsa sullo schermo ormai nero.
E’ il momento di andare a scovare i nostalgici, i vagabondi e gli eremiti. In questo film, difatti, vi è anche una piccola fetta di antropologia culturale.
In vetrina al Certain Regard cannense.

Già pubblicata qui
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La ragione è la sola cosa che ci fa uomini e ci distingue dalle bestie

René Descartes

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MontyB

Reg.: 22 Nov 2006
Messaggi: 156
Da: novara (NO)
Inviato: 28-11-2006 19:05  
ATTENZIONE: il commento contiene SPOILERS!

La San Fernando Valley (California) fa da cornice ad una storia d’amore intensa, quanto pericolosa. Harlan è convinto di essere un cowboy. Un giorno, alla pompa di benzina in cui lavora, conosce una diciassettenne, Tobe, che è in giro con degli amici. Scatta il colpo di fulmine: la ragazza lo invita al mare e l’uomo accetta subito, facendosi licenziare. Nasce subito una certa complicità tra i due, che sembrano più affini di quel che sembra. Difatti, entrambi sono individui infelici, la loro esistenza è triste e insoddisfacente. Ma, mentre Tobe ha tutti i problemi che un’adolescente presenta (un padre autoritario e prepotente, Wade, una madre che non si sa dove sia e un fratellino asociale e problematico, Lonnie), Harlan è un uomo solo (apprendiamo che il padre ha abbandonato lui e la madre), che vive ai margini della società e, per sopravvivere, si è creato un mondo tutto suo, fatto di cowboys, di cavalli e di pistole, un mondo surreale, in cui riesce a sentirsi forte, ma che, in realtà, non è che lo specchio della sua enorme fragilità (lo vediamo mentre inscena degli improbabili duelli, o improvvisa sparatorie davanti allo specchio). Il padre di Tobe, scopre che la figlia ha una cotta per Harlan, ma, avendo modo di conoscerlo, capisce che è un individuo scapestrato, non adatto ad avere rapporti sociali, men che meno una relazione con una ragazza più giovane, e fa di tutto per tenere l’uomo lontano da lei. Non ci riesce. Harlan vede di nascosto Tobe, ma ben presto la ragazza si accorge che l’uomo che ama ha dei seri squilibri mentali. Ma ormai è troppo tardi: in un raptus di follia, derivante dal rifiuto di Tobe a “scappare” con lui, Harlan la ferisce, sparandole. L’uomo è talmente malato da non rendersi nemmeno conto della gravità del suo gesto. Anzi, si spara a sua volta per apparire innocente. Ma Wade, tornato dal lavoro, e vedendo la figlia in una pozza di sangue non ha dubbi sul colpevole. Tobe viene ricoverata in ospedale ed entra in coma. Nel frattempo, Harlan “rapisce” Lonnie, facendogli credere che sia stato il padre a sparare alla sorella. Lo porta via con sé e fugge verso altri lidi. Wade, non trovando più il figlio, si mette sulle tracce dell’uomo. Lo troverà e l’epilogo sarà tragico.
Down in the Valley è un tentativo (peraltro riuscito) di inserimento di elementi western nel genere drammatico-sentimentale. Nonostante la trama non sia poi così originale (il mito del cowboy è luogo comune nella prassi cinematografica), il film riesce a ricreare le atmosfere adeguate al tema trattato, grazie ad una regia attenta ed acuta, che non risparmia i virtuosismi: l’inquadratura volutamente dinamica che simula il movimento di un’altalena; le dissolvenze che rivelano le sensazioni dei protagonisti; la velocità della mdp che insegue i colpi sparati da Harlan ed immortala la precisione del tiro; la psichedelia delle immagini girate in discoteca; il montaggio di immagini che riprendono il traffico caotico delle autostrade contrapposte alle immagini della serenità e della tranquillità del paesaggio della San Fernando Valley; il “cinema nel cinema”, con l’omaggio neanche tanto velato a Taxi Driver e a quel Travis Bickle che impugnava i pistoloni e li agitava in maniera minacciosa davanti allo specchio; l’epilogo tragico, con le immagini di Harlan agonizzante che diventano tutt’uno con quelle del cavallo scalpitante. La sceneggiatura è abbastanza lineare, non presenta colpi di scena o particolarità degne di nota. Il cast è discreto, ma non funziona come dovrebbe: Ed è in gran forma, come sempre, dà vita ad un personaggio dalle mille sfaccettature e risulta credibilissimo, grazie alle sue enormi doti di immedesimazione (la scena davanti allo specchio è fenomenale!); Evan Rachel Wood non sembra molto a suo agio nelle vesti della ragazzina repressa e capricciosa, ma ha un fascino particolare e questo è indubbio; Rory Culkin, fratello del più noto Macauley, ha stoffa, benché sia ancora molto giovane, e David Morse ha poco carisma e ci ha messo ben poco impegno nel rendere l’autoritarismo del personaggio da lui interpretato. La fotografia è ben curata, grazie anche al paesaggio e la musica è azzeccatissima, con pezzi country davvero orecchiabili.
Un film originale, che mi permetto di consigliare sia per Ed che per la regia.
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Affanculo io???
Vacci tu!!!

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JimDean


Reg.: 27 Nov 2006
Messaggi: 56
Da: biella (BI)
Inviato: 29-11-2006 10:31  
Non l'ho mai visto ma sembra bello
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" Anche il Più piccolo granello di Sabbia ha in se, il potere di distruggere..."

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Verme87

Reg.: 01 Set 2006
Messaggi: 2564
Da: catanzaro (CZ)
Inviato: 06-12-2006 18:55  
Mi è piaciuto molto questo film...una trama stupenda...la storia ha degli sviluppi inaspettati...il protagonista diventa imprevedibile e ci si può aspettare di tutto...quindi ti porta a seguire il film con molta attenzione e con molta curiosità! Come previsto...ottima interpretazione di Edward Norton...ma molto bravo anche David Morse...davvero un bel film !
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JEFF BUCKLEY FORUM

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