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Autore Tetro
kagemusha

Reg.: 17 Nov 2005
Messaggi: 1135
Da: roma (RM)
Inviato: 04-12-2009 09:39  
Film bellissimo.
Piuttosto che saprare cazzate mi affido a questa bellissima recensione tratta da gli spietati con la quale sono d'accordo in toto. Tanto non riuscirei mai a scrivere di meglio.

"Il capitolo secondo dell’altra giovinezza coppoliana è Tetro, presentato programmaticamente in apertura alla sezione indipendente Quinzaine des réalizateurs, prosecuzione ideale del paradossale manifesto Youth without youth: rimembranza autobiografica fatta film, analisi, terapia (ma non luogo d’agnizione). A carte ovviamente scoperte. “Nulla di quello che avete visto nel film è veramente successo. Ma è tutto vero”: nella trama di Tetro si sciolgono volti ed episodi della storia personale di Coppola e della sua famiglia; grumi di fantasmi, conflitti celati e ferite mai sanate abbracciano disordinati caratteri e situazioni della trama, senza concessioni alla chiarezza, alla limpidezza del senso, alla trasparenza delle correlazioni, abbarbicati ad un comparto simbolico saturo da sempre eppure costantemente irrisolto, in un’orgia emotiva che associa liberamente la vita reale alla sua rappresentazione, moltiplicando i livelli, confondendosi con il cinema digerito, il proprio (inutile fare elenchi: c’è tutto Coppola qui dentro) e quello amato (Powell e Pressburger, ovviamente, Korda per implicita parentela, si direbbe facilmente Welles, ma Coppola rettifica: Kazan). Sebbene non manchi di raffinatezze ambigue nella significazione (dopo che a Bennie viene concesso di rimanere con Miranda e Tetro, questi bacia il ventre di lei e sussurra: “Grazie”. Che sia incinta? O che, semplicemente, gli abbia metaforicamente restituito Bennie come figlio?), l’architettura simbolica è, di primo acchito, di svergognata elementarità, lega all’area semantica “famiglia” l’insistenza sulla nominazione (“Prova a dirlo: fratello” , Angie è morto ora sono Tetro, ma non solo: Tetro(cini) colui che pur cambiando nome non riesce a staccarsi dalle proprie radici, letteralmente), l’eterno ritorno delle parole ( Ho scritto una canzone dedicata al tuo nome, lo sai?”), s’adagia su facili parallelismi (il talento del padre crudele: ed è subito Faust(a)), inscena le figure del complesso d’Edipo (la risoluzione pensata da Bennie come finale e poi sorprendentemente proposta da Tetro stesso, su un altro livello di realtà, prevede il parricidio; lo stesso premio indetto da Alone è intitolato “Los parrecidas”) e soprattutto quelle del “doppio” (antonomasia del perturbante e insieme ineluttabilità dello stampo genetico), dalla duplice interpretazione di Brandauer al proliferare di specchi, sino al ribadirsi esplicito nei dialoghi (“Sono scappato come hai fatto tu”, “La febbre del viaggio, presa da te”, “Non fare Me” etc), trovando poi conferma esponenziale e irriducibile nel passato (“E’ la storia di due fratelli”…) e nel suo racconto, nelle narrazioni di Tetro, nella rappresentazione costruita da Bennie, nelle reminiscenze legate a I racconti di Hoffmann (Io sono la bambola Coppellia) e, infine, nei folgoranti frammenti che trasfigurano a livello astratto gli eventi in coreografie e cromatismi di archeriana memoria. La realtà e lo svelamento della verità (sorretta dalla ricorrente simbologia legata alla “luce”, che accompagna i flashback e, mostrando le radici dell’attuale stato delle cose, sembra ogni volta ammassare sul presente il peso insostenibile del passato, tanto da indurre i personaggi alla follia) trovano nell’eco delle finzioni imbastite rappresentazioni monche e imperfette, certo, eppure necessarie. Necessarie non perché salvifiche o illuminanti (si badi bene: non si è di fronte ad un teorema ), ma perché indispensabili a Coppola in quanto artista: se sul finale dei suoi racconti Hoffmann prendeva coscienza del suo ruolo di poeta e lasciava l’amata Stella al rivale, Tetro rigetta ogni conclusione, si sottrae alla vista dello spettacolo di Bennie, rifiuta il riconoscimento di Alone, il chapeau della critica; così come Dominic Matei in Youth without youth non termina la sua enciclopedica missione in nome dell’amore, Tetro rifugge la quadratura del cerchio, si nega al successo, elude la pubblicità della sua opera: diviene consapevole dell’arte come semplice e intimo bisogno, nonostante tutto, nonostante tutti (cfr. l’Hector Mann de Il libro delle illusioni di Paul Auster), preferisce vivere il presente anziché situarsi nella Storia (lo avrebbe fatto compiendo il destino tragico della famiglia e fidandosi della via indicatagli dalla piece del fratello) o eternizzarsi nel mito consacrato. L’arte è solo un bisogno: la stessa realtà filmica appaga lo sfrenato impulso di rappresentazione con la trasfigurazione (come germinata dal film stesso) degli eventi in uno strato finzionale ulteriore, sintesi di impianto teatrale delle vicende narrate e dell’attitudine per gli spazi musicali di Powell. Coppola - autore totale, sceneggiatore, regista, produttore e distributore oltreoceano - aderisce allo spirito di Tetro, confezionando un’opera piccola, poche copie lontane da Hollywood. Cinema di limpidezza lacerante: Tetro è vita deformata in scatole cinesi progressivamente bigger than life, abisso e tripudio melò su basi autobiografiche, pura necessità dell’arte, potenza di un cinema che si riscopre familiare, popolare, elementare sino al kitsch ma che sa non essere mai pago, dato, risolto, incanalato su vie scontate (d’altronde, da un punto di vista narrativo, se il punto di vista dominante è quello di Bennie, non c’è mai completa adesione, pullulano le deviazioni), capace invece di ridonare senso all’ovvio, stratificandolo, confezionando rime interne che si trasformino in evocazioni mai finite (per questo le colpe di una scrittura sbalestrata appaiono irrisorie), lavorando sul già visto dallo spettatore, prendendo la strada di digressioni inaspettate che spesso illudono di trovarsi di fronte ad un semplice racconto di formazione. Dinnanzi a questo spazio virtuale densissimo, abitato da meravigliose figure imperfette, imbastito dalle immagini assemblate da Walter Murch e dal suo solito, sontuoso, tappeto sonoro, svanisce ogni difetto, ogni imperfezione. Dinnanzi a Tetro si vorrebbe attribuire a Coppola una sentenziosa frase del Michael Powell qui celebrato in diverse sequenze: “Io non sono un regista personale. Io sono il cinema”. Lo diciamo noi per lui, senza sprezzo del ridicolo. Giulio Sangiorgio"
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TheSpirit

Reg.: 21 Set 2008
Messaggi: 3605
Da: Napoli (NA)
Inviato: 04-12-2009 11:30  
Quoto il fatto che è bellissimo, la recensione poi la leggerò...

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liliangish

Reg.: 23 Giu 2002
Messaggi: 10879
Da: Matera (MT)
Inviato: 19-12-2009 14:41  
La recensione è di livello un po' troppo alto perché io la comprenda in toto, ma ne condivido la chiosa.

Fotografia ammaliante, musiche d'atmosfera, e la regia inappuntabile di Coppola. La contaminazione tra il cinema e il teatro (meravigliosa la scena dei ballerini che riproducono in teatro l'incidente d'auto del protagonista: un impianto teatrale su uno spettacolo che in teatro sarebbe impossibile rappresentare).

Dopo Youth without you, un'altro affascinante enigma di Coppola.


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...You could be the next.

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