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Autore La fuga di Delmer Daves
DeadSwan

Reg.: 05 Apr 2008
Messaggi: 1478
Da: Desda (es)
Inviato: 16-09-2009 23:42  
Per buoni quaranta minuti il regista si ingegna a non inquadrare mai Humphrey Bogart in volto. Poi passa un altro pezzo di film a nasconderlo dietro un bendaggio.
Esperimento? Virtuosismo stilistico? Riflessione metacinematografica? Per quel che posso dire, nessuna delle tre. E' che tutto sembra essere necessario, troppo necessario per "liquidarlo" come discorso stilistico.
Ne "La fuga", a mio avviso, si intrecciano due percorsi. Uno di detection, di ricerca, rivolta verso l'esterno; uno di trasfigurazione, un rito di passaggio ("Dark passage") rivolto verso l'interno. Il protagonista deve ristabilire una verità, ed insieme rifondare se stesso. Per far questo deve, come prima mossa, da un lato nascondersi (annullarsi), dall'altro ricostruire la sua relazione con l'altro. E da qui l'alternanza di occultamento e soggettiva della prima parte.
In prima battuta il problema che l'esterno solleva al soggetto è quanto mai basilare: l'ambiente immediato, il futuro prossimo (solo quindici minuti), decisioni istantanee. E da subito il corpo del soggetto è il suo maggior pericolo, il suo primo nemico. La sua identità entra definitivamente in crisi, deve essere cancellata.
Man mano che si procede, che si susseguono gli incontri (tra cui quello - determinante - con la donna) si ampia la prospettiva, sia la progettualità (sguarda al futuro) sia la ricostruzione dell'accaduto (sguardo al passato) acquisiscono spessore. Fino al punto culminante, in un certo senso, di questo processo, la visita all'amico (il momento in cui, sia pure indirettamente, viene rivelato il volto del protagonista). E' però il presente, la stessa presenza del protagonista, ad essere messa in forse. Ad essere presenti sono i volti degli altri, da cui il soggetto si trova a dipendere. Fino all'immobilità del tavolo operatorio.
C'è quasi un forte senso ritualistico in tutta la prima parte del film, appunto da rito di passaggio, che culmina nell'aspetto ieratico del protagonista avvolto da bende, bozzolo da cui nascerà (con l'ausilio della donna) un uomo nuovo.
La rinascita comunque è solo parziale, il soggetto una volta liberato si riproietta all'esterno, per compiere la sua ricerca di una verità. Le esigenze della ricostruzione del passato si impongono nuovamente, e l'identità cancellata continua a riproporsi. Nonostante la forte sottolineatura del cambiamento realizzato nella prima parte, alla fine lo sforzo pare inutile, il protagonista continua ad essere riconosciuto, ed alla fine (come un nuovo Edmond Dantes) sarà lui a farsi riconoscere dal vero assassino per smascherarlo.
La verità ricostruita sparirà però nuovamente, scivolerà dalle dita del protagonista come gli è già scivolata via l'identità, e sotto scacco all'interno come all'esterno non gli resterà che un improbabile fuga che sa tanto di utopia. Naturalmente, con la donna al fianco.
Il bello di questa odissea onirico-iniziatica di un soggetto in fuga da se stesso è che è si incarna in un noir avvicente e stupendamente sopra le righe, in cui il regista gioca a rendere il punto di vista dello spettatore erratico e labile come il destino di questo pover'uomo e del mondo d'incubo in cui si muove.



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Dresda, Sassonia, Germania
Se non riesci ad uscire dal tunnel, almeno arredalo

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