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Autore Il mago di Oz di V. Fleming
oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 14-09-2009 13:59  
Dal 1930 al 1945 gli Stati Uniti attraversarono l’ormai famosa grande depressione che provò anche l’industria cinematografica, fin lì, veleggiante con il vento in poppa verso l’eldorado cinematografico. Le cinque major che dominavano il mercato (Paramount, MGM, 20th Century Fox, Warner Bros e RKO) dovettero ridimensionare e tagliare le loro aspettative di continua crescita, anche se la MGM riuscì, tra tutte, a primeggiare nell’affannosa lotta nel pantano della recessione. Lo stile sfarzoso e giganteggiante risultò determinate, in molte opere del periodo, nell’avere successo tra il pubblico ormai morigerato, anche e soprattutto nell’intrattenimento; pensiamo a film come Via col vento o Il mago di Oz che racchiudono, alla perfezione, i topoi dello stile MGM. Proprio quest’ultimo epocale film è diventato una sorta di feticcio per moltissimi spettatori brufolosi dell’era post-bellica (in Italia infatti venne distribuito nel ’49 pur essendo una pellicola del ‘39) che mai scorderanno l’uomo di latta, lo spaventapasseri e il leone parlante (oltre alle scarpette rosse della protagonista Dorothy).
Il Mago di Oz è un film di posa, dove la scenografia diventa l’essenza dell’arte cinematografica: il mito dell’illusione, del raggiro consensuale. Lo spettatore vende l’anima al belzebù di celluloide, chiedendo in cambio solo di essere ingannato consapevolmente e docilmente, grazie agli effetti speciali riconoscibili, ma maledettamente affascinati per lo stile surreale, e a quei teatri di posa anch’essi ben individuabili e allo stesso tempo opere di artisti dell’illusione.
Si vede tutto il cinema. Marchingegni meccanici che simulano il tornado iniziale, sovraimpressioni che tratteggiano le mirabolanti avventure nel regno favoloso di Oz, personaggi che svolazzano grazie a semplicissimi fili e, dulcis in fundo, sua maestà Technicolor che permise, all’epoca, di dare quel tono ipertrofico, quanto necessario, alle ambientazioni oziane. Indimenticabili anche le musiche (Over the Rainbow su tutte) che costituiscono una componente essenziale dell’opera di Fleming nell’amalgamare la coralità delle sequenze oniriche a colori: la parte iniziale e quella finale rimangono invece in un bianco e nero, virato al seppia.
Summa dello studio system hollywoodiano.

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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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