DeadSwan
 Reg.: 05 Apr 2008 Messaggi: 1478 Da: Desda (es)
| Inviato: 12-06-2009 20:53 |
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George Cukor, 1933
Una commedia sofisticata ambientata all'epoca della grande depressione. Un genere costruito sulla non messa in discussione della upper class, riparata da ogni attacco e da ogni autentica critica sociale per poter costruire uno spazio drammaturgico completamente isolato, un mondo da operetta in cui far agire personaggi bislacchi e prenderli (bonariamente) in giro, per il sollazzo di un pubblico che l'upper class può solo sognarla (e con questi film la sogna e nel contempo sorride del suo sogno). La sfida è quella di calare questo genere, che per definizione non può conoscere problemi sociali, nel contesto maggiormente drammatico dal punto di vista sociale, quello della crisi.
Una via per vincere la sfida può essere quella percorsa da Capra in "Accadde una notte", prendere di petto il problema. Oppure si può annullare la dicotomia trasferendola nel regno dell'improbabile, come fa LaCava in "My man Godfrey". Cukor sceglie un'altra via, quella dell'interiorizzazione, del trasformare i contrasti sociali in drammi personali, e la commedia sofisticata in commedia amarognola, sempre ad un passo dal dramma.
La grandezza di Cukor è nel saper giocare di equilibrio su questo pericoloso crinale, trascinando il film dove vuole con piccoli, impercettibili tocchi.
La preparazione di una cena di gala da parte della moglie di un imprenditore prossimo alla rovina è l'occasione per mostrare una varia umanità, che si presenta in scena col sorriso sulle labbra, la formidabile eleganza e l'eccentricità un po' svampita che s'addicono al ruolo, ma che svelano miserie e drammi sin dalle prime battute, per poi approfondire sempre più grazie ad un dialogo eccellente.
Chi non è grottesco è misero, o ingenuo, o in decadenza, e tutto (in questo mondo che si vorrebbe nobile, elegante, superiore) gira attorno al denaro, al maledetto denaro. Gli unici in qualche modo puri sono l'anziano imprenditore (Lyonel Barrymore), preoccupato per la fine della sua onorata azienda di famiglia, fonte di orgoglio, e la figlia, l'unica motivata solo dall'amore (ma che figura scialba! L'unica insignificante del film...); e mettiamoci anche la moglie, il personaggio più macchiettistico.
Degli altri non si salva nessuno, ma tutti suscitano forse più la nostra pietà. Anche il villan rifatto, astuto e calcolatore, e la sua mogliettina presa dalla strada, arrivista e volgare (Jean Harlow in parte come non mai). Ma al culmine abbiamo due attori, quello ormai alla fine della sua decadenza (John Barrymore), e la vecchia rassegnata a sopravvivere alla sua fama, che a malincuore tradisce il suo più vecchio amico per denaro, ma alla fine si rivela la più consapevole di tutti.
Chi pensa a questo tipo di commedie come mero "teatro filmato" dovrebbe vedere questo film. Tralasciando il fatto che anche registicamente non ha nulla che non va, Cukor ha mostrato come "filmare il teatro" può essere un atto cinematografico, come il dialogo può essere una grande risorsa filmica, quando non cerca semplicemente di fissare delle parole ma diventa ritmo, motore dell'azione o azione essa stessa. Lui, o l'Hawks di "Bringing up baby", hanno mostrato la strada, molti poi hanno preso appunti.
_________________ Dresda, Sassonia, Germania
Se non riesci ad uscire dal tunnel, almeno arredalo |
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