> > Tutto Cinema - "L'aria salata", di A. Angelini |
Autore |
"L'aria salata", di A. Angelini |
Richmondo
 Reg.: 04 Feb 2008 Messaggi: 2533 Da: Genova (GE)
| Inviato: 22-01-2009 16:41 |
|
Riporto un post che scrissi sul blog del Genova Film Festiva. Per chi fosse interessato, lì potete trovare l'articolo per intero.
Parliamo un po' di L'aria salata di Alessandro Angelini, un giovane ma impegnato regista romano a cui il Film Festival genovese ha dedicato l’intera rassegna Percorsi di stile, facendo fin da subito emergere la fiducia e le aspettative che pubblico e critica ripongono in questo promettente cineasta, autore, fra gli altri lavori, di alcuni documentari che gli autori di questa kermesse si sono premurati di mostrarci in tutta la loro bellezza.
Il film, come già riporta un dettagliato ed esauriente articolo sul sito del Genova Film Festival, è l’esordio per Angelini nel lungometraggio di finzione. Ma rappresenta, per me, il definitivo pretesto per inficiare le tesi di Quentin Tarantino il quale, evidentemente mai al passo coi tempi in materia cinematografica (per quanto la sua passione per la settima arte sia effettivamente innegabile), del tutto presuntuosamente ha affermato:
Il Cinema italiano mi deprime; parla solo di coppie in crisi, di ragazzi, di vacanze e di minorati mentali. L’ho amato così tanto negli anni Sessanta e Settanta, ma ora sento che è finito tutto. Una vera tragedia.
Tralasciando ogni commento sulla infelice definizione “minorati mentali”, parlando dei temi che il Cinema italiano tratterebbe più spesso (ma davvero così tanto spesso?), con un quasi certo riferimento al bellissimo film di Gianni Amelio, Le chiavi di casa, sento di poter dire che Tarantino avrebbe dovuto presenziare alla proiezione, durante l'ultimo Genova Film Festival, dell’opera di Angelini.
Premetto subito che la proiezione è stata seguita immediatamente da un incontro con il regista, durante il quale è stato possibile a chi sedeva in poltrona fare domande e parlare del film.
La storia è semplice e chiede di esere raccontata attraverso volti che lo siano altrettanto, come quello di Giorgio Pasotti o quello di Giorgio Colangeli.
Fabio (G. Pasotti), educatore di detenuti, lavora come volontario nel carcere di Rebibbia, dove incontra il padre, Luigi Sparti (G. Colangeli), che non vedeva da molto tempo, condannato per omcidio vent’anni prima, trasferito in quella struttura penale dopo essersi finto epilettico.
La regia di Angelini è asciutta, fortemente realista, poco interessata ad ingigantire o amplificare la visione e gli spunti che essa possa offrire, bensì molto più attenta ad insistere con la macchina da presa, quasi sempre a spalla, sui volti dei suoi personaggi così umani. Il film è per la maggior parte giocato sui primi piani, su una sporta di pedinamento degli attori, che può talvolta indurre a credere che si siano rispolverare le care e vecchie teorie di Cesare Zavattini, soprattutto se si operano paragoni con altri film recenti, quali Gomorra, di M. Garrone, anch’sso così incline ad un realismo che da tempo mancava nel cinema nostrano.
La storia di L'aria salata è una vicenda di vite spezzate, sospese, che attendno sulle corde del tempo solamente di poter concludere il loro ciclo lasciato a metà. Il carcere, qui, non è solo un luogo fisico, ma anche un non luogo spirituale, una condizione psicologica e sociale, forse, che senz’altro affligge tanto chi ha subito una condanna penale, quanto i parenti di un detenuto.
Fabio, figlio di Luigi Sparti, non vede suo padre da vent’anni; con sua sorella, ha perfino deciso di cambiare cognome. Ma un giorno lo incontra, fra queste mura austere, gelide, dove perfino fumare è proibito, ma dove forse proprio il velo grigio di una sigaretta può donare qualche intenso attimo di libertà.
Sono riuscito a formulare due domande al regista. La prima è stata questa: quanto contano i paesaggi, le architetture, le luci per sottolineare quel senso di ostilità, di affanno, di impossibilità di riconciliazione?
A dire il vero mi pareva che l’insistere slla figura così ricorrnte della “barriera”, con frequenti riprese di steccati, staccionate, recinti, ringhiere, sbarre, inferriate, grate, non solo all’interno del carcere, ma anche nei set esterni, stesse proprio a dimostrare tutto ciò. Significativa è la sequenza, ripetuta più volte, in cui un bravissimo Giorgio Pasotti corre senza meta, a perdifiato, con la machina da presa che ne segue i movimenti disperati, forsennati: quasi un urlo del movimento, con una carrellata infinita, che fiancheggia siepi e barriere d’ogni tipo, riprese quasi sempre orizzontali, come a voler diluire lo sguardo verso un traguardo iraggiungibile. E poi le forme d’ogni luogo, d’ogni oggetto, sono qui sempre così fredde, torve, ipermoderne, dominate dal rigore geometrico più intansigente, mai accarezzate da un barlume di classico, mai attenuate da una sfumatura di colore.
Le luci della notte paiono acciecare e non avvolgere. In una scena vediamo Luigi Sparti camminare su un molo ed andare incontro ad un mare impetuoso, per nulla pronto ad accoglierlo, ma intento a respingerlo con l’ifrangersi violento delle sue onde sul cemento freddo sotto i piedi del protagonista.
Il cielo plumbeo, scuro, cupo e severo pare non dar la possibilità ai personaggi di levarsi al di sopra delle nuvole ed i primi piani ossessivamente ricercati, spesso, danno la sensazione di un peso che schiaccia i personaggi sullo sfondo della loro condizione di umana debolezza.
Solo nell’ultima sequenza il sole entrerà in scena per irradiare il set di un po’ di serena speranza. Qui il cielo è terso. Siamo su una spiaggia deserta. Il mare questa volta è calmo. Ma, sullo sfondo della scena, ancora una volta c’è una barriera (si direbbe un antica costruzione romana) che, assecondando le sue linee curve, cinge le figure dei due personaggi al centro dell’immagine. Di fronte a loro il mare, quieto e pacifico, è rotto nella sua languida compatezza da una fila di scogli che interrompono il contatto diretto con l’orizzonte.
Nonostante tutto questo, Angelini, invece, mi ha risposto che la sua regia è stata più attenta a curare i personaggi, o comunque i set al chiuso (il carcere, per esempio), mentre quelli esterni, citando le sue parole, si sono rivelati essere più che altro dei luoghi che raccontano, senza raccntare.
La seconda domanda che ho rivolto al regista è stata questa:
la figura di questo padre (interpretato da un Colangeli in splendida forma recitativa) prigioniero, prima di tutto, di se stesso, ma al contempo anche aguzzino dei suoi figli, le cui vite condiziona negativamente per molti anni, nasce forse come un personaggio irresponsabile. Vicina al Mc Murphy del film Qualcuno volò sul nido del cuculo (di cui peraltro nel film è presente una citazione), comincia ad ostentare un’autoironia quasi grottesca, sbandierando spavaldamente una irresponsabilità che fa a pugni con il suo ruolo di “padre”. (SPOILER) Può essere che, man mano che ci sia avvicina al finale, questa irresponsablità si tramuti in presa di coscienza, in responsabilità, fino al culmine di questo cambiamento, quel suicidio, letto come catarsi che, al contrario di come molti lo interpetano, suona come la volontà di non determinare negativamente le esistenze dei suoi parenti?
Infine: per questa figura paterna che è assente e che forse si redime, hai raccolto qualche eco o rimando da quel bellisimo film che è Il ritorno, di A. Ziavjintzev?
Anche qui, Angelini mi ha rassicurato che le sue intenzioni erano abbastanza distanti da questa interpretazione. La chiave di lettura riamne buona e legittima, ma la verità sta da un’altra parte.
Bene ugualmente. Sono soddisfatto due volte di più, in realtà, proprio nell’aver constatato che questo è un film che non si legge solamente da sinistra a destra, ma anche da destra a sinistra, dall’alto al basso, fino a giungere a tante verità o, al contrario, a nessun traguardo.
E devo dire che ho apprezato anche quel finale (SPOILER!), che ha così trbato gran parte del pubblico presente in sala, il quale continua a comandare prentoriamente che Misery non deve morire.
Questa è l’essenza del cinema. Un’opera come questa ti si insinua dentro, con la sua lancinante poeticità, senza tuttavia pretendere di fornire risposte certe.
_________________ E' meglio essere belli che essere buoni. Ma è meglio essere buoni che essere brutti. |
|
Tristam ex "mattia"
 Reg.: 15 Apr 2002 Messaggi: 10671 Da: genova (GE)
| Inviato: 22-01-2009 20:04 |
|
L'ho visto l'anno scorso...
Non mi ha lasciato un ricordo esorbitante. Diciamo che ha buoni momenti di intesità, ma nel contesto non arriva ad eguagliare la bellezza di certe pellicole italiane degli ultimi anni. Nè è troppo lontano dallo stile performativo del muccino americano
vediamo come andrà il suo prossimo film.
_________________ "C'è una sola cosa che prendo sul serio qui, e cioè l'impegno che ho dato a xxxxxxxx e a cercare di farlo nel miglior modo possibile"
|
|
|
|
 |
0.003855 seconds.
|