Richmondo
 Reg.: 04 Feb 2008 Messaggi: 2533 Da: Genova (GE)
| Inviato: 19-06-2008 17:13 |
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E' difficile che nel guardare un film di Pasolini si rimanga ammaliati dall'eleganza, dalla bellezza di un paesaggio, dalla raffinatezza dei costumi, dalla precisa forma del set, quasi ricostruito alla perfezione, senza sbagli, senza anacronismi. Ed è la stessa cosa che accade nel guardare anche certe opere neorealiste, in cui la potenza della realtà irrompe sulla scena, scongiurando il rischio di rendere il film eccessivamente poco credibile ma, al contrario, affidanosi alla, talvolta, poco lirica estetica delle cose, le rovine, le macerie, la disperazione, la polvere, la povertà, i suoni stridenti, fastidiosi delle città contemporanee, che pulsano di quella vita così vera ed autentica che sembra quasi non rientare nemmeno nel concetto stesso di "Cinema".
Tutti argomenti già trattati in altri topic, in altre discussioni, per cui si è detto che il Neorealismo è Cinema per cento altri motivi, mettendo perfino in discussione l'idea stessa di "poetico", che spesso può essere accomunata anche ad argomenti, immagini o storie che siano profondamente realiste (o realistiche); quindi accostata a quelle stesse inquadrature semplici di cui gran parte dei film di Rossellini, o di Pasolini, anche nei suoi film non neorealisti, come i suoi corti La terra vista dalla Luna o Uccellacci e uccellini , in cui, soprattutto in realtà nel secondo, appunto, manca l'eleganza delle forme, ma ai quali, nonostante tutto, non ci si sente di imputare affatto la mancanza di uno spirito poetico, di lieve canto in versi di vicende, per immagini. In questi film la rozza ermeticità delle scene, i set così spogli, polverosi, brulli e sgraziati si traducono in pura lirica, in autentica poesia.
Ma il punto è che fino a prima del Neorealismo erano molti i film che puntavano molto sull'amenità della forma, dei paesaggi. Molte opere venivano così tacciate di eccessivo "calligrafismo", una maniacale attenzione verso il confezionamento di inquadrature perfette, nella loro futile eleganza, a scapito di contenuti, al contrario, molto poco insistiti.
E' ciò che accade nella maggior parte dei film che precedono Roma città aperta o Paisà , in cui lo sguardo lucidamente commosso del regista rinuncia a soffermarsi sugli elementi puramente formali per battere più sentitamente la strada dei contenuti.
Ma non sempre,a mio avviso, ciò che la critica ha rimproverato a certi film italiani venuti nei primissimi anni Quaranta (o negli ultimi anni dei Trenta), come è il caso di certe pellicole di Mario Camerini - Il cappello a tre punte , ad esempio, in cui, se vogliamo, l'autore smentisce quelle apparenze che davano il suo film per un'opera di scanzonato autocompiacimento, facendo emergere un'ironia di fondo davvero acuta, sottile, e di incredibile e "medievale" attualità - risponde a verità. Anzi, potrei dire che, secondo me, alcuni dei più bei film italiani sono stati prodotti in questo periodo in cui il Cinema nostrano stentava a trovare la via da percorrere nei suoi scopi, senza aggrapparsi ai manifesti proclamati, ma rifacendosi unicamente al'istinto di qualche cineasta che riceveva non poche suggestioni dai film d'oltre oceano o d'oltralpe.
E' sicuramente il caso di Piccolo Mondo antico , di Mario Soldati, quel film che narra le vicende di Franco (Massimo Serato), nipote di una ricca Marchesa (Ada Dondini) che lo diserederà, quando verrà a sapere delle sue intenzioni di sposare Luisa (Alida Valli), che è solamente la figlia di un funzionario, invece che essere imparentata a qualche famiglia nobile.
Quest'opera del 1941 anticipa, in qualche modo, in maniera tuttavia meno sagace, forse più drammatica, quella coralità che si ravviserà, anni ed anni dopo, in film come Partitura incompiuta per pianola meccanica , di N. Michalkov, autore russo, pellicola che ho visto pochi giorni fa, in cui lo svolgersi inesorabile delle vicende, lo srotolarsi di tutte quelle storie, il delinearsi di tutti quei personaggi così ironicamente e (al contempo) lancinantemente scavati nell'anima dalla cinepresa del regista scorrono, parafrasando M. Morandini, composte e placide come il grande fiume russo che fa da sfondo a tutta la storia.
Qui, invece, è il Lago Maggiore a fare da cornice a questa storia di sentimenti prevaricati, di passioni acute che si bloccano, che ricrescono, che sfociano in pura tragedia.
Soldati mette in scena quella sceneggiatura, tratta dal celebre romanzo di Antonio Fogazzaro, scritta così abilmente anche dalla penna di Alberto Lattuada, attraverso proprio una simbiosi totale fra un paesaggio perfetto, sublime, divino, che rimane lapidariamente sullo sfondo, ma spesso anche in primo piano e quei personaggi che sulle sue acque si muovono, navigano, o muoiono.
La schiuma delle onde accompagna l'incubo di natura piacevolmente espressionista di quella perfida marchesa che, finalmente, saprà redimersi dalla sua crudeltà.
Un montaggio intelligente, innovativo, sa trasportare lo spettatore in un susseguirsi di vicende drammatiche, ma anche nella mente di alcuni protagonisti che mutano, cambiano, fissati come sono su quel lago che, invece, rimane sempre uguale. Un paesaggio che sa piangere insieme ai suoi personaggi (la pioggia che cade sul viso di Alida Valli, mentre corre su un sentiero fangoso per tentare di salvare la sua figlioleta annegata nel lago), sa ridere, sa guardare al futuro, in quell'ultima e speranzosa inquadratura, che fugge dalla demagogia, dall'opportunismo, per donare solamente un po' di lecita e giustficata fede nel futuro.
Quel futuro di cui, ahimè, però, proprio un Neorealismo dalle fattezze meno eleganti, ma indubbiamente altrettanto alto artisticamente, saprà smentirne le aspettative, rappresentandocelo come un presente crudele, sguaiato, povero, miseramente basso, orizzontale, privo di quei paesaggi così raffinati o di quegli "interni" così ottimamente ricostruiti. Ma indubbiamente dall'amabile sapore di una verità bramata, voluta e, finalmente, trovata.
_________________ E' meglio essere belli che essere buoni. Ma è meglio essere buoni che essere brutti. |
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