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Autore Nosferatu, Phantom der Nacht (W. Herzog)
Hias84

Reg.: 15 Mar 2007
Messaggi: 1262
Da: Serravalle Pistoiese (PT)
Inviato: 20-02-2008 13:41  
Realizzato nel 1979, Nosferatu, Phantom der Nacht occupa un posto tutto speciale nella filmografia herzoghiana: trattasi infatti della prima opera del cineasta tedesco finanziata e prodotta con l’appoggio di una grande casa di produzione (la francese Gaumont) e distribuita dal colosso hollywoodiano Fox. Le disponibilità economiche aumentano, permettendo ad Herzog di ingaggiare attori importanti (oltre al consueto Kinski, pensiamo solo alla splendida Isabelle Adjani e a Bruno Ganz), ma non per questo Nosferatu può considerarsi un’opera impersonale, tutt’altro. È infatti con questo film (e col praticamente contemporaneo Woyzeck, ispirato all’omonimo dramma di Buchner, le cui riprese iniziano solo pochi giorni dopo la fine delle riprese di questo Nosferatu) che Herzog riprende per la prima volta esplicitamente uno dei capisaldi della cultura (in questo caso cinematografica) tedesca, quel Nosferatu, eine Symphonie des Grauens del 1922 di Murnau, nel tentativo di gettare un ponte e rimettersi in collegamento diretto con un passato “spezzato” dalla barbarie nazista. Il cinema espressionista tedesco è il padre, ed Herzog si sente in qualche modo figlio di questa esperienza artistica e cerca, con questo suo lavoro, di ricollegarsi direttamente all’opera di Murnau (presa a fondamento e a manifesto di un certo modo di fare cinema, precedente alla “stabilizzazione hollywoodiana” [cfr. Grosoli, Werner Herzog, ed. Il castoro cinema]). Accanto all’evidente (per alcuni preponderante e fastidiosamente “accademico”) rigore filologico mostrato da Herzog nell’attuazione di questa nuova impresa (che conduce a ricalcare letteralmente l’organizzazione spaziale e la struttura di alcune inquadrature del film originale di Murnau, nella convinzione, peraltro fondata, che difficilmente se ne possano pensare e “trovare” di migliori) emergono e trovano spazio però tutte le tematiche classiche tanto care all’autore monacense. Purtroppo, sulla versione del film uscita in alcuni paesi (tra cui l’Italia e gli Stati Uniti), pesano i tagli inspiegabili operati dalla Fox per un totale di circa quindici minuti: senza una vera necessità o una qualche ragione reale, spariscono così singole inquadrature in conclusione di alcune sequenze ed è in pratica cancellato tutto ciò che riguarda e approfondisce la figura, fondamentale per Murnau come per Herzog, di Renfield, servo del signore delle tenebre, che ne esce ridotto ad un’ignobile macchietta. Fortunatamente, l’edizione in dvd della RHV uscita come cofanetto composto da due dischi ripropone il film senza tagli nella sua versione originale tedesca, con sottotitoli: a questa versione ci si riferirà in questo commento.

Innanzitutto, si è detto del rigore filologico col quale Herzog riprende il modello di Murnau. In realtà, quello che del Nosferatu muto del 1922 affascina il cineasta monacense è la capacità di suggerire, con il semplice brillante ausilio degli spazi e dei giochi di luce e ombra, la sensazione di un’angoscia e il senso di una tragedia imminente: molte sequenze riproposte da Herzog (in particolar modo l’attacco del vampiro a Jonathan nel castello sui Carpazi o il conclusivo “amplesso mortale” che il non- morto intrattiene con la sua vittima sacrificale Lucy) sembrano voler restituire (seppure con l’ausilio di ulteriori strumenti inaccessibili all’epoca, come il colore ed il sonoro) proprio questo “senso” all’inquadratura, una profondità spaziale talmente rigorosa da saper inquietare anche uno spettatore ormai assuefatto ai giochi di prestigio degli effetti speciali. In realtà quest’opera non può affatto considerarsi “fedele” agli stilemi del genere horror, nel quale indubbiamente avrebbe potuto ascriversi: nella riproposizione di “schemi narrativi e segni figurativi decifrabili con tale immediatezza da risultare dei topoi ormai penetrati nell’immaginario popolare” (Grosoli, op.cit.), che diviene particolarmente evidente quando viene ripreso “fedelmente” il testo originale di Murnau, non si ravvisa mai l’intenzione di rispondere “al bisogno di quelle emozioni primarie” (Grosoli, op.cit.), quali la paura, la suspense o l’inquietudine, che sono generalmente identificate col genere horror. È evidente come ad Herzog non interessi granché di costruire un film di genere: non si tratta solo di un remake, non si presentano “variazioni sul tema” (apprezzabili da un punto di vista “citazionistico” o comunque funzionali al riconoscimento dell’apparato “standard” su cui si fonda un film horror o fantastico). Herzog vuole, come già detto, ricollegarsi al testo di Murnau come all’autorità assoluta, “in modo da rifondare su questa base mitica la legittimità del proprio fare cinema e più in generale del fare cinema oggi proprio al di fuori di schemi linguistici rigidamente codificati” (Grosoli, op.cit.).
Facendosi forte del patrimonio iconografico e figurativo di Murnau (come in Woyzeck si farà forte del testo di Buchner), Herzog tenta di dare basi al proprio modo di fare e vedere il cinema. Nosferatu, Phantom der Nacht si propone dunque come tentativo di visualizzazione immediata dell’elemento fantastico, come contatto fisico con esso. Herzog rappresenta per immagini l’irruzione del fantastico nella realtà, nel mondo reale che abitiamo ogni giorno. Nosferatu, il non-morto, è l’archetipo che incarna al meglio questo elemento: egli penetra il reale come il vascello “Demeter”, sul quale giunge dalla Transilvania, penetra le viscere della cittadina di Weimar, ricostruita in Olanda, a Delft, andandosi ad incagliare (in una sequenza meravigliosamente immaginifica ed allucinatoria, che rimanda direttamente alla visione del vascello sull’albero in Aguirre, Furore di Dio) in uno dei suoi canali, in qualche modo “fecondandola”. Nosferatu è il seme del fantastico, che feconda e distorce definitivamente il reale. Tutto ciò che lo circonda è avvolto, fin dall’inizio, in un alone di fascinazione, in un senso di spostamento della percezione, come un’alterazione della normalità. Nosferatu porta con sé tutto ciò che della natura è incontrollabile e violento, un orrore ed una diversità ancora più agghiaccianti perché, appunto, “naturali”, una carica “erotica” e un magnetismo folle che non possono che turbare e sedurre. Ci sono due movimenti nel film: la discesa di Jonathan verso il regno del fantastico (splendida la sequenza che la descrive, sulle note prima dei Popol Vuh, autori della meravigliosa colonna sonora, e poi del Preludio a “L’oro del Reno” di Wagner), verso l’irreale- reale del mondo del vampiro e delle ombre, ed il viaggio che questi intraprende verso di noi e che noi, seguendo Jonathan, abbiamo deciso di intraprendere a nostra volta verso di lui. Nosferatu è l’elemento di disturbo che esce dalle regole codificate e le rende vecchie ed inutili, rivoluzionario perché ci costringe a cambiare la nostra percezione. Una volta che il fantastico insemina il reale tutto cambia e si rovescia: la pulsione, la violenza e l’orrore naturali incarnati dal vampiro si impadroniscono del mondo, fino alla “liberazione definitiva, la vittoria dei sensi e della visione esplosa” (Grosoli, op.cit.), rappresentata dalla scena della peste che colpisce Weimar riducendo alla follia, e costringendo alla resa, l’intera popolazione, mostrataci da Herzog nel bel mezzo di una sorta di rito orgiastico in onore alla vita che le sta sfuggendo di mano. Nosferatu rompe tutti gli schemi, nella diegesi e, metalinguisticamente, nel concetto stesso di genere e nell’economia del film di Herzog. In realtà non è nemmeno qualcosa di reale, non esiste a meno che non si voglia vederlo (come raccontano gli zingari a Jonathan, opinione confermata dall’inquadratura di alcune rovine su un promontorio laddove dovrebbe sorgere il castello, e che poi dal castello stesso sono sostituite al momento dell’arrivo alla corte del vampiro), e lo spettatore, sprofondando con Jonathan verso una natura sempre più estranea, folle, malata, accetta questa sua esistenza. È allora, nel corso del viaggio del giovane agente immobiliare, che la figura del vampiro inizia a prendere consistenza: un viaggio che è anche il viaggio di chi guarda, e che è destinato ad incrociare il viaggio di Nosferatu stesso verso lo spettatore e il mondo reale. Kinski, da par suo, offre una prestazione eccezionale proponendo un Nosferatu solcato, svuotato, prosciugato da una passione e da un dolore sovrumani che sono però, anche, terribilmente umani, ed in quanto tali ancora più affascinanti: il suo vampiro è un mostro sensibile, un essere senziente a tutti gli effetti, dall’esacerbata capacità percettiva. Egli sente ad un livello di profondità ed amplificazione ancora una volta superiore alla media, ed è in questo un personaggio definitivamente herzoghiano, nel quale alla follia si affianca un’umana stanchezza, la percezione sofferta della solitudine ed il disperato bisogno di placare la propria fame d’amore, destinato ad un misero fallimento. È proprio la debolezza del vampiro, quella incrinatura che lo rende “umano, troppo umano”, a negargli l’ultimo barlume possibile di umanità, di felicità, di salvezza, di vita: trattenuto con l’inganno da Lucy fino all’alba, il vampiro cade trafitto da un raggio di sole, come il Mito e l’archetipo vogliono (vedasi ancora il commento di Grosoli). Ma il cerchio ormai è compiuto, e un Jonathan vampirizzato parte a cavallo sotto un cielo plumbeo che si confonde col mare, la voce divenuta la voce del vampiro (almeno nell’edizione italiana), ormai trasformato egli stesso, “fantastico nel fantastico”, che l’ultima inquadratura, sulle note del “Sanctus” di Gounod, sembra evocare. Con Jonathan, con la liberazione del fantastico di cui egli è ormai l’espressione, assistiamo alla legittimazione della missione del fare cinema secondo la personale visione di Herzog: come chiosa Grosoli nella sua analisi del film, sottolineando con una frase azzeccata il senso profondamente personale dell’opera, “il cinema non può cessare di porsi come la “peste fantastica” che apre a nuovi orizzonti del sentire”.


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Formula della mia felicità: un sì, un no, una linea retta, una meta... (F.W.Nietzsche)

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TomThom

Reg.: 07 Giu 2007
Messaggi: 2099
Da: Mogliano Veneto (TV)
Inviato: 20-02-2008 19:30  
Bellissimo pezzo, Hias! Complimenti...
E che film meraviglioso...Quando avrò un pò più di tempo dirò la mia su questa opera d'arte.
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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 21-02-2008 13:54  
Otimo pezzo, Hyas, mi riprometto di leggerlo con maggior attenzione.

Mi sono ricordato di una discussione sul Dracula di Coppola in cui prendemmo in considerazione anche i Nosferatu di Murnau e di Herzog.

Recupero e posto qui la mia idea condensatea in queste poche righe che tendono, più che all'analisi filmica vera e propria, a rimarcare lo "spirito occulto", eros e thanatos, che si cela in entrambe le opere dei due autori tedeschi.

**Ho dato una rapida scorsa ai vecchi post. Sono stati ricordati diversi film "draculeschi", mi sembra che nessuno abbia citato il Nosferatu di Herzog [mi sbagliavo, mi fu infatti linkato un ottimo special suivampiri - vedi alla lettera V dell'indice dell'ottimo DemonSeth] Ci proverò io, partendo da quell'idea inizale di "umanizzazione" del vampiro, essere sofferente e metafisico, non solo "mostro", idea che qualcuno cercava vanamente di attribuire a Coppola, riconoscendogli una primogenitura che non può vantare. Il Nosferatu di Herzog - superbamente, "ineditamente" interpretato da Klaus Kinski - si ricollega idealmente e filmicamente, mediante un'estetica affatto personale, al mostro “umanizzato” di Murnau, dopo tante produzioni Hammer, e non solo. Le quali, sebbene non prive di un certo fascino, si limitavano al puro divertissement orrorifico, trascurando le valenze più propriamente mitiche, mistiche, erotiche e fantastiche proprie della “creatura” inventata dalla fervida immaginazione di Bram Stoker. Nel film di Hergoz, come in Murnau, prevale quel senso imminente ed immanente della morte, della sessualità e dell'amore ambigui, il dualismo paura/desiderio, eros e tanathos, che induce lo spettatore e chiedersi - spesso in maniera inconscia - chi stia realmente aspettando la Lucy/Hellen nella malinconica spiaggia disseminata di croci piegate dal vento gelido e minaccioso che spira da nord (meravigliosi squarci visivi in entrambe le pellicole): il "vampiro" delle sue inconsapevoli e segrete pulsioni che va solcando i mari disseminando morte, oppure il suo uomo che percorre a piedi e a cavallo le oscure regioni piene di orribili presenze e presentimenti? L'amore romantico, rassicurante e "pulito", oppure il suo destino “altro”, il suo desiderio/paura – repulsione/attrazione del "mostro" (che è in noi), al quale infine l'"eroina" si concederà come vittima sacrificale? La buona coscienza “borghese” non ammetterebbe mai interpretazioni così ardite.., nè certi oscuri percorsi dello spirito e dell'"es", sebbene il messaggio “trasfigurante” di cui entrambi i film si fanno portatori, con alcune differenze narrative, soprattutto nei diversi finali, sia abbastanza intuibile.**

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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 21-02-2008 16:42  
quote:
In data 2008-02-20 13:41, Hias84 scrive:
Ma il cerchio ormai è compiuto, e un Jonathan vampirizzato parte a cavallo sotto un cielo plumbeo che si confonde col mare, la voce divenuta la voce del vampiro (almeno nell’edizione italiana), ormai trasformato egli stesso, “fantastico nel fantastico”, che l’ultima inquadratura, sulle note del “Sanctus” di Gounod, sembra evocare. Con Jonathan, con la liberazione del fantastico di cui egli è ormai l’espressione, assistiamo alla legittimazione della missione del fare cinema secondo la personale visione di Herzog: come chiosa Grosoli nella sua analisi del film, sottolineando con una frase azzeccata il senso profondamente personale dell’opera, “il cinema non può cessare di porsi come la “peste fantastica” che apre a nuovi orizzonti del sentire”.

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Aggiungerei che tra i vari modi di libero sentire, potrebbe anche trattarsi di un'intenzione di "teologia" del terrore (e del fantastico), d'"umanizzazione" del mostro - come già da me ipotizzato nell'altro topic, da parte del regista. Non a caso Herzog ricorre alle musiche sacre di Gounod, a quelle mantriche/tantriche (sempre "religiose" pur con gli inquietanti fremiti che ricordano l'incubo, ma anche la struggente poesia del "proibito", la "libido" dello spettatore che desidera prendere contatto anche con gli aspetti più oscuri della propria psiche), a quelle eroico-mitiche, ma pervase da un respiro sacrale, di Wagner.
L'intenzione di umanizzazione del vampiro (aspetto che nessun film sui vampiri aveva prima prospettato), dopo Murnau che aveva "osato" in prima battuta percorrere questa "scandalosa" strada ("eine symphonie des Grauen.., nonostante sia un film muto), appare evidente in Herzog nel dialogo tra il nosferatu e il sensale, quando il primo confessa ad Harker l'infinita pena che gli procura la sua immortalità, il dover vagare in eterno, nel "desiderio" eternamente frustrato, se non soddistatto occasionalmente ma senza catarsi, senza liberazione, senza "luce" e senza quella tenebra che rappresenta il suo speculare, sempre dicotomico/ambiguo contrario. Ed ecco la... Lucy, la quale, religiosamente, ecumenicamente, offre se stessa al vampiro, non per uccidere il mostro, come da una prima e superficiale lettura testuale, ma per regalargli l'estrema, assoluta, completa e definitiva estasi. Eros e thanatos, non si scappa da questo doppio d' amore e morte, che solo può esistere nell'amore profondo, lo stesso provato da Lucy per il "non morto", e che dunque dovrà "uccidere" per la salvezza di costui. Lucy, la "donna illibata e pura di cuore" la sola in grado di sconfiggere il male si "sacrifica" (da sacro), com somma estasi, a quello. Ciò la dice lunga su quanto l'eros abbia a che fare con la religiosità (eros, vita, morte, resurrezione) di cui abbiamo illustre esempio nelle celebri estasi di Santa Teresa d'Avila [e non Avola... EDIT]trafitta nel ventre dal "dardo di fuoco dell'Angelo del Signore", di cui possiamo renderci conto sia attraverso la lettura dell'autobiografia della santa, sia dalla contemplazione del meraviglioso blocco marmoreo scolpito dal Bernini e situato nella chiesa disanta Maria della Vittoria in Roma.



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Hias84

Reg.: 15 Mar 2007
Messaggi: 1262
Da: Serravalle Pistoiese (PT)
Inviato: 21-02-2008 18:09  
quote:
In data 2008-02-21 16:42, AlZayd scrive:
quote:
In data 2008-02-20 13:41, Hias84 scrive:
Ma il cerchio ormai è compiuto, e un Jonathan vampirizzato parte a cavallo sotto un cielo plumbeo che si confonde col mare, la voce divenuta la voce del vampiro (almeno nell’edizione italiana), ormai trasformato egli stesso, “fantastico nel fantastico”, che l’ultima inquadratura, sulle note del “Sanctus” di Gounod, sembra evocare. Con Jonathan, con la liberazione del fantastico di cui egli è ormai l’espressione, assistiamo alla legittimazione della missione del fare cinema secondo la personale visione di Herzog: come chiosa Grosoli nella sua analisi del film, sottolineando con una frase azzeccata il senso profondamente personale dell’opera, “il cinema non può cessare di porsi come la “peste fantastica” che apre a nuovi orizzonti del sentire”.

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Aggiungerei che tra i vari modi di libero sentire, potrebbe anche trattarsi di un'intenzione di "teologia" del terrore (e del fantastico), d'"umanizzazione" del mostro - come già da me ipotizzato nell'altro topic, da parte del regista. Non a caso Herzog ricorre alle musiche sacre di Gounod, a quelle mantriche/tantriche (sempre "religiose" pur con gli inquietanti fremiti che ricordano l'incubo, ma anche la struggente poesia del "proibito", la "libido" dello spettatore che desidera prendere contatto anche con gli aspetti più oscuri della propria psiche), a quelle eroico-mitiche, ma pervase da un respiro sacrale, di Wagner.
L'intenzione di umanizzazione del vampiro (aspetto che nessun film sui vampiri aveva prima prospettato), dopo Murnau che aveva "osato" in prima battuta percorrere questa "scandalosa" strada ("eine symphonie des Grauen.., nonostante sia un film muto), appare evidente in Herzog nel dialogo tra il nosferatu e il sensale, quando il primo confessa ad Harker l'infinita pena che gli procura la sua immortalità, il dover vagare in eterno, nel "desiderio" eternamente frustrato, se non soddistatto occasionalmente ma senza catarsi, senza liberazione, senza "luce" e senza quella tenebra che rappresenta il suo speculare, sempre dicotomico/ambiguo contrario. Ed ecco la... Lucy, la quale, religiosamente, ecumenicamente, offre se stessa al vampiro, non per uccidere il mostro, come da una prima e superficiale lettura testuale, ma per regalargli l'estrema, assoluta, completa e definitiva estasi. Eros e thanatos, non si scappa da questo doppio d' amore e morte, che solo può esistere nell'amore profondo, lo stesso provato da Lucy per il "non morto", e che dunque dovrà "uccidere" per la salvezza di costui. Lucy, la "donna illibata e pura di cuore" la sola in grado di sconfiggere il male si "sacrifica" (da sacro), com somma estasi, a quello. Ciò la dice lunga su quanto l'eros abbia a che fare con la religiosità (eros, vita, morte, resurrezione) di cui abbiamo illustre esempio nelle celebri estasi di Santa Teresa d'Avola trafitta nel ventre dal "dardo di fuoco dell'Angelo del Signore", di cui possiamo renderci conto sia attraverso la lettura dell'autobiografia della santa, sia dalla contemplazione del meraviglioso blocco marmoreo scolpito dal Bernini e situato nella chiesa disanta Maria della Vittoria in Roma.





Inutile dire che concordo con te per quanto riguarda il post precedente sull'umanizzazione del mostro. Venendo a questo secondo passaggio, in effetti questo collegamento sembra molto interessante, e probabilmente non lo avevo sviluppato a dovere nel mio intervento. A mio avviso, il fatto che si riescano a fare ragionamenti di così ampia portata sull'opera in questione indica, fuori da ogni sorta di dubbio, come il film riesca a "spalancare" tutta una serie di porte, dispiegandosi in un'enorme quantità di "rivoli concettuali", aprendo spazi pressochè infiniti per la "costruzione". Ora vado un pò di fretta, devo studiare, ma spero di aver presto tempo di pensare meglio a quanto hai scritto, per capire a fondo tutte le implicazioni: per ora mi rammarico solo di non aver visitato la suddetta chiesa quando, la settimana scorsa, sono stato a Roma!
Ciao!
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dan880

Reg.: 02 Ott 2006
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Da: napoli (NA)
Inviato: 21-02-2008 19:12  
un ottimo remake: cupo, inquietante, dalle atmosfere veramente suggestionanti. e delle musiche veramente molto calzanti.

la sequenza con i topi sul tavolo pieno di cibo è secondo me una delle più emblematiche.

avrei evitato però di farlo finire con l'agente immobiliare che a sua volta diviene un nuovo vampiro: il finale l'avrei limitato alla morte di nosferatu-kinski.

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 21-02-2008 22:07  
quote:
In data 2008-02-21 18:09, Hias84 scrive:
devo studiare, ma spero di aver presto tempo di pensare meglio a quanto hai scritto, per capire a fondo tutte le implicazioni: per ora mi rammarico solo di non aver visitato la suddetta chiesa quando, la settimana scorsa, sono stato a Roma!
Ciao!




Lo studio innanzi tutto, c'è sempre tempo per queste suggestioni.

In effetti il Colosseo, San Pietro e Fontana di Trevi, sono la gloria ma anche, in un certo senso, la rovina di Roma...

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Hias84

Reg.: 15 Mar 2007
Messaggi: 1262
Da: Serravalle Pistoiese (PT)
Inviato: 22-02-2008 15:54  
quote:
In data 2008-02-21 19:12, dan880 scrive:
un ottimo remake: cupo, inquietante, dalle atmosfere veramente suggestionanti. e delle musiche veramente molto calzanti.



Speravo in realtà di essere riuscito a spiegare perchè credo che il film di Herzog non possa definirsi un remake nè tantomeno un film di genere

quote:

la sequenza con i topi sul tavolo pieno di cibo è secondo me una delle più emblematiche.



Concordo. Certo è una delle sequenze nelle quali emerge più chiaramente il richiamo, anche altrove presente nell'opera di Herzog , al patrimonio figurativo fiammingo.

quote:

avrei evitato però di farlo finire con l'agente immobiliare che a sua volta diviene un nuovo vampiro: il finale l'avrei limitato alla morte di nosferatu-kinski.



Ma il significato dell'opera è tutto lì, dal punto di vista diegetico come da quello "metalinguistico"!
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Hias84

Reg.: 15 Mar 2007
Messaggi: 1262
Da: Serravalle Pistoiese (PT)
Inviato: 22-02-2008 15:57  
quote:
In data 2008-02-21 22:07, AlZayd scrive:
In effetti il Colosseo, San Pietro e Fontana di Trevi, sono la gloria ma anche, in un certo senso, la rovina di Roma...



Davvero! Poi considera che a Roma sono venuto per accompagnare la mia ragazza, che studia architettura e aveva tutta una lista di luoghi, monumenti e chiese da visitare "obbligatoriamente" per sostenere l'esame di Storia dell'arte e dell'architettura... altrimenti avremmo certo avuto più tempo per visitare "tutto il resto". Mi è dispiaciuto molto non poter vedere tutto (è anche vero che ci siamo fermati poco, appena due giorni): comunque ho già in cantiere di tornare e finire la "visita"!
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dan880

Reg.: 02 Ott 2006
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Da: napoli (NA)
Inviato: 22-02-2008 15:58  
[quote]In data 2008-02-22 15:54, Hias84 scrive:

Speravo in realtà di essere riuscito a spiegare perchè credo che il film di Herzog non possa definirsi un remake nè tantomeno un film di genere

[quote]

ma il parere l'ho espresso dal mio punto di vista ovviamente :smile : e secondo me è un remake riuscito.
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Hias84

Reg.: 15 Mar 2007
Messaggi: 1262
Da: Serravalle Pistoiese (PT)
Inviato: 22-02-2008 16:01  


E' che tendo a ritenerlo molto più di un remake.
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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
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Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 22-02-2008 16:16  
quote:
In data 2008-02-20 13:41, Hias84 scrive:
sequenza

tralaltro in questa sequenza c'è già tutto il film e tutto il cinema di herzog, con tutto il rigore che li contraddistingue. il rigore, come giustamente dici, nel rifarsi al modello originale, dove le nubi che scorrono al contrario (nella prima parte della sequenza) sono l'evidente richiamo all'immagine, montata da Murnau in negativo, di Hutter che attraversa la foresta in carrozza verso il castello del conte. e rigore, topos herzoghiano per eccellenza, nell'osservazione della natura e nell'esaltazione al tempo stesso della sua bellezza e del suo lato arcano e inquietante.
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
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Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 22-02-2008 16:17  
quote:
In data 2008-02-22 16:01, Hias84 scrive:


E' che tendo a ritenerlo molto più di un remake.


ora non fare queste scivolate dai. perché avere questa concezione limitante del remake? anzi l'hai descritto bene tu stesso, questo sì che è un vero remake.
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Hias84

Reg.: 15 Mar 2007
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Da: Serravalle Pistoiese (PT)
Inviato: 22-02-2008 16:58  
quote:
In data 2008-02-22 16:17, sandrix81 scrive:
quote:
In data 2008-02-22 16:01, Hias84 scrive:


E' che tendo a ritenerlo molto più di un remake.


ora non fare queste scivolate dai. perché avere questa concezione limitante del remake? anzi l'hai descritto bene tu stesso, questo sì che è un vero remake.




Capisco cosa vuoi dire. Quando ho scritto che non lo considero un mero remake volevo ribadire che, dietro alla ripresa del modello di Murnau, c'è molto altro, e c'è un'ottica puramente personale come tu stesso hai sottolineato perfettamente commentando la "sequenza" che avevo linkato. Se lo si considera un remake, è il miglior genere di remake che si possa immaginare, quello nel quale all'istanza originaria si aggiunge una rilettura fatta con gli occhi e con la personalità di chi cura, pensa, realizza questa riproposizione.
Non ho niente contro i remake in generale, volevo solo scongiurare la confusione tra questo film (e il suo rapporto col Nosferatu di Murnau) e altri "remake" (nel senso peggiore della parola) che capita spesso di vedere.

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AlZayd

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Inviato: 22-02-2008 22:56  
quote:
In data 2008-02-22 16:16, sandrix81 scrive:
quote:
In data 2008-02-20 13:41, Hias84 scrive:
sequenza

tralaltro in questa sequenza c'è già tutto il film e tutto il cinema di herzog, con tutto il rigore che li contraddistingue. il rigore, come giustamente dici, nel rifarsi al modello originale, dove le nubi che scorrono al contrario (nella prima parte della sequenza) sono l'evidente richiamo all'immagine, montata da Murnau in negativo, di Hutter che attraversa la foresta in carrozza verso il castello del conte. e rigore, topos herzoghiano per eccellenza, nell'osservazione della natura e nell'esaltazione al tempo stesso della sua bellezza e del suo lato arcano e inquietante.




Queste comparazioni di carattere linguidìstico-tecniche tra Herzog e Murnau si leggono però ovunque, anche nel manualetto del giovane cinefilo in erba.

E comunque lo stile e il rigore di Herzog, ecc, li troviamo, ancor prima di Nosferatu che conferma autorevolmente la regola, nei precedenti capolavori. A mio avviso Fata Morgana è già un manifesto "programmatico" (nel senso che è tutto un programma...)della poetica herzoghiana.

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