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I vicerè |
Petrus
 Reg.: 17 Nov 2003 Messaggi: 11216 Da: roma (RM)
| Inviato: 09-11-2007 00:22 |
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Il cinema italiano ha una certa difficoltà a parlare al proprio pubblico. Una difficoltà nel narrare storie avvincenti, dense, che parlino di sé stesse per parlare d'altro.
Che raccolgano la feconda posizione del regista turco/tedesco Fatih Akin, quando sostiene di usare narrativamente gli elementi politico-sociologici presenti nei suoi film, e non di usare i suoi film per evidenziarli. Ecco, di pellicole che utilizzino questo assunto, nel belpaese se ne vedono sempre meno, e l'ultima opera di Roberto Faenza è in qualche modo paradigmatica di questa deriva.
I Vicerè va incontro, in questo senso, ad un doppio passo falso. Il primo è quello dell'aver costruito intorno a sè un'abile operazione d'immagine volta a far passare il motivo di fondo della pellicola (una controversa storia familiare ai tempi dell'unità d'Italia) per ciò che non è (un film di profonda denuncia politica, nel quale è rintracciabile il profilo del paese oggi). Il secondo è quello di stemperare, spuntare, svilire in qualche modo, il messaggio politico pur così fortemente presente nel testo di Federico De Roberto, usando qua e là nella sceneggiatura dei brani estrapolati dal libro che si innestano forzosamente su un impianto che tende a tutt'altro. Ennesimo, ideologico impiego del film di denuncia, nel quale i passaggi narrativi che contengono un messaggio politico sono strumentali, non inseriti all'interno di una visione d'insieme.
Lo scambio di battute tra il protagonista e uno zio sulla mancanza di differenze programmatiche sostanziali tra destra e sinistra, per esempio, che viene entusiasticamente additato come esempio di preveggenza dell'autore del libro dal regista, è strumentale e disonesto. L'interpretazione che ne verrà colta dai più sarà ovviamente quella di un rispecchiarsi in quelle parole dell'Italia odierna, perché è lì che Faenza vuole condurre lo spettatore. Ma la narrazione si dimentica volutamente della contestualizzazione di quelle specifiche frasi in un'epoca in cui il parlamentarismo assumeva connotati estremamente diversi da quelli odierni, con l'assenza di organizzazioni partitiche di massa, vivendo sulla specificità degli eletti nei singoli collegi, su un suffragio estremamente ridotto, sul trasformismo depretisiano, termine la cui accezione aveva ben altro senso e significato rispetto a quello deleterio che con il tempo ha assunto. L'epoca, per intenderci, della destra storica e della sinistra storica.
Dunque non sbaglia il personaggio nella scena a citare letteralmente De Roberto (l'accezione di 'storiche' per due prospettive divergenti nel governo del Regno d'Italia ai suoi albori è infatti maturata con il tempo, impossibile da mettere sulla bocca di chicchessia nel 1872), ma sbaglia Faenza ad assolutizzare il discorso, a privarci delle giuste chiavi di lettura di un testo che per molti altri versi ha delle notevoli tangenze con l'oggi.
La valenza culturale del libro di De Roberto si diluisce così in un'operazioncina che infiocchetta ideologicamente quello che risulta dallo schermo come un melò dal sapore non poco televisivo.
Gli Uzeda (Lando Buzzanca, Alessandro Preziosi, Cristiana Capotondi) non convincono come "cattivi", come reali fautori di un malcostume che pian piano si è radicato nel belpaese, ma restituiscono l'immagine di una famiglia d'epoca con tutte le proprie piccole contraddizioni, i propri contrasti, esposti e messi in scena un po' rozzamente e con un certo macchiettiamo di fondo, e nulla più.
Ma dopotutto, se anche Rossellini era uscito sconfitto dal confronto con De Roberto, un motivo ci dovrà pur esser stato…
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_________________ "Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate" |
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kubrickfan
 Reg.: 19 Dic 2005 Messaggi: 917 Da: gessate (MI)
| Inviato: 10-11-2007 17:21 |
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Trama: nella Sicilia del 1800 gli Uzeda vivono nel lusso dato dalla loro appartenenza al casato filoborbonico che ne determina la ricchezza. Giacomo dirige con durezza e molte volte con crudeltà la famiglia, accanendosi molte volte senza motivo sul figlio Consalvo. Dopo l'ennesima punizione ricevuta, il piccolo viene confinato in un monastero di monaci benedettini, dove la vita dura dei novizi fa da contraltare alle notti lascive dei monaci. Divenuto grande e ritornato in famiglia, Consalvo trova la figura del padre ormai in preda a folli superstizioni, pronto ancora a perseguirlo in quanto convinto che il figlio sia la causa dei suoi mali fisici, e oltretutto stanno arrivando i garibaldini ad unire l'Italia mettendo in grave crisi la ricca staticità degli Udezia ...
Commento: Ispirandosi al romanzo di Federico de Roberto, Faenza (che ha diretto l'ottimo Prendimi l'anima, sui mali della psiche umana) dirige un film in costume (complimenti alla pluripremiata agli oscar Milena Canonero per l'ennesima prova di classe nel vestire gli attori) sull'Italia del 1800 in piena dominazione borbonica, centralizzando la storia su una famiglia diretta in maniera dispotica da un padre reso folle dai suoi mali fisici che non esita ad addossarne la responsabilità all'incolpevole figlio reo soltanto di essersi comportato da ribelle agli ingiusti castighi.
La storia di Consalvo (interpretato, nella fase adulta, da Alessandro Preziosi, il conte Ristori di Elisa di Rivombrosa) inizia da quando bambino si muoveva curioso in giro per la tenuta con la sorella Teresa (interpretata in mnaiera acqua e sapone dalla prezzemolina “appaio spesso” Cristiana Capotondi, presente questa settimana al cinema anche con Come tu mi vuoi al fianco di Vaporidis) per poi continuare fino alla tarda maturità, volendo dare uno spaccato di vita del tempo in maniera più spalmata e completa possibile. Attraverso una rigorosa scelta storica delle location e delle scenografie, Faenza tratta un tema che rimembra i nostri passati scolastici, con l'arrivo dei garibaldini e la caduta dei Borboni, immesso nell'ottica di una diatriba familiare che solo sporadicamente incontra i lati sentimentali prettamente d'amore (lasciati soprattutto al personaggio di Teresa) che vive di continui allontanamenti e successivi ritorni a casa. Il taglio del film è decisamente televisivo, vista la produzione e l'ottica di realizzazione non poteva essere altrimenti, ma non manca mai di essere quantomeno visivamente interessante, non induce al torpore pesante nonostante varie cadute di tono soprattutto quando mancano i confronti diretti tra padre e figlio (padre interpretato validamente e con ghigno feroce dal redivivo Lando Buzzanca che dimostra di poterci essere anche lontano dai ruoli comici), dilungandosi un po' troppo sulle fasi intermedie degli incontri e in alcuni autocompiaciuti siparietti nei giardini di valore soprattutto estetico.
Non aspettatevi grandi scene di lotta o sollevazioni di piazza, questo è soprattutto un melodramma e non un film storico, vissuto sui rapporti intrafamiliari e sui matrimoni/parti di convenienza, dedicandosi nel girato solo in maniera marginale alle altre cose, permettendosi una feroce critica sulla chiesa (definendo le abitudini notturne dei benedettini “I porci di Dio”lasciando a veri devoti il compito di pregare a scusa di peccati che vengono commessi da altri), mostrando un sindaco zoppo (ed in omaggio al famoso “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba”) a sintomo di un Italia sacrificata che fatica a camminare decentemente. Non abbiamo una vera totale condanna di qualcosa, tutto è demandato a chiedere di non credere alle superstizioni assurde che non producono vera coscienza ma solo chimere di credulità (non a caso il grande bubbone di Giacomo è sulla testa) e di seguire la propria indole d'istinto di giustizia rendendo la propria vita la più cristallina possibile libera da insegnamenti e dogmi.
Faenza dirige in definitiva un film con buon mestiere, di fattura più che valida nell'allestimento visivo del tempo storico, penalizzato purtroppo da una mancanza di grandeur del racconto che si limita a circondarsi blandamente (di fatto la vita degli Uzeda non cambia moltissimo nel prima e dopo dell'arivo di Garibaldi) degli eventi mentre si muovono i personaggi in elastici narrativi (oltre ai ritorni c'è anche Consalvo che a un certo punto sente di somigliare al padre diventando anche violento) a volte troppo ripetitivi. Probabilmente un interprete più valido di Preziosi troppo legato a un tipo di recitazione che coinvolge solo fino ad un certo punto, (lo vediamo poi in ogni età, con baffi e senza, grigio e in giovinezza) e una interprete diversa della scolastica Capotondi, avrebbe dato vigore e forza maggiore a una pellicola di base da non buttare via che poi si perde per la pochezza di approfondimenti, che ha dato emozioni stanziali del momento e non di ripensamento del dopo usciti dalla sala.
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QUENTIN TARANTINO PROJECT |
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gatsby
 Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 10-11-2007 18:47 |
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Bell'analisi Petrus, centrato in pieno il discorso. Riporto qui quanto scritto epr cinemaplus e per l mio blog
Preceduto dalle polemiche del regista Roberto Faenza che (sembra) lo volesse non solo selezionato alla Festa del cinema di Roma, ma anche come film di apertura, “I vicerè” inizia a catturare l’attenzione dell’ambiente intellettuale italiano fin da quando ne fu annunciata la realizzazione. L’omonimo libro da ui il film è tratto, scritto nel 1984 da Federico DeRoberto, è stato infatti per anni snobbato dal consenso popolare, soprattutto a causa della stroncatura ricevuta all’epoca da Benedetto Croce che lo trovò inutile, soprattutto se paragonato a “Il gattopardo” e ai lavori di Verga e Capuana. Prima di Faenza, già Rossellini provò, senza successo, a portare sul grande schermo quest'opera seconda di una trilogia dedicata alla famiglia nobile Uzeda, frutto della fantasia dello scrittore, i cui altri due capitoli sono “L’illusione” e “L’imperio”. La causa del fallimento di tale progetto va ricercata nella forte connotazione politica, ancora attuale, della storia narrata, che per anni ha spaventato i produttori a finanziarla: le vicende di una dinastia aristocratica catanese, dal tempo degli ultimi Borboni alla fine del del 19° secolo, con una postilla (ma questa è un’aggiunta del film) sul post-grande guerra. Personaggi ed eventi che richiamano non solo la Storia d’Italia, ma anche e soprattutto i perenni atteggiamenti di coloro che detengono il potere, con i loro egoismi ed avidità.
Che Faenza voglia parlare dell’oggi è palese. Quel che ne esce però è un discorso solo abbozzato, risaputo e poco profondo, quantunque giusto. Manca, nella rappresentazione del pensiero autoriale, quella carica di indignazione e quell’analisi articolata e compiuta che avrebbe indotto lo spettatore a discutere, interrogare e interrogarsi, una volta abbandonata la sala. Il “fare politica” col mezzo cinematografico non è, nel caso di Faenza, approccio intellettuale, né proposta linguistica più popolare, ma un ibrido poco incisivo e superficiale. Limiti questi riscontrabili sia nella sceneggiatura, sia nella regia. Confezionato come un prodotto televisivo, tanto da sembrare uno sceneggiato sull''ottocento' di Raiuno (in tal senso anche la "scelta" degli attori non aiuta), “I vicerè” non è un film del tutto banale, ma neppure capace di volare alto con i suoi modesti dialoghi e rappresentazione scenografica dell’epoca, dove l’ancora del piccolo schermo sembra impedire ogni maggior ambizione e tensione creativa. Non noioso, ma neanche particolarmente interessante con personaggi che nón sono macchiette, ma neppure particolarmente caratterizzati né approfonditi: su tutti proprio il protagonista, quello che piú di ogni altro dovrebbe trainare la storia. Le idee di progresso che gli vengono contestate non risulteranno mai chiare allo spettatore. Ne esce un film appena sufficiente, che avrebbe potuto sfruttare meglio le potenzialità del testo letterario a cui si ispira.
_________________ Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento : quello in cui l'uomo sa per sempre chi è |
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gabro8
 Reg.: 12 Nov 2007 Messaggi: 2 Da: Roma (RM)
| Inviato: 12-11-2007 11:18 |
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RISPOSTA A MEREGHETTI!
Tra i vari blog, forum, space dove si susseguono le notizie sul film I Vicerè, abbiamo trovato un'insigne risposta all'articolo uscito sul Corriere della Sera del 9 novembre e firmato da Paolo Mereghetti
La risposta viene da Antonio Di Grado e la trovate sul forum dell'Università di Catania.
E ora quelli che non hanno nemmeno letto il romanzo, lo difendono dal "tradimento" di Faenza! E dicono, ovviamente, sciocchezze. Mereghetti, sul "Corriere della sera", rimprovera al regista di esserci andato pesante mentre De Roberto era "sottile" e "ironico"! Ma quando mai: De Roberto usava l'accetta, era sarcastico e grottesco, e deformava polemicamente la realtà riducendola a una galleria di mostri. Al contrario è Faenza a sfumare, a dare chiaroscuri psicologici a quei freaks...
E poi Mereghetti asserisce che le frasi più "politiche" del film nel romanzo non c'erano. E sbaglia ancora una volta: c'erano tutte; rilegga (o legga?) il romanzo. E ancora: secondo il critico De Roberto non avrebbe tanto deprecato il trasformismo quanto il fatto che l'aristocrazia siciliana soffocasse la nascente borghesia.
Ma scherziamo? La borghesia del patetico Giulente? L'universo dei Vicerè è tutto negativo, né vi può essere traccia di "progressismo" borghese. Sono semmai i servi, i bastardi, i "vinti" di sempre, a salvarsi: come Baldassarre, la cui delusione suggella e "firma" il film. E Faenza aggiunge i bambini: scelta originale, ma nello spirito di De Roberto.
(Il link del forum è http://151.97.124.101/flett/forum/). |
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