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Le deuxieme souffle |
Petrus
Reg.: 17 Nov 2003 Messaggi: 11216 Da: roma (RM)
| Inviato: 28-10-2007 11:09 |
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Evaso dal carcere, inseguito dalla polizia, il gangaster Gu si trova costretto a compiere un ulteriore crimine pur di raggranellare il denaro sufficiente alla fuga, insieme alla sua compagna Manouche: l'uomo, però, è vittima di un tranello della polizia, decisa a rovinarne l'immagine di fronte agli occhi dei suoi complici; Gu dovrà quindi impegnarsi a riscattare l'onore conservando, al contempo, la libertà...
Francese, ma di formazione statunitense
Allievo di grandi registi, quali Corman e Costa Gavras. Appassionato di un genere, il noir, che nasce culturalmente in Francia, nei bassifondi di Parigi, nell’acre odore di Marsiglia, ma che si sviluppa cinematograficamente negli Stati Uniti, dove ottiene fama e largo seguito: con queste premesse Alain Corneau raduna attorno a sé un ottimo e assortito cast, che punta sulla coppia Daniel Aeutueil/Monica Bellucci, ma li circonda di comprimari quali Michel Blanc, Gilbert Melki ed Eric Cantona (si, esatto, proprio lui, il famoso ex-calciatore). Per fare cosa? Ma un noir, ovviamente; anzi, per riprendere e riadattare una pellicola del grande Jean-Pierre Melville, nota in Italia con il titolo Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide.
L’ipotesi di lavoro da cui parte Corneau è grandiosa: mettere in piedi un vero e proprio film di genere, un poliziesco dalle forti tinte noir, che si estenda temporalmente nell’arco di un paio di settimane colmando, però, oltre due ore e mezza di pellicola. L'intenzione di dare un respiro epico alla vicenda emerge con evidenza, perchè Corneau non vuole limitarsi a una "semplice" storia di gangster, donne, sangue e morte, ma ambisce a eguagliare i migliori e più tetri affreschi dei grandi film sulla mala. E’ proprio questa presunzione che tarpa le ali a Le Deuxieme Souffle, attanagliato da momenti di stanca, privi d'interesse, ed eccessivamente prolisso nello sciogliere gli snodi narrativi.
Eppure il film non manca di buoni spunti: Auteuil regge bene la scena quasi da solo (la Bellucci, in questo senso, offre la sua ottima presenza scenica, ma il suo personaggio viene usato come cartina di tornasole delle caratteristiche del protagonista), mentre Michel Blanc interpreta divinamente un personaggio - il commissario Blot - altrettanto ben scritto; e alcune sequenze sono costruite con vera sapienza di scrittura e di regia, tali da rendere altalenante la progressione di un film che rivela, attraverso la sua incostanza, molti difetti altrimenti trascurabili, come per esempio la monocorde interpretazione di Cantona.
Così La Deuxieme Souffle, con questa sua poca immediatezza, diventa inevitabilmente una pellicola alquanto prevedibile (la risoluzione finale è intuibile già a quaranta minuti al termine) e a rischio di noia.
Può essere, d’altra parte, una buona occasione per gli appassionati del genere, che si ritroveranno nelle atmosfere marce e cupe di un’ambientazione noir dipinta con tutti i crismi della lunga tradizione di questo genere.
già pubblicata qui
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AlZayd
Reg.: 30 Ott 2003 Messaggi: 8160 Da: roma (RM)
| Inviato: 29-10-2007 01:19 |
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Progetto davvero ambizioso, dicevamo nella breve presentazione del film, questo rifacimento di un capolavoro del noir francese che, contro le migliori aspettative e speranze, finisce per “tradire” Melville nel momento stesso in cui l’autore dello splendido Tutte le mattine del mondo cerca di rispettare, e/o emulare, conservare, in una parola cristallizzare, lo spirito dell’opera originale del 1966. Cio, nonostante alcune varianti narrative e l’idea di restituire alla figura femminile (Manouche, la donna di Gu) quel ruolo centrale e a tutto tondo che José Giovanni (scrittore e cineasta: L’ultimo domicilio sconosciuto; Il clan dei marsigliesi) le riserva nel suo omonimo romanzo (alla base del film originale e del remake), laddove in Tutte le ore feriscono... l’ultima uccide (titolo italiano di La deuxième souffle di Melville), viene al contrario ridimensionato.
Rilettura troppo diligente, prevedibile e canonica delle “mitiche” gesta della mala anni sessanta, con le ben note efferatezze, nondimeno con i solidi e a modo loro “nobili” valori di “una volta”: amicizia virile, lealtà, osservanza e rispetto delle regole e dei codici d’onore, validi anche nelle società cosiddette civili, contrapposti ad un “oggi” in cui si assiste al loro fatale scadimento. Da un regista di valore qual’è Alain Corneau, ci saremmo aspettati una messinscena più coraggiosa e coesa, disposta a “tradire” con maggior sprezzo del pericolo la visione melvilliana, lo stesso archetipo del “noir”, superata ogni forma di (comprensibile) soggezione verso il grande Maestro, e il "genere", giustappunto per riaffermarne il fondamentale, inalienabile e seminale ruolo storico e poetico, dunque più che mai attuale, attraverso un percorso creativistico aderente alla realtà, ed insieme all’esigenza di istanza trasfigurante, del mondo contemporaneo.
Delude l’incoerenza stilistica di Corneau che si abbandona allo stereotipo del cinema contemporaneo per ""esorcizzare" quello del cinema classico.., che adotta l'espediente “tecnico-espressivo” spregiudicato e di facile presa, quale il ralenty (usato spesso e a sproposito, soprattutto nella scena iniziale dell’evasione dal carcere), finendo per evidenziare maggiormente, e paradossalmente, il carattere statico della pellicola. Per non parlare delle scene di violenza in cui il sangue scorre inutilmente a fiumi, dei particolari splatter ostentati a fini meramente spettacolari, ad imitazione di molto cinema d’azione americano ed asiatico, senza però sortire quel giusto effetto che nel film blockbuster riusciamo ad accettare senza troppi complessi e remore.
Il buon mestiere di Corneau si avverte tuttavia nello stile “classico” del girato, nella buona capacità di penetrazione della mdp che divide geometricamente gli spazi fisici e psichici (grande assente il tratto meta-fisico/filmico, quella marcia in più che fa la differenza…), "isolando" caratteri ed atmosfere mediante suggestivi tagli fotografici, quantunque spesso di manierata eleganza, come pure nella duttile e plastica, davvero “invisibile”, steadycam dei rapidi e nervosi piani sequenza; infine nei drammatici squarci di luci ed ombre, nei “chiaroscuro” avvolgenti, al pari della discreta tessitura musicale, nel giallo-lardo predominante, nel tentativo, in parte riuscito, d’evocare il denso ed “impressionistico” bianco e nero d'"epoca".
Bella e decorativa, nei panni di un bionda (come da miglior immaginario legato al genere noir, con l’immancabile “femme fatale”, o “dark lady”, o donna malavitosa, o amante del boss, o dell’(anti)eroe “negativo”, ed è il caso del film di cui trattasi), la buona volontà di Monica Bellucci è fuori discussione, ma il suo controverso e complesso personaggio avrebbe meritato un’interprete dotata di maggiore espressività e carisma, in grado di farci dimenticare “Malena”, contribuendo magari a risollevare le sorti del film. Daniel Auteuil ci prova a sfoderare la sua indiscussa classe, e spesso ci riesce, ma, visto il contesto in cui si trova ad operare, sempre a causa di una regia troppo “prudente”, lineare e piana, finisce per assomigliare a tal punto a Lino Ventura da sembrare, in alcune scene, la sua caricatura. Eccellente Michel Blanc (memorabile interprete di L’insolito caso di Mr. Hire, di Patrice Leconte) nei panni dell’ispettore Blot; di buon livello il resto del cast, e i caratteristi.
Scritta al
RomaCinemaFest, il 18 ottobre 2007
_________________ "Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel |
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