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Autore La bella e la bestia, di Jean Cocteau
sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 01-10-2006 00:48  
Semplice descrizione di due momenti del film (o uno solo, se mi passa la voglia nel frattempo), onde evitare stronzate o tediosaggini.

Il primo è quando il padre di Bella entra per la prima volta nel castello di Mostro. Dopo aver attraversato il corridoio illuminato dai candelabri sostenuti dalle mani senza corpi (quando il padre si volta a guardare l'angusto corridoio, di questo si vedono appunto solo i candelabri, immersi in un nero cosmico ancora più che magico), il signore si siede alla tavola imbandita per prendere fiato e riprendersi dallo shock, magari bevendo un bicchiere di vino. Fa per sollevare la brocca, ed ecco che l'ennesima Mano (quella che sostiene il candelabro a centro tavola) si mette in azione per versare cordialmente il vino nel calice dell'uomo. La reazione dell'umano è ovviamente sconcertata, ha un sussulto appena la Mano si muove, e non sa come spiegarsi quello che accade. Ci riflette su qualche secondo, ed ecco che giunge all'unica conclusione realmente possibile: il corpo della persona a cui appartiene la servizievole Mano sarà sotto il tavolo.

Ed ecco allora che si arriva precisamente al primo dei momenti di cui volevo parlare: il padre di Bella solleva la tovaglia (che arrivando fino al pavimento, impedisce di vedere sotto il tavolo) per vedere se c'è qualcuno sotto. Non c'è nessuno. Definitivamente rassegnato e spaesato di fronte alla (sur)realtà in cui si trova immerso, si ricompone e torna a guardarsi attorno per cercare, nell'ambiente o nella sua testa, nuovi punti di riferimento.
E' in questo contesto che Cocteau piazza uno di quei "colpi di cinema" - per dirla con Moscariello - che vale la pena di analizzare a fondo per comprendere al meglio la poetica di un autore. La sequenza presenta una vera e propria battaglia tra due mondi, tra due dimensioni, tra due realtà.
Nel momento in cui si "aziona" la Mano per servire il vino all'uomo, e questi di conseguenza balza all'indietro per il terrore, la macchina da presa lo segue addirittura con una breve carrellata in avanti. Poi due inquadrature successive mostrano il gesto della Mano che versa il vino nel bicchiere, infine abbiamo un lungo piano medio dell'uomo, con la mdp che si sposta per aggiustare il quadro (tenendo sempre l'uomo al centro del piano), che guarda la Mano tornare a posto (cioè a reggere il candelabro), solleva la tovaglia per guardare sotto il tavolo, lascia ricadere l'orlo della tovaglia dopo aver visto (e non aver trovato nulla), si guarda attorno, si alza da tavola, torna a guardare il corridoio, si risiede, beve il vino versato dalla Mano nel bicchiere.

Andiamo con ordine.
Le inquadrature che ci interessano sono sei; anzi, in realtà sono solo le ultime quattro.
Le prime due inquadrature ci mostrano rispettivamente il padre che avvicina la mano alla brocca, e la Mano che si muove per anticipare il gesto dell'uomo.
La terza inquadratura, in controcampo, è tutta sul padre (piano medio) che sussulta all'indietro contro lo schienale della sedia, seguito nel movimento dalla breve carrellata in avanti. Il carrello avanti stringe sull'uomo, dà quasi un senso di claustrofobia, lo ingabbia letteralmente. L'uomo è ancora (o almeno crede) nella sua realtà, nella sua dimensione reale, concreta, quella di tutti i giorni; ma è soffocato dalla realtà magica in cui si è immerso mettendo piede nel castello del mostro. L'inquadratura in questione è l'ultima fortezza in cui l'uomo può rifugiarsi, ma è sempre più piccola (il carrello stringe sempre più), e presto, come vedremo, sarà espugnata.
La quarta inquadratura è un proseguimento della seconda, mostra (in soggettiva dell'uomo) la Mano che impugna la brocca e la solleva. La quinta mostra per intero l'atto del riempire il bicchiere (quasi fino all'orlo), con la Mano (e gli oggetti) in primo piano, e il fuoco del camino che arde nello sfondo. Queste due inquadrature rappresentano l'espugnazione di quella fortezza, sono il trionfo (sottolineato dal fuoco del camino) della realtà magica su quella "reale" da cui proviene il padre di Bella; la seconda inquadratura sembra interminabile, il bicchiere sembra non avere fondo, è un atto estenuante, si spera che finisca al più presto; quando ormai il bicchiere è pieno, e la brocca prende a ridiscendere, è troppo tardi: sappiamo che le nostre mura sono crollate, che siamo immersi nel mondo mostruoso, siamo rassegnati, il nemico ha già riempito il nostro spazio proprio come quel bicchiere. E come noi - lo vedremo subito - è rassegnato e consapevole anche il padre di Bella.
Arriviamo alla sesta (e ultima, e lunga) inquadratura. Anche questa è un piano medio frontale dell'uomo, ma notiamo subito una differenza fondamentale rispetto alla terza inquadratura (quella del carrello, insomma): tra l'obiettivo e l'uomo ora c'è qualcosa, e ci sono proprio gli oggetti di quel malefico e irreale castello, ci sono il candelabro, la Mano, il bicchiere, la brocca. Le forze del "nemico" hanno conquistato il campo e invaso il "nostro" (nostro in quanto appartenenti alla stessa dimensione dell'uomo) spazio, dominano e quasi oscurano la figura dell'umano.
Il padre, alle corde e prossimo alla resa, supera lo sconcerto per tentare un'ultima mossa: guardare sotto il tavolo. Alza la tovaglia, e guarda sotto. A questo punto ci si aspetterebbe la soggettiva del personaggio, per poter vedere anche noi cosa si cela sotto quel tavolo magico. Ma l'aspettativa è ancora delusa: l'inquadratura resta fissa sull'uomo, ormai lo ha catturato e lo tiene ben stretto, non gli lascia un centimetro neanche quando questi si alza e poi si risiede. Ma il non-inserimento della soggettiva non serve solo a non distogliere lo sguardo dall'uomo, è anche il segno della rassegnazione: non ci serve guardare sotto il tavolo, perché ormai sappiamo benissimo che non c'è nulla sotto il tavolo, sappiamo di essere definitivamente nella dimensione magica, sappiamo che la mossa tentata dal padre di Bella è senza speranza. Ci siamo arresi, e in fondo non ci credeva più di tanto neanche l'uomo, si vede dall'espressione (rassegnata, ancora) con cui molla l'orlo della tovaglia lasciandolo ricadere.
L'uomo continua a guardare la Mano e il candelabro come i segni del nuovo mondo; solleva lo sguardo in aria e intorno, cerca qualche insperato appiglio, si alza, guarda indietro verso il corridoio. Fermiamo l'immagine: l'uomo è sull'estrema sinistra del quadro, di fianco ma con la testa girata verso la sua sinistra (guarda cioè nella nostra stessa direzione, verso il corridoio); alla sua destra, fino all'altra estremità dell'inquadratura, la lunga fila dei candelabri (e delle Mani che li sostengono); il resto è nero, buio pesto. Ci sono solo l'uomo e i candelabri, immersi nel vuoto. L'uomo è solo con la nuova realtà, è solo con la magia. Ora ne ha la certezza definitiva. Non ci sono appigli, ci sono solo i segni magici, non c'è altro, niente di niente.
L'uomo si rivolta, torna a sedersi, sconfortato, solleva il bicchiere, lo guarda ancora, come se fosse la bandiera bianca prima di issarla. La porta alla bocca. Un ultimo sguardo al calice. Di nuovo alla bocca. Beve. Dissolvenza a nero. Fine della sequenza. Il film è entrato in una nuova ottica. La sequenza successiva, infatti, si apre con una statua che apre gli occhi, guardando peraltro dritto verso di noi.



è tardi per l'altra sequenza. spero domani.
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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