Schizobis
Reg.: 13 Apr 2006 Messaggi: 1658 Da: Aosta (AO)
| Inviato: 02-08-2006 13:50 |
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IL GRANDE SONNO 1946 di Howard Hawks (Marlowe ha paura)
“Come lo vuole il suo brandy?”
“Nel bicchiere”
Penso di ritenere quella di Humphrey Bogart la migliore interpretazione di Philip Marlowe sul grande schermo.
Il grande attore reduce dal successo mondiale di Casablanca disegna un investigatore anti eroe, squattrinato ma coerente con i suoi principi morali, nevrotico e post esistenzialista, ai margini della società (una “suola” come afferma lui stesso con orgoglio, riferendosi al lavoro di investigatore privato).
Già l’entrata in scena è l’opposto della beatificazione dell’eroe ma una sottolineatura delle sue mancanze fisiche: la ninfetta Carmen Sternwood esclama vedendolo “Non è molto alto lei eh….?”
Ma il nostro Marlowe-Bogart sa che l’altezza fisica non va di pari passo con la altezza morale e le turpi vicende delle due sorelle Sternwood sembrano una eloquente dimostrazione della putrida dolcezza della corruzione (rappresentata simbolicamente dall’orchidea). Si respira un clima molto torrido (non solo climaticamente, nella serra del decrepito generale) sottolineato dai vestiti alquanto discinti e dagli sguardi voluttuosi delle ragazze che il nostro incontra sul suo cammino (“colleziono bionde sottovetro” dirà Bogart alla ennesima bellezza che gli si offre).
Hawks è eccezionale nel costruire i dialoghi (con Raymond Chandler, l’inventore di Marlowe) e la sua maestria registica fatta di primi piani americani e campi stretti esalta le qualità dei due attori principali.
Il film decolla quando entra in scena Lauren Bacall (assolutamente complementare a Bogart, infatti ne era la fidanzata ai tempi, poi moglie) e i duetti con il nostro ineffabile e apparentemente irreprensibile Marlowe sono da ritagliare e incorniciare. Bogart tradisce la nevrosi massaggiandosi continuamente il lobo dell’orecchio e replicando cinicamente e seccamente ad ogni sciabolata della Bacall, ma tradisce un fondo di disistima quando afferma, stizzoso, “In confidenza, i miei metodi non piacciono neanche a me…”.
Bogart attraversa questo mondo di ricatti e perversioni, tradimenti e furti, con l’occhio di chi non si aspetta molto dalle persone che incontra. Il vizio impera e ha le graziose forme di una Lolita mai svezzata. Dopo una prima parte portentosa, il film si stabilizza nella descrizione di una trama talmente intricata che gli stessi attori affermarono di aver recitato senza capire molto dello sviluppo narrativo. La contorsione degli eventi però è controbilanciata dalla coppia Bogart-Bacall in stato di grazia e quando il nostro Marlowe verso la fine della storia esclama “Ho paura” rivolto alla sua controfigura femminile, capiamo che né le sigarette né i bicchieri di brandy possono guarire il male di vivere di Marlowe. E infatti alla fine del film vediamo due sigarette appoggiate su un posacenere.
C’è qualche vizio più terapeutico del fumo e dell’alcool (e anche meno dannoso, tenendo conto della malattia che portò a morte Bogart nel 1957, un tumore dell’esofago).
Film da tenere nel proprio archivio personale, immancabile.
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