Petrus
 Reg.: 17 Nov 2003 Messaggi: 11216 Da: roma (RM)
| Inviato: 29-12-2005 15:42 |
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butto giù giusto due riflessioni, già postate sul blog
Sorprendentemente nel suo Dizionario del cinema, Mereghetti si sbarazza in poche righe del terzo film di Fassbinder, imputandogli, tra l'altro, una assoluta banalità dei dialoghi. Proprio sulla banalità, sul luogocomunismo delle scene che vengono rappresentate sullo schermo (tutte in un unico piano sequenza e con telecamera in spalla) punta il giovane cineasta tedesco per tratteggiare sulla carta della pellicola il paradigma dell'uomo qualunque, incfastrato tra un disco di cui non ricorda il nome, un'aperitivo con moglie e genitori, una promozione forse compromessa da qualche bicchiere di troppo. E, alla fine, la follia. Fassbinder si pone una domanda alla quale non dà una risposta, non riesce nemmeno a suggerirla tentativamente. Tutto il film è lo svolgimento della domanda del titolo, segnato, nella sua impossibilità di risposta cinematografica, da quel punto interrogativo finale.
Un Fassbinder ancora acerbo ma che, più ne "L'amore è più freddo della morte", forse il suo film degli inizi più conosciuto e apprezzato, riesce a tratteggiare uno stile e un contenuto comunicativo originalissimo e rigoroso, che ne segnerà, dove più dove meno, tutta l'opera
_________________ "Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate" |
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