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Autore De-Lovely
Pythoniana

Reg.: 06 Lug 2004
Messaggi: 1257
Da: Gorizia (GO)
Inviato: 20-10-2004 17:51  
In un vecchio teatro, vuoto ed immerso nella penombra, si svolgono le prove di un musical. Unico spettatore e vero protagonista dell'opera è il 70enne Cole Porter, uno dei maggiori compositori statunitensi del secolo scorso insieme a Irving Berlin e Burt Bacharach. Attraverso il dialogo tra il musicista e l’impresario dello spettacolo prendono vita i ricordi della vita di Porter, trascorsa tra la rutilante Parigi degli anni ’20 ed i successivi fasti americani, divisi tra Broadway ed Hollywood. Presenza inseparabile, al suo fianco, la moglie Linda, costante musa dell’artista e suo sostegno nel momento in cui un incidente a cavallo rischia di privare Porter dell’uso delle gambe. Le splendide canzoni composte dal geniale autore punteggiano il film e accompagnano lo spettatore lungo le vicende di un uomo dal carattere problematico ed immaturo, che forse solo nella sua musica trovò il vero senso della sua esistenza.

A prescindere dal giudizio che ognuno potrà dare al film, c’è sicuramente da riconoscere un certo coraggio ad Irwin Winkler, regista di un’operazione non priva di rischi, commerciali ed artistici. Questo perché, sebbene il musical, aggiornato in chiave post-moderna, stia riacquistando interesse grazie a titoli quali Moulin rouge o Chicago, va subito detto che De-Lovely si inserisce in un filone diverso, che fa capo piuttosto ad opere come il Chaplin di Attenborough. E se Cole Porter è patrimonio riconosciuto e collettivo nell’ambito della cultura Usa, lo stesso non si può dire della sua figura nel Vecchio Continente, eccezion fatta forse per il Regno Unito. Il film, poi, si situa a metà strada tra il biopic ed il musical, con i pregi e purtroppo anche i difetti dei due generi. Così, se l’ambientazione, per quanto stilisticamente un po’ retrò e cartolinesca (soprattutto nella prima parte, quella parigina e veneziana), ha comunque un suo fascino “ingenuo”, e questo anche grazie al fatto che un certo tipo di film e di scene ormai non si girano più (si vedano i duetti tra Kline/Porter e Judd/Lee nel parco parigino), la struttura classica del film biografico si fa notare in tutta la sua schematicità e consuetudine. Esordi spensierati, amore, successo, primi screzi, distacco, crisi professionale e sentimentale, dramma, riavvicinamento, dramma-bis, vecchiaia malinconica… Lo sviluppo fin troppo canonico non ci risparmia nulla, e se è forse vero che il finale collettivo può riportare un po’ d’allegria, la frase dell’impresario secondo cui un musical non può finire in tristezza non fa che ricordarci una volta di più quanto questo tipo di pellicole sia sottoposto a strette convenzioni narrative. Le stesse scene ambientate al presente, con i dialoghi tra Porter e l’impresario che fungono da didascalie di raccordo tra i vari flashback, rischiano di spezzare eccessivamente il ritmo: per fortuna Winkler le inserisce con sempre maggior parsimonia man mano che il film procede, lasciando piuttosto spazio alle canzoni che, soprattutto nella seconda metà dell’opera, fungono da efficace (anche se a volte fin troppo smaccato) controcanto alle vicende narrate. E proprio quello musicale, come prevedibile in un film di questo tipo, risulta alla fine l’elemento migliore. I brani di Porter vengono utilizzati anche per permettere brevi cameo ad una serie di star della musica contemporanea; i risultati sono alterni: possono non piacere come al contrario affascinare le esecuzioni affidate alle voci poco “educate” di Alanis Morrisette (Let’s do it) e Sheryl Crow (Begin the beguine), mentre è certamente al di sotto dello standard medio la Ev’rytime we say goodbye di Natalie Cole. Viceversa, le performance migliori sono probabilmente quelle di Robbie Williams (It’s de-lovely), di Elvis Costello (che da ex-punk interpreta ironicamente Let’s misbehave), e soprattutto della semisconosciuta (almeno da noi) Vivian Green, che consegna alla colonna sonora una splendida Love for sale. Tra gli attori, buonissima la prova di Kevin Kline, ottimamente invecchiato nelle scene più recenti e decisamente a suo agio in una parte “peterpanesca”; bellissima Ashley Judd, la cui interpretazione fa però sorgere il sospetto che l’ammontare del suo cachet fosse direttamente proporzionale al numero di smorfie e moine elargite a piene mani dall’inizio alla fine del film. In ombra i comprimari, ma quando, come in questo caso, la musica è la vera protagonista, ci può tranquillamente stare.
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"Riempi il tuo cranio di vino prima che si riempia di terra, disse Kayam." Nazim Hikmet

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