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"MILLENNIUM MAMBO" di Hou Hsiao-hsien |
Cronenberg
 Reg.: 02 Dic 2003 Messaggi: 2781 Da: GENOVA (GE)
| Inviato: 10-10-2004 19:24 |
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Con “Millennium Mambo”, ha inizio una supposta trilogia sulla gioventù del millennio nuovo, concepita dal Leone d’Oro, con “La città dolente” del 1989, Hou Hsiao-hsien. Il suo secondo film ottiene un Premio Speciale al Festival di Cannes 2001 per le migliori musiche, pulsante techno che fa muovere i giovani corpi nella muta simbiosi dell’odierna gioventù perduta, stessi corpi poi rarefatti nella droga e nell’alcool del nostro millennio, il terzo, non più quello mambo.
La m. d. p. segue, segugio di anime, Vicky, una ragazza, che cammina in un tunnel lampante di luci al neon, scende le scale, non si sa quale destino l’attenda, ma di certo il passato può esser ben rapportato a quello di altri come lei, segnato dal vuoto d’insulsi rapporti interpersonali e dal pieno beat delle discoteche, dove lavora solitamente come PR. È divisa tra due uomini, differenti solo nell’immagine, Hao-hao un DJ tossicomane perverso e violento, Jack un ricco criminale falso ed egocentrico. Non sa cosa fare della sua vita, trova “conforto” prima in uno poi nell’altro, fino a quando scopre un clima differente da quello Taiwanese, in un piccolo paese in Giappone dove trova una famiglia molto unita che, tra la neve e l’annuale festival cinematografico locale, gestisce onestamente un ristorante.
Nell’annata cinematografica scadente “Millennium Mambo” è il classico film indipendente che si distingue per forza di cose, un po’ per la tecnica davvero esemplare di usare il cinema come coscienza immaginifica e un po’ per aver ostentato egregiamente le problematiche e le aspettativa sociali dei giovani d’oggi. Il filologico andamento filmico del cinese Hsiao-hsien sfiora, senza apologetiche discriminazioni, vita discotecaria e fiducie mancanti nei giovani d’oggi, sottomessi al sistema globale che a ritmo frenetico impone mode musicali, stilistiche, narcotiche e sessuali, non lasciando scegliere altro ad essi, al di fuori dell’adattamento a un mondo a rovescio, con timbri techno, malleabili e impuri. E nel rendere tali sensazioni la tecnica è preziosissima, riveste una dissimulante fotografia e una delle musiche più belle della storia del cinema. Vicky, interpretata ottimamente da un attrice non professionista come del resto lo è tutto il cast, rivela la forma dell’essere giovani nel “millennio mambo”, concludere il tunnel nella rivelazione dell’aspettativa mancata, già disillusa da un recente passato di umiliazioni carnali e psicologiche. Finire poi nel paesino innevato in cui Vicky decide di stabilirsi dovrebbe farci ritrovare il nostro ormai liquido alter ego , e invece…
Che ne pensate di questo ottimo film? E dello stile di uno dei migliori registi cinesi del momento?
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Del resto, che cos’è la nostra realtà se non la percezione della realtà?
Brian O’Blivion in Videodrome
[ Questo messaggio è stato modificato da: Cronenberg il 10-10-2004 alle 19:29 ] |
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philipcat
 Reg.: 08 Feb 2004 Messaggi: 1372 Da: Roma (RM)
| Inviato: 13-10-2004 17:27 |
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E così, finalmente dissentiamo, Crone.
Non mi ha catturata neanche per un momento la narrazione delle vicende effimere di questi ragazzi neghittosi, asfittici, inerti, che si fumano la vita come una sigaretta e buttano la cicca nel cesso. Droga, alcool, fumo, inanità intellettuale e affettiva sono le caratteristiche di queste vite buttate in un vuoto ideologico, culturale e esistenziale.
Il tutto raccontato con uno stile che con molta buona volontà qualcuno si affanna a definire rarefatto e poetico ma che a me è parso più banalmente solo noioso. Sequenze interminabili, primi piani compiaciuti e privi di senso, la parola fine che non arriva mai.
La colonna sonora, sì. Unico punto a suo favore.
Una techno ossessiva, quando ovattata, quando pompata, a sottolineare maggiormente una carenza narrativa e concettuale.
Spero poi di aver travisato la metaforona del viaggio a Hokkaido: il bianco abbagliante della neve, simbolo di pulizia e innocenza contrapposto agli estenuanti notturni urbani squarciati dal neon di Taiwan?
La scoperta del festival locale, il cinema come simbolo di rinascita e speranza?
Mmh.
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Freedom's just another word for nothing left to lose.
[ Questo messaggio è stato modificato da: philipcat il 13-10-2004 alle 17:32 ] |
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Cronenberg
 Reg.: 02 Dic 2003 Messaggi: 2781 Da: GENOVA (GE)
| Inviato: 13-10-2004 17:53 |
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quote: In data 2004-10-13 17:27, philipcat scrive:
E così, finalmente dissentiamo, Crone.
Non mi ha catturata neanche per un momento la narrazione delle vicende effimere di questi ragazzi neghittosi, asfittici, inerti, che si fumano la vita come una sigaretta e buttano la cicca nel cesso. Droga, alcool, fumo, inanità intellettuale e affettiva sono le caratteristiche di queste vite buttate in un vuoto ideologico, culturale e esistenziale.
Il tutto raccontato con uno stile che con molta buona volontà qualcuno si affanna a definire rarefatto e poetico ma che a me è parso più banalmente solo noioso. Sequenze interminabili, primi piani compiaciuti e privi di senso, la parola fine che non arriva mai.
La colonna sonora, sì. Unico punto a suo favore.
Una techno ossessiva, quando ovattata, quando pompata, a sottolineare maggiormente una carenza narrativa e concettuale.
Spero poi di aver travisato la metaforona del viaggio a Hokkaido: il bianco abbagliante della neve, simbolo di pulizia e innocenza contrapposto agli estenuanti notturni urbani squarciati dal neon di Taiwan?
La scoperta del festival locale, il cinema come simbolo di rinascita e speranza?
Mmh.
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[ Questo messaggio è stato modificato da: philipcat il 13-10-2004 alle 17:32 ]
| Certo Phil, ci sono parecchi valori e concetti contrastanti nel film di Hsiao-hsien, chiaro-scuro, vita-morte, amore-odio, ecc. Ed essi rivestonono un pò come il festival cinematografico, tutti i 'tipi' di esseri viventi e oggetti che scelgono l'uno o l'altro, il silenzio o la techno, l'amore profondo o il sesso esplicito. La forza del film sta nel superficializzare per un facile intendimento giovanile, l'intellettuale concetto di queste parole, di questi concetti a molti oscuri, e da qui si ritorna ad una scelta iniziatica e interminabile, come la musica che pompa, si ferma, e ricomincia a pompare e i passi in un biancastro corridoio che paiono lascivi e irraggiungibnili. D'altronde anche l'obbiettivo di finire tutti i soldi che Vicky ha in banca prima che scelga il da farsi, mostra la volubilità e l'incertezza di un esistere precario, che attende pervendendo mete che difficilmente sa quando raggiungerà e se raggiungerà.
Finalmente dissentiamo
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Del resto, che cos’è la nostra realtà se non la percezione della realtà?
Brian O’Blivion in Videodrome
[ Questo messaggio è stato modificato da: Cronenberg il 13-10-2004 alle 17:57 ] |
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