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La casa dalle finestre che ridono |
Writer
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![](/forum/images/avatar/protagonista.gif) Reg.: 21 Set 2005 Messaggi: 59 Da: Italia (GE)
| Inviato: 19-10-2005 20:44 |
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Confesso di non aver visto il film di Fulci, ma "La casa dalle finestre che ridono" lo ricordo bene ... Con raccapriccio! Non perché mi fa schifo, anzi, ma perché mi ha fatto davvero paura!!! BRRRRRR!
_________________ "[...] Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza [...]" |
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8ghtBall
![](/forum/images/star_06a.gif) Reg.: 04 Feb 2004 Messaggi: 6807 Da: Cesena (FO)
| Inviato: 19-10-2005 21:33 |
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Richmondo
![](/forum/images/star_06a.gif) Reg.: 04 Feb 2008 Messaggi: 2533 Da: Genova (GE)
| Inviato: 17-03-2008 10:24 |
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La casa dalle finestre che ridono (1976) è uno degli horror meglio realizzati in Italia e, ragionando su Il nascondiglio (dello stesso regista) è anche la sua premessa, se non da un punto di vista prettamente narrativo, quanto meno con riguardo alle tematiche di fondo e all'impronta stilistica, soprattutto se si pensa che l'idea originale era quella di ambientarlo negli Stati Uniti, proprio come l'ultimo e sopracitato film di Avati.
Un restauratore di quadri (L. Capolicchio) viene chiamato dal sindaco di un piccolo comune della capagna ferrarese a restaurare il dipinto di un pittore celebre nella provincia romagnola, tal Buono Legnani, sopraominato dai suoi compaesani "pittore delle agonie" per la sua inclinazione a dipingere con particolare partecipazione emotiva soggetti che si avvicinano alla morte. Inizialmente ostacolato da misterosi personaggi che si nascondono e tramano nell'ombra, ma anche dall'omertà della piccola comunità che lo ospita, il restauratore si troverà invischiato in una serie di eventi sanguinosi, raccapriccianti, fino a giungere ad una verità orribile.
La capacità visionaria di Avati, nello sfalsare la realtà che si percepisce da quella che realmente è, smontando le apparenze e sovvertendo i logici meccanismi dell'intelletto umano che portano a filtrare gli eventi con l'alone del mistero, fa di lu uno dei migliori registi in Italia. In questo film è evidente una tendenza al gotico, talvolta al supramento dei confini dell'esilarante, dell'assurdo, ma sempre volutamente violati, nella perfetta direzione degli attori, scelti accuratamente fra le maschere di una bassa padana che non può che crescere dei piccoli mostri da museo delle cere (o peggio, da baraccone), citando Fellini negli approdi dal Mondo esterno al "suo universo" di spettri e folletti dell'immaginazione, caricaturati e ricalcati nei tratti somatici come basso rilievi su un fondo di foglie morte. Per farlo si serve di quel "provincialismo" ripreso forse da Fulci, ma anche da Fellini, il qale scava molto di più, con la mdp, nell'umus, nel sottosuolo delle sue provincie eterogenee, variopinte. Una volta Fellini disse: Ma non vi rendete conto che basta andare in metropolitana per vedere delle cose incredibili? Ecco, la sua stravaganza, anche provinciale, che lo porta a deviare i suoi percorsi dal realismo alla finzione che ha il gusto quasi per il patetico o l'istrionismo più esasperato anche nelle situazioni più banali (metafora perfetta in Lo sceicco bianco ), deriva proprio dal ricavare queste qualità negli attori proprio dalla quotidianità urbana, rurale, più spesso provinciale.
Credo che da questo punto di vista Avati non gli possa invidiare nulla. Mi viene in mente la stupenda inquadratura che, di sbieco, vede in soggettiva il restauratore di quadri, in apertura del film, approdare col battello sulle rive del paesino assolato della campagna ferrarese, con il sindaco nano, affiancato dal Coppola, che lo attende, vicino ad un'antica automobile rossa. Ripresa felliniana al cento per cento, che mette le mani avanti sul valore alto della sua opera, sulla capacità di intravedere nell'anormalità, nella composizione di qualcosa che suona perfetto nei ruoli, ma che invece stona nelle connotazioni sociali, un'ambiguità che predispone fin da subito al dubbio, all'incertezza di cui tutto il film è permeato, all'altrnarsi di sentimenti ilari e malinconici, divertiti e sofferti, stupiti ed al tempo stesso atterriti.
Lo stesso dario Argento ha sfruttato il provincialismo in quello che tutt'oggi rimane il suo film migliore: Profondo rosso che, guarda caso, rifugge ogni ambientazione monumentale, rilevante, per ricreare una location che sia data dalla commistione di due città esistenti nella raltà, fuse e rese inquietanti proprio dalla mancata connotazione geografica o politica (un provincialismo che vuole episodi di cruda violenza sparsi da qualche parte nel Mondo) e visibili solo in quella dimensione periferica (e quindi provinciale) che è la paura che risiede ai confini dell'inconscio. Ecco che cosa significa, per me, il provincialismo nell'horror italiano: lo stato di borderline che ristagna nel nostro Io, il terrore di varcare i confini di luoghi sconosciuti, dimenticati e dove le regole morali sono dettate da eterni conflitti eterei, evanescenti e che non si configurano se non in eventuali caratterizzazioni fisiche deformanti, stralunate: un manicheismo che sconfina, poi, anche in altri generi e che diviene poetica di molto Cinema italiano.
E Avati prosegue a ricreare le sue atmosfere nere, di humor snguinolento, che un momento ti suscitano il sorriso, e subito dopo ti atterriscono per la loro stravagante terrificanza, avanzando nell'amplificazione di quel senso per il putrido e l'acquitrinoso, il fermento di germi ed organismi palustri in una società che sussurra e non parla, che preserva nel suo ristagnare i segreti di una casta protetta, interrata, sepolta ed in eterno equilibrio fra la vita e la morte, fra la razionalità e l'irrazionalità.
E le visioni, le inquadrature negli interni mostrano scorci filtrati da un stanza all'altra, toni scuri in contrasto col pallore assolato delle riprese in esterni, vivide sensazioni di umido, finto, barocco.....gotico. Ogni personaggio ha la sua importanza, ma quello meglio rappresentato è il Coppola, interpretato da un ottimo Gianni Cavina (fra l'altro anche co-sceneggiatore del film, insieme a Maurizio Costanzo ed Antonio Avati), spontaneo e paesano ruspante, grezzo ma genuino come nessun altro nella piccola realtà romagnola raffigurata in quest'opera sa essere.
Il dramma del singolo, sconfitto di fronte alle cospirazioni di una società marcescente, è il tema centrale dell'opera di Avati, che ritoverà poi ne Il nascondiglio (2007) e che rimarrà l'argomento che questo regista saprà tattare meglio, tramite l'utilizzo di un "Cinema della paura". L'effetto davvero curioso, infatti, è proprio questo: La casa dalle finestre che ridono fa paura, per la sua ambiguità, la capacità di lasciare sospeso il senso narrativo (un finale con autentico colpo di scena) e quello morale, sfruttando il volto stravagante, un po' buffonescamente irriverente, un po' orribilmente spiazzante, della morte come specchio di una follia collettiva, difficile da cogliere nell'immediato, forse impossibile da evitare di subire.
Pubblicato anche qui .
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L'amico Fritz diceva che un film che ha bisogno di essere commentato, non è un buon film . Forse, nella sua somma chiaroveggenza, gli erano apparsi in sogno i miei post.
[ Questo messaggio è stato modificato da: Richmondo il 17-03-2008 alle 10:42 ] |
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Cecco81
![](/forum/images/star_02a.gif) Reg.: 16 Mar 2008 Messaggi: 11 Da: Monteriggioni (SI)
| Inviato: 17-03-2008 12:01 |
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Lo guarderò appena possibilie. ![](/forum/images/smiles/icon_smile.gif) |
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AlZayd
![](/forum/images/star_06a.gif) Reg.: 30 Ott 2003 Messaggi: 8160 Da: roma (RM)
| Inviato: 17-03-2008 22:34 |
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Grande film, tra i migliori del genere, di ogni tempo e paese. Lo rivedo di tanto in tanto, molto volentieri, e provo sempre quell'inquietudine nei ritrovati archetipi della multistratica tradizione "favolistica" popolare, riscontrabili anche in culture diverse dalla nostra.
La paura nasce dall'inconscio e si misura con le cose apparentemente "normali" della vita, con i suoi insospettati piccoli grandi orrori, nel divenire e nei ristagni dell'azione quotidiana. L'effetto speciale è la stessa luce degli ameni luoghi minacciati da ombre sinistre; è la natura rassicurante, motivo anzi di lavoro e fonte di sostentamento, che si trasforma all'improvviso in "presenza" minacciosa, in incubo, follia, terrore, malattia, assente ogni elemento soprannaturale e metafisico.
Ma ha già detto bene e meglio Richmondo, aggiungo che questo film, come il vino buono, più passa il tempo e più diventa saporoso.
I "fantasmi" siamo noi, sono in noi, come avviene nei primi film gotici di Avati, nei successivi Zeder e L'arcano incantatore, nell'ultimo, non del tutto riuscito (ma vorrei rivederlo), Il nascondiglio. |
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Argentiana
![](/forum/images/star_01a.gif) Reg.: 14 Ago 2006 Messaggi: 4 Da: Roma (RM)
| Inviato: 17-03-2008 22:52 |
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Quanto amo questo film . Forse anche più di Zeder |
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Langford
![](/forum/images/star_01a.gif) Reg.: 18 Mar 2008 Messaggi: 4 Da: Castel di Sangro (AQ)
| Inviato: 18-03-2008 18:19 |
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Ottima prova di Avati, che quando vuole sa essere un ottimo artigiano. |
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utopia
![](/forum/images/star_modx.gif)
![](/forum/images/avatar/moderatore.gif) Reg.: 29 Mag 2004 Messaggi: 14557 Da: Smaramaust (NA)
| Inviato: 18-03-2008 19:25 |
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Mi pare lo scrissi in spoiler, ma è e resterà il film che mi ha più terrificata.
Altro che the ring ed esorcista, tzè
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