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Basta che funzioni |
sandrix81
![](/forum/images/star_modx.gif) Reg.: 20 Feb 2004 Messaggi: 29115 Da: San Giovanni Teatino (CH)
| Inviato: 20-10-2009 15:11 |
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LA COSCIENZA SPORCA DI WOODY ALLEN
Nel primo impatto con l’ultima opera di Woody Allen, c’è stato un aspetto – certo non marginale – del film che non solo non mi ha convinto in sé, ma ha frenato il mio entusiasmo nei confronti dell’intera pellicola: parlo del fatto che non ci fosse, dall’altra parte della macchina da presa, lo stesso Allen ad interpretare uno (l’ennesimo) dei tanti lati della propria personalità, ma un altro comico, pur bravo, che ne facesse l’imitazione per tutta la durata del film. Non è che volessi Allen sullo schermo per un bisogno puramente feticistico di assaporare il più possibile anche la fisicità di quello che considero un genio; il disagio che ho provato fondava le proprie motivazioni nel fatto che, come detto, la recitazione di Larry David sia qui totalmente impostata su una pura imitazione del personaggio sempre interpretato dal regista: dice le (stesse) battute allo stesso modo e con la stessa cadenza, ha le stesse espressioni facciali e le stesse smorfie, si muove nella scena allo stesso modo (zoppìa a parte), e così via. Il film ne viene fuori con un carattere un po’ alieno ed alienante, in contrasto con il più o meno deformato realismo autobiografico del cinema autoterapeutico a cui Allen ci ha abituati rendendoci suoi devoti fedeli.
L’idea che in un primissimo momento mi ero fatto, era che Allen avesse scritto una sceneggiatura molto più cattiva e rancorosa del solito, e provasse una qualche forma di disagio nell’andare a riversare il suo livore sullo schermo in maniera stavolta così diretta e così schietta verso i destinatari.
In realtà, era giusto il ragionamento, ma avevo mancato il punto di vista. È senz’altro vero che nella ricetta di questo script ci sia molta più acredine esplicita del solito, ma non è così per caso (nonostante anche qui, come in Matchpoint e nei successivi film europei, si disquisisca dell’importanza del medesimo).
Quella di Allen è una scelta assolutamente coerente con il suo modo di fare cinema e che trova la propria valenza nello spirito stesso con cui Basta che funzioni è stato pensato ed architettato. Il fatto è che, in Basta che funzioni, Allen si prende in giro più del solito, ponendo al centro della scena un personaggio che non è la solita effigie di sé stesso, ma la rappresentazione di una sorta di lato cattivo della sua coscienza. Un po’ come quando, nei cartoon, a fianco del personaggio che deve compiere una scelta, appaiono il suo lato buono e quello cattivo prendendo le sembianze di angelo e diavolo.
Boris Yellnikoff è il diavoletto interiore di Woody Allen, gli assomiglia ma ha le corna, la coda, e il forcone in mano. Afferma subito di non essere simpatico (mentre lo sappiamo tutti che Allen lo è e sa di esserlo, o non si sarebbe messo direttamente in scena in una quarantina di commedie), sputa fuori la rabbia repressa, se la prende senza mezzi termini con tutto e tutto, con gli stupidi, gli ignoranti e gli intellettuali, con i bambini, i giovani e gli adulti, con i religiosi e con dio, con le donne e con gli uomini, e soprattutto con la vita e con l’essere umano a tutto campo (“una specie fallita”, uno schifoso codardo e miope verme, e tutti gli altri insulti possibili offerti dal linguaggio, a quattro o cinque alla volta). Ci chiede perché vogliamo ascoltare la sua storia: non ci conosciamo, non ha motivi né voglia di raccontarcela, e in ogni caso essendo quello che siamo non ne impareremmo nulla. E soprattutto, è talmente egocentrico e pieno di sé da porsi come unica eccezione alla norma. È l’unico “genio” di cui nel film si abbia traccia, eppure quel nobel che dovrebbe dimostrarne la superiorità non l’ha neanche vinto, lui è stato “solo” preso in considerazione (dunque c’è chi è “più genio” di lui); è l’unico a sapere tutto eppure nel film non fa niente (sembra quasi diventato, come prevedeva l’Alvy Singer di Io & Annie, “uno di quelli che spandono i filini di bava dalla bocca e che vagano per i mercatini con la borsa della spesa, sbraitando contro il socialismo”); e, ci tiene a ribadirlo in continuazione, è l’unico ad avere “una perfetta visione d’insieme”. In questo senso, dal punto di vista filmico Basta che funzioni presenta una delle prese di posizione più forti dell’intera filmografia di Allen: la scelta di rompere il distacco tra spettatori e finzione non con l’espediente teatrale di avvicinare l’attore al pubblico facendolo uscire dalla scena (come all’inizio dello stesso Io & Annie, ad esempio), bensì, al contrario, convocando gli spettatori all’interno della finzione e della scena stessa. In questo modo, Allen crea un rapporto empatico privilegiato tra noi e il suo protagonista (siamo gli unici a credere a Boris quando dice ai suoi amici che un gruppo di persone li stanno guardando; gli crediamo perché sappiamo di esserci, anche se la totale assenza di controcampi quando lui parla verso la macchina da presa fa dubitare persino noi della nostra stessa presenza), consegnando allo spettatore le chiavi dell’unica vera possibile visione d’insieme.
Boris è l’unico ad avere la visione d’insieme, dunque (o forse l’unico a credere che ce ne sia una). Eppure – anche qui c’è un eppure – finisce esattamente come tutti gli altri personaggi della vicenda: felicemente (almeno finché funzionerà) accoppiato, a festeggiare il capodanno con gli amici. Finita l’ultima predica rivolta direttamente a noi spettatori, rientra nel gruppo a scambiarsi abbracci e baci di auguri, a prendersi quel poco di gioia che questo triste universo gli riserva, a vivere la sua vita.
Come a dire, “va bene, vi ho concesso un po’ di me, del mio tempo e della mia infinita saggezza, ma ora devo andare”.
«I must be going», canta Groucho Marx sui titoli di testa.
http://www.positifcinema.com/bastachefunzioni.htm
_________________ Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina. |
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Skizotrois
![](/forum/images/star_04a.gif) Reg.: 12 Nov 2007 Messaggi: 275 Da: Aosta (AO)
| Inviato: 22-10-2009 21:32 |
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Woody Allen ritorna a Manhattan per una storia che aveva in cantiere fin dagli anni 80, il fisico intellettuale ebreo con tendenze suicide Larry David (comico americano che ben si adatta ai tic e alle nevrosi del regista) vede piombarsi in casa la ventiduenne provinciale, bella quanto sprovveduta Evan Rachel Wood, che rischia di essere fagocitata dalla grande mela. Il loro incontro cambierà i loro destini ma anche quelli delle persone a loro vicine. Dal cinismo senza speranza di Match Point e Sogni e Delitti si passa ad un misantropismo lucido che sfocia soprrendentemente in un piccolo segnale di speranza. Pur nel buio di un agnosticismo ormai granitico, pur nella certezza della volubilità dei sentimenti e della insensatezza della gran parte delle vicende umane, Woody Allen lascia al Caso il potere di rimescolare le carte e riuscire a ristabilire un senso e un equilibrio delle nostre esistenze. L'importante è non soffocare la nostra natura assecondando l'ipocrisia e la menzogna: essere sinceri prima di tutto con sé stessi per potere essere sereni nel rapporto con gli altri. Così accettare la propria natura omosessuale o la dirompente ninfomania (nascoste dentro i falsi simulacri di una famiglia media americana alla Revolutionary Road, tutta casa chiesa e bigottismo) significa fondamentalmente fare pace con le proprie pulsioni e ritornare a quello stato di felicità perduta nel rancore di vite vissute passivamente e sogni lasciati andare a male. Insomma “basta che funzioni” e basta non farsi del male, essendo coscienti della responsabilità che si ha sulle vite altrui, soprattutto se di un altra età ed estrazione.
Allen si trova a suo agio quando disegna il suo alter ego contrapponendolo a una persona molto più giovane di lui: che sia la Mira Sorvino di La Dea dell'amore o il Jason Biggs di Anything Else, la Scarlett Johansson di Scoop o la Mariel Hemingway di Manhattan, nel contrasto tra la maturità disincantata dell'intellettuale e l'ingenuità disarmante di una fanciulla che si sta appena affacciando alla vita, Allen tira fuori dei dialoghi scoppiettanti con una serie di battute fulminanti, ma mai fini a sé stesse (come a volte è capitato nella filmografia precedente). In questo Larry David dà una prova molto convincente, supportata anche da una fisicità più imponente rispetto a quella di Woody. La sua crudeltà (al limite della ferocia) verso quei poveri bambini suoi allievi nel gioco degli scacchi, nasconde il risentimento verso una umanità che procede per clichè e luoghi comuni, bruciando le reali aspirazioni dell'individuo ed il talento naturale, con genitori psicopatici che costringno i loro figli ad indossare le proprie frustrazioni. Insomma direbbe Dante “Ma voi torcete a la religïone
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone; onde la traccia vostra è fuor di strada».
Tenuto conto del ritmo prolifico cui ci è abituati (un film all'anno), quest'ultima prova si mantiene su buoni livelli qualitativi, soddisfacendo anche i palati più esigenti. Certo non siamo dalle parti di Manhattan o di Crimini e Misfatti, di Zelig o di Match Point, ma proprio in questo film Woody Allen sembra manifestare quella consapevolezza dei propri mezzi che si raggiunge solo in tarda età. Insieme alla certezza di possedere quella visione di insieme che manca quasi inevitabilmente alla gente comune (e che è causa di tanti inutili sofferenze). E questa dote, più delle altre, fa di lui un Genio.
_________________ "Saremmo voluti rimanere nella spensieratezza della nostra età, ma la vita ci fece crescere in fretta" |
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DeadSwan
![](/forum/images/star_06a.gif) Reg.: 05 Apr 2008 Messaggi: 1478 Da: Desda (es)
| Inviato: 17-01-2010 22:30 |
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Appena finito di vedere "Basta che funzioni"
quote: In data 2009-10-20 15:11, sandrix81 scrive:
In questo senso, dal punto di vista filmico Basta che funzioni presenta una delle prese di posizione più forti dell’intera filmografia di Allen: la scelta di rompere il distacco tra spettatori e finzione non con l’espediente teatrale di avvicinare l’attore al pubblico facendolo uscire dalla scena (come all’inizio dello stesso Io & Annie, ad esempio), bensì, al contrario, convocando gli spettatori all’interno della finzione e della scena stessa. In questo modo, Allen crea un rapporto empatico privilegiato tra noi e il suo protagonista (siamo gli unici a credere a Boris quando dice ai suoi amici che un gruppo di persone li stanno guardando; gli crediamo perché sappiamo di esserci, anche se la totale assenza di controcampi quando lui parla verso la macchina da presa fa dubitare persino noi della nostra stessa presenza), consegnando allo spettatore le chiavi dell’unica vera possibile visione d’insieme.
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Quanto scritto sopra è la parte più originale del film, una buonissima idea che poteva essere inserito in tutt'altro contesto, poteva essere fatta crescere fino a formare il nucleo del film. Allen la "spreca" per una gag, ma bene così: adoro il dispendio che fa di buone trovate, invece di costruirci sopra dei gran viaggi, come molti altri registi, le elargisce quasi incurantemente all'interno di film che a volte non ne sono neppure all'altezza, come se ne avesse una scorta inesauribile (il che sembra essere vero); e come se in fondo non valesse la pena di trattare seriosamente e approfondire ogni scampolo di filosofia (il che è encomiabile).
A parte questo, la sceneggiatura (che è ciò che conta in quest'opera) è una buona postilla all'Allen classico (mi risulta che risalga agli anni '70), e le battute sono tra le migliori sue da molti anni a questa parte. Niente di nuovo sotto il sole, ma il tepore è piacevole.
(Troppe parentesi)
_________________ Dresda, Sassonia, Germania
Se non riesci ad uscire dal tunnel, almeno arredalo |
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FraMex
![](/forum/images/star_01a.gif) Reg.: 15 Gen 2010 Messaggi: 5 Da: milano (MI)
| Inviato: 23-01-2010 15:37 |
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Ciao a tutti!io sono un grande appassionato del primo Woody(fino a Manhattan),e trovo che Basta Che Funzioni sia proprio un brutto film. Non vi ho trovato battute nè situazioni divertenti,e a differenza di molti considero Larry David un interprete troppo freddo e antipatico. Mentre Scoop(tra gli ultimi film)non mi è dispiaciuto,un filmettino leggero leggero ma gradevole,questo mi ha proprio irritato,e soprattutto non capisco come sia possibile paragonarlo al"vecchio stile"di Allen,perchè,a mio avviso,non ha la forza comica dirompente dei primissimi e straordinari film,nè quella profondità di pensiero di opere un pò più "sofisticate",da Io e Annie a Zelig passando proprio per Manhattan. Insomma,secondo me nè carne nè pesce,proprio per niente |
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Tenenbaum
![](/forum/images/star_06a.gif) Reg.: 29 Dic 2003 Messaggi: 10848 Da: cagliari (CA)
| Inviato: 25-01-2010 20:34 |
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quote: In data 2010-01-23 15:37, FraMex scrive:
Ciao a tutti!io sono un grande appassionato del primo Woody(fino a Manhattan),
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certo che ti sei fermato presto
_________________ For relaxing times make it Suntory time |
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quentin84
![](/forum/images/star_06a.gif) Reg.: 20 Lug 2006 Messaggi: 3011 Da: agliana (PT)
| Inviato: 14-02-2010 14:05 |
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L'ho visto l'altro ieri e quoto Sandrix e Skizo. Woody è sempre Woody. Può darsi che abbia ricamato sul già detto (qui con un surplus di cattiveria), ma ricama splendidamente. |
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