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Autore The eternal sunshine of the spotless mind
Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 12-11-2004 01:13  
Beh questo è un film per cui la strutturazione, la segmentazione per sequenze e sotto sequenze, risultrebbe abbastanza inutile. Forse farebbe divertire, perchè l'analisi tecnica e oggettiva aiuta sempre a "vedere" meglio un film, come dall'esterno, dall'alto, senza l'afflato emotivo che questo ha provocato (ES poi ancora di più) ma comunque resta un'impresa sicuramente ardua e sfiancante.
L'esempio migliore per capire quanto questo film sfugga i normali 'approcci grammatticali' è proprio la sequenza appena citata del dialogo tra Joel e gli amici, a casa loro.
Joel racconta dell'incontro con Clem nella libreria, non mi ricordo come il flashback inizi, però mi ricordo benissimo come finisce.
Dopo la lite, Clem non lo riconosce e si bacia con Frodo, Joel si allontana per uscire dalla libreria.
La macchina si muove all'indietro a contenere Jim, supera una porta (che noi crediamo l'uscita) e ci ritroviamo in casa degli amici da dove il flashback era partito. Jim Carrey si siede sulle scale.
Il passaggio del tempo è quindi rappresentato non attraverso un segno di interpunzione come una dissolvenza o uno stacco netto, ma attraverso un movimento di macchina che collega due spazi discontinui e due tempi differenti.
Mano a mano che carrey si allontana dalla Winslet, le luci della libreria si spengono, ovviamente questo 'aiuta' (come una dissolvenza in nero) a sopportare il passaggio del tempo, ma anche dello spazio, però, perchè un secondo prima, quella che adesso è una stanza non illuminata all'interno della casa, era la libreria...
Il tempo non ha forma in questo film, non è strutturato per sequenze nette, ma si addensa nelle scenografie collegate dalla macchina da presa. E’ forse questo abbattimento della rigidità della compartimentazione, che di solito nei film è arbitraria e ‘innaturale’, ad avvicinare questa opera ad un flusso di coscienza e quindi a renderlo quasi un costrutto del pensiero e quindi riconoscibile e ‘facilmente’, ma forse sarebbe meglio dire naturalmente, fruibile…
Joooo Rait!

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Ti cerco perché sei la disfunzione, la macchia sporca, la mia distrazione, la superficie liscia delle cose, la pace armata, la mia ostinazione.


[ Minchia se sono bello! ]

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 12-11-2004 alle 01:16 ]

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83Alo83

Reg.: 26 Mag 2002
Messaggi: 16507
Da: Palermo (PA)
Inviato: 12-11-2004 09:48  
quote:
In data 2004-11-12 01:13, Tristam scrive:
La macchina si muove all'indietro a contenere Jim, supera una porta (che noi crediamo l'uscita) e ci ritroviamo in casa degli amici da dove il flashback era partito. Jim Carrey si siede sulle scale.
Il passaggio del tempo è quindi rappresentato non attraverso un segno di interpunzione come una dissolvenza o uno stacco netto, ma attraverso un movimento di macchina che collega due spazi discontinui e due tempi differenti.


già, avevo dimenticato quella scena. è un'ottima trovata, e concordo con quanto detto da te in seguito, aiuta chiaramente una visione della realtà filmica come percorso mentale, nella sua atemporalità. la scenografia è la mente, l'evolversi della trama un flusso di coscienza.

quote:
In data 2004-11-12 01:13, Tristam scrive:
[ Minchia se sono bello! ]


adesso non esagerare però.
_________________
Mi contraddico, forse?
Ebbene mi contraddico, ma sono vasto, contengo moltitudini.

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leonessa

Reg.: 09 Ago 2002
Messaggi: 5315
Da: Abbiategrasso (MI)
Inviato: 12-11-2004 20:28  
Un film che non vive nel passato, nel presente e neppure nel futuro ma vive nella mente. Un film che non può essere dimenticato ma che rimane dentro di te come parte essenziale di te. Un film che non puoi amare nè odiare: lo ami e lo odi allo stesso tempo. Un film in cui ti ci riconosci, in cui guardi lo specchio e vedi riflesso te stesso, chi sei e ciò che diventerai. Un film da afferrare come messaggio d'amore infinito. Se ami sei destinato. Se ami non dimentichi. Se ami nulla può frapporsi tra te e l'amato. Se ami ti assumi un rischio che vale la pena di correre in qualsiasi caso.
Voglio rivede questo film, voglio amare con la stessa fame di Joel, voglio essere amata con la stessa intensità di Clem, voglio VIVERE.

1bix8

P.S. Mi scuso, + che una recensione o un commento era una riflessione...
_________________
I'm impossible to forget but hard to remember

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Agnottella

Reg.: 09 Dic 2003
Messaggi: 12
Da: Milano (MI)
Inviato: 14-11-2004 11:46  
Mi sento libera di scrivere su questo film senza dover specificare nomi di attori e personaggi, come quando uno ricorda le sensazioni di un sogno, ma non associa più un identificativo preciso a cose e persone. D’altronde, ho avuto l’impressione che il film sia stato costruito un po’ come un sogno. Credo, allora, di poter continuare anche a indicarlo con “questo film”, evitando così la fastidiosa rititolazione italiana, che forse mirava, ingiustamente a mio modesto avviso, ad avvicinarlo, nell’immaginario degli spettatori, ad altre recenti e più leggere pellicole.
Un sogno, dunque, in cui, in mezzo a quella realtà mai statica, mai salda da macchina a mano che fa sentire a tratti insicuri, alcuni elementi, insinuatisi in modo quasi subliminale, sembrano affiorare insistenti, diventando capisaldi di un messaggio.
I miei pensieri tornano su quei particolari.
Mi torna in mente uno “sfacelo azzurro”, che diventa sfondo dei momenti di disperazione, di apparente disgregazione della personalità appunto, per colui che ricorda o piange in solitudine un amore perso.
Ricordo pure che la parola “amore” ricorre raramente, ma significativamente, nei dialoghi di un film che si propone come contraltare crudo per quell’idea che, spesso pubblicizzata, spesso alla base dei “sanvalentinismi” quotidiani o delle vignette “Love is...” (se ne vede una stampata su una maglietta, azzurra pure quella) e per tutti scontata, risulta invece vuota, fuorviante, indefinibile proprio perché associata a qualcosa di inesistente, come tutti i termini di comodo, come tutte le idee presuntuosamente definitive. Come la felicità, anche l’amore viene convenzionalmente ed erroneamente associato a termini come “assoluto”, “eterno”, “perfetto”.
Disillusione. Assisto a vicende umane presentate con realismo e, come dicevo, in modo piuttosto crudo. Ma il tutto non risulta triste e anzi, almeno per quanto mi riguarda, finalmente rassicurante: la tinta unica lascia spazio alla policromia; il sogno alla realtà, la razionalità alla spontaneità... spontaneità... mi pare anche di ricordare che la mancanza di spontaneità sia associata, guarda caso, ad un uomo. Nessuna ti chiede di “cercare di essere carino”; nessuna sta lì per “completarti o ridarti la vita” o, almeno, il compito non è uni-verso. Se ti chiedo “come si chiama la tua ragazza?”, è un nome che mi aspetto in risposta, non una spiegazione: quella la scovo da sola nei tuoi occhi.
“Ti amo tantissimo”, “Ti amo da tantissimo tempo”. Due frasi diverse, due ricettori diversi, due diverse situazioni e due emettitori diversi, ma allo stesso modo imbarazzanti. Un ragazzo e una ragazza. Ad accomunarli, l’ingenuità e, forse, la volgarità di chi pensa di schematizzare il sentire umano. Una superficialità criticata, esposta e sottolineata da una parte dal suono lontano, falso di una segreteria telefonica, dall’altro dal desiderio di fare colpo snocciolando citazioni, facili “culturalismi” preconfezionati. Per inciso, ammetto che non sapevo cosa avesse ispirato il titolo (originale) ed è stato piacevole scoprire che, nonostante ciò, quel momento del film mi sia rimasto subito impresso.
A chiarire le idee e a diradare il miraggio, arriva la saggezza di chi comprende che ciò che solitamente consideriamo eterno è invece fugace, ciò che è assoluto è invece relativo, ciò che vorremmo perfetto è spesso bello proprio perché imperfetto. La bellezza starà nel buttarcisi comunque, nel viverla tutta: gli alti saranno così altissimi, i bassi bassissimi e i colori ci saranno tutti, come nel bianco totale che chiude la pellicola.
Spero di non essere stata troppo logica e coerente. Spero d’aver giustamente sopravvalutato la sabbia.

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MaratSafin

Reg.: 17 Ott 2004
Messaggi: 831
Da: trafalmadore (CO)
Inviato: 14-11-2004 17:05  
quote:
In data 2004-11-14 11:46, Agnottella scrive:
Mi sento libera di scrivere su questo film senza dover specificare nomi di attori e personaggi, come quando uno ricorda le sensazioni di un sogno, ma non associa più un identificativo preciso a cose e persone. D’altronde, ho avuto l’impressione che il film sia stato costruito un po’ come un sogno. Credo, allora, di poter continuare anche a indicarlo con “questo film”, evitando così la fastidiosa rititolazione italiana, che forse mirava, ingiustamente a mio modesto avviso, ad avvicinarlo, nell’immaginario degli spettatori, ad altre recenti e più leggere pellicole.
Un sogno, dunque, in cui, in mezzo a quella realtà mai statica, mai salda da macchina a mano che fa sentire a tratti insicuri, alcuni elementi, insinuatisi in modo quasi subliminale, sembrano affiorare insistenti, diventando capisaldi di un messaggio.
I miei pensieri tornano su quei particolari.
Mi torna in mente uno “sfacelo azzurro”, che diventa sfondo dei momenti di disperazione, di apparente disgregazione della personalità appunto, per colui che ricorda o piange in solitudine un amore perso.
Ricordo pure che la parola “amore” ricorre raramente, ma significativamente, nei dialoghi di un film che si propone come contraltare crudo per quell’idea che, spesso pubblicizzata, spesso alla base dei “sanvalentinismi” quotidiani o delle vignette “Love is...” (se ne vede una stampata su una maglietta, azzurra pure quella) e per tutti scontata, risulta invece vuota, fuorviante, indefinibile proprio perché associata a qualcosa di inesistente, come tutti i termini di comodo, come tutte le idee presuntuosamente definitive. Come la felicità, anche l’amore viene convenzionalmente ed erroneamente associato a termini come “assoluto”, “eterno”, “perfetto”.
Disillusione. Assisto a vicende umane presentate con realismo e, come dicevo, in modo piuttosto crudo. Ma il tutto non risulta triste e anzi, almeno per quanto mi riguarda, finalmente rassicurante: la tinta unica lascia spazio alla policromia; il sogno alla realtà, la razionalità alla spontaneità... spontaneità... mi pare anche di ricordare che la mancanza di spontaneità sia associata, guarda caso, ad un uomo. Nessuna ti chiede di “cercare di essere carino”; nessuna sta lì per “completarti o ridarti la vita” o, almeno, il compito non è uni-verso. Se ti chiedo “come si chiama la tua ragazza?”, è un nome che mi aspetto in risposta, non una spiegazione: quella la scovo da sola nei tuoi occhi.
“Ti amo tantissimo”, “Ti amo da tantissimo tempo”. Due frasi diverse, due ricettori diversi, due diverse situazioni e due emettitori diversi, ma allo stesso modo imbarazzanti. Un ragazzo e una ragazza. Ad accomunarli, l’ingenuità e, forse, la volgarità di chi pensa di schematizzare il sentire umano. Una superficialità criticata, esposta e sottolineata da una parte dal suono lontano, falso di una segreteria telefonica, dall’altro dal desiderio di fare colpo snocciolando citazioni, facili “culturalismi” preconfezionati. Per inciso, ammetto che non sapevo cosa avesse ispirato il titolo (originale) ed è stato piacevole scoprire che, nonostante ciò, quel momento del film mi sia rimasto subito impresso.
A chiarire le idee e a diradare il miraggio, arriva la saggezza di chi comprende che ciò che solitamente consideriamo eterno è invece fugace, ciò che è assoluto è invece relativo, ciò che vorremmo perfetto è spesso bello proprio perché imperfetto. La bellezza starà nel buttarcisi comunque, nel viverla tutta: gli alti saranno così altissimi, i bassi bassissimi e i colori ci saranno tutti, come nel bianco totale che chiude la pellicola.
Spero di non essere stata troppo logica e coerente. Spero d’aver giustamente sopravvalutato la sabbia.



Mi rendo conto di esser l'unico ad aver trovato questo film tutto meno che un inno all'amore.

A questo punto quello che ho scritto vale solo per me. Non che prima.

E non che cambi molto, eh.
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Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
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Da: roma (RM)
Inviato: 14-11-2004 17:44  
ma no, ma no. Siamo in due
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83Alo83

Reg.: 26 Mag 2002
Messaggi: 16507
Da: Palermo (PA)
Inviato: 14-11-2004 20:13  
quote:
In data 2004-11-14 17:05, MaratSafin scrive:

Mi rendo conto di esser l'unico ad aver trovato questo film tutto meno che un inno all'amore.


a me sembra esattamente l'opposto, che non sia un inno all'amore mi sembra evidente, per tutti o quasi. nessuna relazione con la qualità del film comunque.
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Mi contraddico, forse?
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Agnottella

Reg.: 09 Dic 2003
Messaggi: 12
Da: Milano (MI)
Inviato: 15-11-2004 07:08  
Nel mio commento precedente non intendevo dire che il film è un inno all'amore. Al contrario, dicevo che propone un più umano, realistico e, perché no, pratico e alla fine romantico "vivere alla giornata", a quel non ben inquadrato sentimento, causa spesso di fraintendimenti e limitazioni, espressione di quell'insana tendenza all'idealizzazione che viene comunemente indicato col termine "amore". Ho anche parlato di spontaneità, idea che, ammetto, forse ho estrapolato soltanto io. Ripensandoci, però, l'impulsività è un carattere umano ricorrente durante il film.
Mi dispiace che MaratSafin abbia capito male. Sicuramente sono stata poco chiara. Me ne scuso con tutti.

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Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 15-11-2004 13:31  
quote:
In data 2004-11-15 07:08, Agnottella scrive:
Me ne scuso con tutti.


ma perchè scusarsi?
eddai!
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"C'è una sola cosa che prendo sul serio qui, e cioè l'impegno che ho dato a xxxxxxxx e a cercare di farlo nel miglior modo possibile"

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MaratSafin

Reg.: 17 Ott 2004
Messaggi: 831
Da: trafalmadore (CO)
Inviato: 15-11-2004 13:35  
quote:
In data 2004-11-15 07:08, Agnottella scrive:

Sicuramente sono stata poco chiara. Me ne scuso con tutti.




Ma figurati. è che riscontravo una certa tendenza nei commenti.

Eppoi è sempre meglio trovare qualcuno che non la pensa come te, così ti accorgi di qualcos'altro.
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ilaria78

Reg.: 09 Dic 2002
Messaggi: 5055
Da: latina (LT)
Inviato: 15-11-2004 16:17  
quote:
In data 2004-11-04 10:09, MaratSafin scrive:


b) questo film ci parla di una società emozionale ed è interpretabile come:

-1 esaltazione: e ciò ben si sposa con il livello stilistico. Ogni immagine è un'implosione e sembra dirci Live for the moment che è in definitiva una delle topiche più frequentate dai promotori dell'autorealizzazione emotiva di fine vecchio e inizio nuovo millennio.

-1 critica: e ciò emerge dal livello narrativo- attanziale: la continua ciclicità delle nostre vite se vissute solo in funzione dell'amore è la claustrofobia cui una riflessione più matura sul film ci conduce. Sembra che voglia (o semplicemente possa) dirci Non può e non deve essere tutto qui. Ma si sa: 'Dio è morto, Marx è morto e neanch'io mi sento tanto bene'..

Concludendo un film stupendo e, se mi si accetta l'ultima interpretazione, forse un capolavoro.




mi piace l’attenzione e la particolarità usata per la tua analisi, ma non mi trovo d’accordo assolutamente con le tue conclusioni, proprio in virtù del montaggio e della storia che ci racconta questo film.
Concordo con te quando dici che l’articolazione di montaggio e storia sono i punti di forza e non le manchevolezze di questo film, come invece sostiene Cronenberg, e probabilemente qualche altro. Concordo anche quando dici che ogni scena è conclusa di per se, non solo per capacità e conoscenza del regista, che proviene dal videoclip, ma soprattutto perché lo vuole proprio il racconto, secondo me ogni scena è a se, semplicemente perché si sta scandagliando una mente e i suoi “ricordi catalogati”, ho trovato questa cosa affascinante: la Lacuna seziona dei ricordi e passa alla cancellazione, come dei file da un computer, per cui ogni ricordo è un file a se stante, ogni scena è un ricordo, un file, per cui fa parte di un insieme ma è staccata dal resto.
Per quanto riguardo l’uso approssimativo o inesistente dei piani sequenza nel film, non concordo affatto con quanto affermi, un po’ proprio per quanto detto fino ad ora e perché sono convinta che il film non voglia assolutamente fare una critica alla facile emozionalità della società (a parte che si sta andando verso l’opposto, non avrebbe senso una tale critica..).
Il piano sequenza come tu dici “ presuppone una certa continuità: di luogo, di tempo e di soggetto percettivo” e non è usato per mostrare “la disseminazione e frantumazione dell'individuo moderno”, non dimentichiamo che il piano sequenza serve anche per unire visivamente più soggetti, per dare l’impressione di unione e complessità di un’azione, un dialogo e via dicendo, per capirsi cito l’esempio banale del piano sequenza di Notorius, quando Ingrid Bergman e Cary Grant sono in albergo e parlano abbracciati, quel piano sequenza da unità e simboleggia linguisticamente l’unione dei due personaggi, che in quel momento cominciano la loro storia d’amore e vanno d’accordo, contrariamente a quello che accadrà dopo. Il piano sequenza in Eternal sunshine non ha senso, non tanto perché si parla di impossibilità dell’uomo di rapportarsi con gli altri, ma perché parliamo di una coppia che si sta perdendo a causa di un atto di impulsività, questo attenendoci pedissequamente alla trama. La morale o l’insegnamento, che dir si voglia che ci vuole dare il film, dice bene Agnottella, è di vivere il presente, soprattutto in amore, di capire che l’amore non è idillio, almeno non per sempre, che se anche una storia finisce male, vale la pena di viverla e penso che questo possa essere applicato anche ad altre sfere delle nostra vita. Un messaggio molto intimista, non certo una disamina della società moderna, un’esortazione alla vita, un messaggio decisamente positivo, nascosto in una bella storia d’amore contrastata, vuoi dalla cancellazione dei ricordi, vuoi dalla routine quotidiana, vuoi per il naturale decorso di un rapporto, e quindi tagliuzzata anche dal punto di vista linguistico.
La ciclicità a cui fai riferimento, secondo me, è data dal fatto che i due hanno deciso di cancellare i ricordi in un impeto di rabbia, non sono una coppia che soffre tantissimo dopo essersi lasciata, che vuole cancellare il ricordo per cancellare il dolore. Clementine ha deciso di rivolgersi alla Lacuna perché esasperata da una situazione limite, Joel quasi per ripicca: l’ha fatto lei allora perché non dovrei farlo io? Chi ci dice che se non avessero fatto questo, ma solo una sonora litigata le cose non sarebbero continuate? Chi ci dice che quando ricominceranno la loro storia, consapevoli dei motivi per cui non è andata bene la prima volta, si comporteranno nello stesso modo? Il regista li (ci) rimette ad un punto zero, e ora rivivetevela da capo, con o senza lieto fine, non importa perché il messaggio è stato recepito: i ricordi sono preziosi, non solo perché importanti emotivamente, ma perché ci permettono di migliorare e riflettere sugli errori del passato, quindi (mi sto ripetendo un po’ troppo), la vita, l’amore, vissuti nel bene e nel male.

_________________
...quando i morti camminano signori..bisogna smettere di uccidere...

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MaratSafin

Reg.: 17 Ott 2004
Messaggi: 831
Da: trafalmadore (CO)
Inviato: 15-11-2004 16:30  
Il motivo per cui sono arrivato a queste conclusioni è il senso di profonda claustrofobia narrativa che mi ha comunicato.

Come ben sottolinei tu l'assoluta autarchia di tanti segmenti narrativi-file del computer, priva film e narrazione di un senso organico.

Questo, che potrebbe essere un limite, notato anche nella recensione, per esempio, di pickpocket, io l'ho riconfigurato in un discorso più ampio.

Cioè: a me il film ha messo una gran tristezza, proprio perchè ripiegato su sè stesso sia al livello del puro significante, sia al livello della narrazione e della struttura attanziale della stessa, sia, e questo è personale come ogni attribuzione di senso a posteriori, al livello del significato che ho ricostruito.

A me non ha suggerito Carpe diem. Mi ha mostrato tutti i limiti invece dell'etica moderna basata sul carpe diem.

Ma, come dicevo sopra, è personale. Ciò che c'è di oggettivo, invece, ci trova d'accordo.
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Agnottella

Reg.: 09 Dic 2003
Messaggi: 12
Da: Milano (MI)
Inviato: 16-11-2004 08:10  
Mi definiresti “claustrofobia narrativa”?
Inizio col precisare che il mio scusarmi era da un lato un po’ divertito, dall’altro preventivo. In passato ho scritto solo una volta in questo forum e notai che alcuni miei, chiamiamoli così, atteggiamenti espositivi furono da alcuni apprezzati e da altri aspramente criticati. Giusto per chiarire, i motivi per cui non mi sono fatta vedere più, non sono legati a queste vicende. Nel futuro spero di intervenire di nuovo in questo bel forum, ma il mio stile rimarrà sempre a tratti un po’ criptico.
Procedo adesso con MaratSafin. Ho l’impressione che la sua fatica a capire le parole altrui, le mie in particolare, non fosse episodica. Anche successivamente, ad un “Ma figurati”, fa seguire parole da cui s’evince che rimane sostanzialmente sulle sue posizioni. Non che la cosa mi disturbi, ci mancherebbe! Mi sorge, però, il dubbio che continui a male interpretare quanto scritto da me e, forse, non solo.
Vorrei riagganciarmi al commento di ilaria78. Per inciso, seppur siano ancora in numero limitato le cose lette qui, fino ad ora quella sopra scritta da lei è stata una delle più piacevoli. Ha reso scorrevole un commento, arrcicchendolo anche di dati tecnici mai noiosi o fini a se stessi, come alcuni tendono purtroppo a fare.
Tornando a noi, non userei un’espressione forte come “assoluta autarchia narrativa” che “priva il film e narrazione di un senso organico”. Peraltro MaratSafin precede questo commento con un “Come ben sottolinei tu [ilaria78]”. Anche in questo caso, mi pare di intravedere in MaratSafin una reinterpretazione di quanto da altri scritto. È chiaro che potrei essere stata io e ha fraintendere le parole di ilaria78, ma a me è sembrato di capire (e in tal caso condivido) che “ogni scena a sé” nel suo discorso non precludesse affatto una certa coerenza, che, permettetemi, personalmente ho trovato evidente. Anzi una delle capacità di chi ha diretto il film, sempre secondo me, è stata proprio quella di coordinare questi spezzoni di vita in un racconto, inteso proprio come sviluppo narrativo di una storia, che va oltre una storia, in un tutto organico e alla fine di facile lettura. Questo mi sembra un risultato che di rado viene raggiunto. Ripeto, mi è sembrato che ilaria78 la vedesse così e, quindi, in modo opposto a MaratSafin. Solo lei può dire se mi sto sbagliando.
A questo punto mi vergogno un po’ nel constatare che il presente mio intervento suoni un po’ come una apologia di ilaria78, ma non posso che sostenere anche il suo “…messaggio molto intimista, non certo una disamina della società moderna…”, di nuovo contrapposto all’ipotesi di MaratSafin.
La soggettività arriva alla fine, quando il film lascia all’osservatore una certa libertà non tanto nell’interpretazione di “quel che è stato e ti ho fatto vedere”, quanto nel “quel che sarà e non ti mostrerò”. Arriverei anche a dire che è questo tipo di libertà che completa degnamente il film, come, in generale, una qualunque opera, cinematografica e non che possa definirsi quantomeno buona.

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Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 16-11-2004 13:18  
vi fermaste a leggere meglio, o a leggere, non sparereste così tante minchiate, ragazzotti miei....
Ma dove siete finire a discutere?
_________________
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MaratSafin

Reg.: 17 Ott 2004
Messaggi: 831
Da: trafalmadore (CO)
Inviato: 16-11-2004 14:27  
Cara AGnottella è la prima volta che subisco un'esegesi di un mio intervento con ricosturzioni e deduzione psicologiche.

A parte te mi hanno capito tutti.

Se vuoi fare del sofismo, comunque ti dico che sono d'accordo con Ilaria, che fino alle conclusioni è d'accordo con me.

Sulla claustrofobia narrativa: intendo

1)il fatto che tutto sia riconducibile\reinquadrabile\polarizzabile in un rapporto di coppia a livello narratologico-attanziale

2) il fatto che i vari frame non comunichino sostanzialmente fra loro. Ogni scena è un mondo a sè. Sostanzialmente autosufficiente (cfr. scene sul lago, scene in spiaggia, la conclusione (?) del rapporto fra Ruffalo e la Dunst) o comunque ripiegate nel tema principale.

3)è un'opera quanto mai chiusa. Non vedo collegamenti con il mondo esterno all'universo narrativo.

Per questo lo trovo claustrofobico.

Le conclusioni, come detto sopra, sono mie, mentre questo lo trovo abbastanza oggettivo.

E grazie Tristam.


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