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Autore I ragazzi del massacro
oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 24-05-2009 16:51  
Si inizia con grande crudezza. Come spesso Di Leo ha fatto vedere, non si bada a censure ed epurazioni, la scure del bigotto è sempre in difficoltà nel tagliuzzare le opere forti, decisamente accese, del regista pugliese. I ragazzi del massacro non fa eccezione, e già dal nome si capisce che aria tira.
Prendiamo ad esempio la scena iniziale che, a vederla oggi (il film è del ‘69), fa venire i brividi; ma non per la violenza del girato, quanto per l’anticipazione, per la profetica visione disturbante di un disagio sociale under 20 (oggi under 30, o forse 40). Siamo infatti in una scuola serale, di recupero, o giù di lì, dove l’occhio indiscreto del regista si muove con una equivoca macchina a mano tra i banchi degli studenti. Immagini tremolanti, timorose, spaventate da quella concentrazione di fiere che si scambiano sguardi felini in attesa del momento giusto per attaccare la preda/maestra. Un goccio di alcol, un po’ di coraggio e si avventano contro la tutrice, violentandola e uccidendola in un tripudio di inquadrature irriverenti.
Sesso, alcol, violenza, spavalderia, sfrontatezza. Un cocktail neorealista che contiene, in sé, la summa di tutto il film. E’ impressionante sentire frasi del tipo “ma un bravo ragazzo dovrebbe inorridire di fronte a foto di questo tipo” o “i bravi ragazzi vanno a dormire presto” (e così di seguito) e vedere, oggi, studentelli alla prime armi, palpeggiare la professoressa e uploadare il video girato su siti di condivisione.
Il gradissimo pregio del film è che non si accusa un mezzo di comunicazione, come oggi sociologi e psicologi dell’ultima ora fanno, additando youtube (senza neanche sapere cos’è e a cosa serve) come principale colpevole della violenza diffusa tra i giovani d’oggi, ma si descrive una deriva sociale di ragazzi abbandonati a se stessi. Non c’entra Internet, non c’entra la TV, non serve arroccarsi su un misoneismo esasperato e, francamente, patetico.
Di Leo è un maestro: gli interrogatori ne sono la prova, compresa la strizzatina d’occhio all’espressionismo tedesco, con giochi d’ombre, inquadrature sghembe e linee oblique. Molta camera a mano, montaggio non sempre lineare (in senso atecnico) che si sposa benissimo con le sequenze oniriche della questura e uso quasi smodato di primi piani.
Un trattatello sociologico che vale più di mille (finti) esperti transitati ultimamente in TV.

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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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