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Autore "Cinque donne attorno ad Utamaro", di K. Mizoguchi
Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 26-05-2008 10:13  
E' sbagliato ridurre Utamaro o meguru gonin no onna (Cinque donne attorno ad Utamaro ), girato da Kenji Mizoguchi nel 1946, unicamente ad un film biografico sulla vita del celebre pittore giapponese Utamaro.

E', piuttosto, essenziale rendersi conto che dietro alle vicende del protagonista di quest'opera, sullo sfondo delle storie delle cinque donne che lo circondano e che in qualche modo conizionano la sua esistenza, si tracciano le linee di pensiero che Mizoguchi ha sviluppato riguardo al concetto stesso di arte. Questo è un film proprio sull'arte, sul suo valore prima di tutto idealistico.

L'artista Utamaro riesce magnificamente a comunicare attraverso le sue opere, i suoi ritratti così pieni di vita. Riesce a riempire quei voti che lo separano dagli altri personaggi, specialmente dalle donne. Utamaro ha grandi problemi a rapportarsi con le donne. E l'unico tramite per comunicare con esse è proprio la pittura, intesa come un rito iniziatico, una violazione/esplorazione del corpo sacro femminile, una materializzazione del desiderio, ma anche una concretizazione di un'utopia irraggiunibile: attraverso questa forma di linguaggio egli potrà sfiorare le donne, plasmare su di esse la forma degli stessi sentimenti e delle stesse passioni che prova per loro, ma non arriverà mai a carpirne il segreto essenziale, ad approfondire il rapporto. Tenendo a mente che stiamo parlando di un film del 1946, quest'opera è incredibilmente priva di pudore, nell'ottica dell'antica cultura giapponese. E' chiara, infatti, la metafora sessuale, la tensione a scoprire e ad entrare nell'universo femminile, pur dovendosi fermare alla superficie epidermica, al tessuto esteriore. I dipinti che Utamaro pennella sulla schiena delle sue modelle, suonano come una rivitalizzazione dell'arte stessa: l'arte che nasce dall'idea, ma che diviene materiale, viva. Ma tristemente si traducono, anche, in una manchevolezza di punti certi, di linee sicure, di segni solidi. Il corpo vive, si muove, cambia le sue forme e le sue fattezze, costringendo anche i segni grafici a modellarsi sui propri mutamenti. Ma esso può perfino sfuggire, venir meno all'impegno e al rapporto che si instaura fra artista ed opera d'arte, il medesimo che si stabilisce fra padre e figlio.

La regia di Mizoguchi è rigorosamente formale, precisa, semplice e dilatata, spalmata letteralmente in quello che è "l'insieme". Utamaro o meguru gonin no onna è un film ripreso da un punto di vista centrale, ma capace di espandersi attraverso le visioni di cinque scorci differenti (le cinque donne le cui vicende sono narrate), che si sdoppiano, rifiltrano la realtà secondo l'ottica e la sensibilità tutta femminile tipica del Cinema di questo regista così anti conformista per la sua epoca, si ripropongono come su diffrenti lati, altrnative vedute, ma inevitabilmente riconfluiscono, tramite le sue poliedriche soggettive, nello sguardo centrale e concentrico del protagonista di tutte le vicende. Utamaro vive empaticamente dolori e gioie dei suoi compagni di viaggio (il viaggio della vita). La coralità e la compatteza di quest'opera è data proprio dalla lentezza delle riprese, quasi sempre ferme o costruite sull'avanzamento della cinepresa, sulle carrellate che non distolgono mai il loro sguardo ipnotico dagli attori. Nelle composizioni dell'inquadratura, le donne rimangono quasi sempre in posizione predominante davanti all'obittivo, ma i primi piani sono, qui, espedienti più unici che rari. I dettagli sono rifuggiti con attenzione inusuale, e a tutto è confrita la dimensione ed il significato del "contesto", della totalità, dell'espandersi e del propagarsi dei sentimenti, delle storie, che si intrecciano indissolubilmente fra di loro, senza vedere necessariamente il prevalere degli uni sugli altri, ma intersecandosi tramite sinuose e ben congeniate geometrie, linee rette e linee curve, strutture solide e forme fluide, pose scultoree e sinfonie del movimento, che pongono in risalto l'antitesi esistente fra mente e corpo, fra utopia e certezza.

Le donne camminano e sfilano davanti alla camera, sempre rientrando in quell'insieme compatto, granitico, rigoroso, incredibilmte criteriato, in cui il passaggio da una stanza all'altra evita quasi sempre di tradusri in uno stacco, ma resta fedele al piano sequenza, all'insegna della diluizione totale degli spazi, rotti, però, di frequente, proprio dall'apertura di varchi, di porte che scorrono e di dimensioni che si sovrappongono, si legano l'un l'altra senza una precisa soluzione di continuità. Esattamente come accade per le storie dei protagonisti.
Storie di vita, di passioni, di orgoglio, di amori. In cui l'artista deve assistere come un testimone zittito dalla sua setssa ultra sensibilità. In cui deve solamente produrre e entare di dare un senso alle proprie creazioni. Le quali, molto spesso, si renderanno inipendenti e, da semplice idea, prenderanno vita per sfuggire inevitabilmente al suo impotente controllo.



Pubblicato sul mio blog


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L'amico Fritz diceva che un film che ha bisogno di essere commentato, non è un buon film . Forse, nella sua somma chiaroveggenza, gli erano apparsi in sogno i miei post.

[ Questo messaggio è stato modificato da: Richmondo il 01-10-2008 alle 11:10 ]

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