ermejofico
 Reg.: 17 Ago 2005 Messaggi: 662 Da: roma (RM)
| Inviato: 29-08-2007 20:58 |
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Altro piccolo film, altro colpo messo a segno, se non altro a livello artistico, dalla benemerita Myself. Dopo il dittico di Moroni (“Tu devi essere il lupo” e “Le ferie di Licu”), grazie al consueto sistema di “azionariato di consumo” praticato da questo anomalo distributore, è stato possibile vedere sul grande schermo un altro film delicato ed anticonformista, che non avrebbe mai potuto essere considerato dalle strategie commerciali dei distributori italiani maggiori o dalla produzione paratelevisiva corrente, attenta a replicare nei cinema le logiche proprie della fiction (volti arcinoti, primi piani fino alla nausea e messaggi positivi, chissà poi quanto utili…).
Nella sua forma semplice di viaggio scanzonato nella mente di un bambino immaginoso di circa dieci anni, il film descrive ed analizza con sagacia il formarsi di un primitivo nucleo morale nella mente del giovanissimo protagonista, in una fase della vita in cui tragico e ridicolo non hanno ancora confini ben distinti. In questa tappa evolutiva il creare nella propria mente fantasmi e situazioni paradossali (per collocarsi al centro di esse) diventa una sorta di palestra, di laboratorio, dove confrontarsi precocemente con i grandi temi dell’età adulta (il senso di colpa, la solidarietà, il distacco dai genitori) senza rischi eccessivi. Anche se, sembra dire il regista, il rischio non è mai eliminabile del tutto e le conseguenze di questi esperimenti possono essere notevoli e durature, fino al punto da accompagnarci come un’ombra anche nella vita adulta.
Le soluzioni di regia (l’attraversamento del quadro in campo lungo, in tempo reale, nella scena dell’inseguimento nei boschi, l’angolatura western nel finto duello) e di montaggio (jump cut della ricerca dell’aquilone, montaggio sincopato nella pantomima iniziale della rapina) possono apparire a prima vista un po’ scolastiche. In realtà si dimostrano ottime per rendere a livello filmico il magma cangiante e spurio di una mente in formazione, messa a confronto con la traumatica novità della nascita di un fratello minore (o di una sorellina: la fantasia è previdente e dotata di grande capacità di sintesi e non trascura nessuna possibilità). Ma, a dispetto del tema impegnativo, la narrazione non diventa mai didascalica o pesante, anzi si costruisce quasi esclusivamente su di una ironia sottile ed incontra momenti divertentissimi, come la scena dell’immaginario supplizio della graticola, la morte di Socrate, la riunione di una sorta di “fratelli maggiori anonimi”. Irresistibile poi la serie di “allunaggi”, continuamente variata, e culminante con la fuga del fratellino disperato, che esce dall’inquadratura nella presunta direzione dei genitori, collocati in un fuori campo che è tuttavia ancora scabra superficie lunare.
Bello (e impossibile) il sistema usato dal regista per avere attori che interpretino credibilmente i due giovani protagonisti cinque anni dopo, nel breve episodio che funge da epilogo al film. Nei titoli di coda una risposta (parziale) al legittimo sconcerto dello spettatore, che farà certamente sorridere la generosa ombra di Bazin.
_________________ "Che cosa te ne fai di una banca se hai perduto l'amore?" |
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