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Autore Il Flauto Magico di Kenneth Branagh
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 29-06-2007 15:20  
IL FLAUTO MAGICO di W. A. Mozart è una delle opere più perfette ed affascinanti dell’intera storia della musica occidentale, una sublime vetta dell’umano ingegno in cui confluiscono, con rara, elegante leggerezza, in mirabile equilibrio tra loro - in un insieme di canto e recitazione, secondo la tradizione del “Singspiel” austro-tedesco - , la comica più negletta del teatro popolare, del mondo della fiaba, del fantastico-meraviglioso; le “severe” e concrete istanze dell’illuminismo e del giusnaturalismo; l’esoterismo massonico dei riti iniziatici, delle prove obbligare (tre, nella fattispecie, come tre – numero magico - sono gli imperiosi e solenni accordi iniziali della stupefacente Ouverture), sorta di viaggio interiore che l’”eroe” deve compiere per poter transitare dalle tenebre verso la luce, dalla mediocrità verso la consapevolezza e l'amore.

La composizione mozartiana è dunque un continuo passaggio d’ombre e luci, di luci ed ombre.., senza soluzione di continuità e preoccupazioni di verosimiglianze narrative, storico-ambientali, testual-letterarie, dove, naturalmente, nonostante l’ottimo “libretto” di Emanuel Schikaneder, è tra le preziose ed audaci tessiture armoniche e timbriche, nel sublime canto, nel possente contrappunto, che si situa e definisce, in ultima analisi, lo straordinario universo di “affetti”, la trasfigurante, cangevole tavolozza di colori in continuo movimento. Luna e sole, il bagliore rassicurante della luce del giorno, il mistero della notte e di certe sue Regine.., le angosce delle tenebre e gli ottimismi della luce che avvolgono dicotomicamente il cammino della speranza e della “fede”. Il trionfo dell’umorismo e dell’ironia, del registro del dramma, applicati al senso del più schietto, profondo e tradfigurante lirismo.

Tutto questo si perde nell’adattamento filmico di Kenneth Branagh, o resta sullo sfondo. Il regista nato a Belfast (noto per le “ristrutturazioni” delle opere teatrali scespiriane) trasferisce la vicenda operistica al tempo della Grande Guerra, dopo aver affidato a Stephen Fry la riscrittura del libretto, in inglese, che, pur con le vistose varianti, conserva alcuni punti di contatto con l’opera originale. Ma non è da ricercare in questa personale, e di per se legittima chiave di lettura di un’opera tanto celebre ed altera, il limite del film; il nostro scrupolo non è lo stesso del “purista” inamovibile, per principio maldisposto verso le “moderne” re-interpretazione del mito.

Branagh fallisce, paradossalmente, nel momento stesso in cui cerca di rendere troppo in immagine (peraltro 'musicalizzando' sommariamente la vicenda) il potere evocativo di un’opera che è una costellazione di “visioni” che vivono di vita propria e che, in tale soffocamento, vengono meno allo spettatore/ascoltatore…

IL FLAUTO MAGICO, il film, è una serie infinita e debordante di piani sequenza, carrellate, dolly, panoramiche aeree, nel pur misurato gioco dell’immancabile effetto speciale, di tecniche sofisticate troppo spesso fini a se stesse, sopra le righe, che stringono in vita la musica, disarmandola, facendola arretrare. Qualcosa che sfiora l’isteria visiva, nella visione diligente e studiata, quasi cartoonistica, che non diventa mai visionarismo. Si giunge alla saturazione dello sguardo, allo sfondamento dello schermo, vanificato il significato “ideologico”, pre-logico, psichico e poetico della partitura mozartiana. Presa a pretesto la musica, il regista la condisce e subissa con invenzioni che finiscono per estraniarne il carattere, la densità espressiva, per relegarla in secondo piano. Innegabile che alcune immagini e sequenze siano belle e decorative, un po’ kitsch però di gusto, ci mancherebbe, se non anche teatralizzate, dove il teatro in musica è, per forza di cose, stilizzato, limitato nello stretto ambito spaziale che gli compete, allorchè l’espansione del piano temporale e autenticamente immaginifico viene affidato alla musica stessa. Il paragone è d’obbligo..: nell’omonimo film di Bergman il rigore diventa vera audacia, moderno linguaggio che non entra in rotta di collisione con l’illustre modello di riferimento; la discrezione, l’alta cifra poetica. L’autore svedese si limita (si fa per dire) a filmare l’allestimento teatrale approntato su un set cinematografico, realizzando un’opera filmica pura, uno dei suoi capolavori, nel sottile scavo psicologico lasciando che le immagini musicali fluiscano liberamente senza mai colludere con quelle del cinema, realizzando un doppio, autonomo piano comunicativo in cui gli elementi sono destinati ad incontrarsi e non a respingersi. Priva delle componenti favolistiche e simboliche, di quell’affascinante patina di mistero, delle sfumature che caratterizzano l’opera di Mozart, IL FLAUTO MAGICO di Branagh si limita, oltre al resto, a raccontare una storia banale, scarsamente originale, tutt’altro che irresistibile, con scontati messaggi antimilitaristi, facendo ricorso all’ironia che solo a tratti graffia; qualcosa insomma che induce spesso alla noia e a pensare che sia stato fatto “molto rumore per nulla”. Poiché Branagh fallisce nel momento stesso in cui decide di mettere in scena IL FLAUTO MAGICO di W. A. Mozart sulla scorta di un’idea ambiziosa che non va oltre, nonostante la quantità dei mezzi impiegati, contro le apparenze, il teatro filmato.

Solo chiudendo gli occhi a tratti, non più distratto dall’incalzante sarabanda di immagini, chi scrive è riuscito a riconciliarsi con la musica, ad apprezzare l’ottima Chamber Orchestra of Europa egregiamente diretta da James Colon, e il cast di giovani star dell’opera, più o meno note, in particolare la magnifica voce del soprano Amy Carson/Pamina, 'mozartiana' al massimo grado, e il basso profondo e vibrante di Renè Pape/Sarastro.

Grande musica che rivendica le sue forti, sacrali, esclusive connotazioni, che spinge, 'ribelle', verso opposte direzioni, e che, per contrasto, diventa arma a doppio taglio ai fini dei percorsi e dei risultati puramente cinematografici.
qui, quo e qua
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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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Maresca

Reg.: 12 Mar 2007
Messaggi: 2111
Da: Siviglia (es)
Inviato: 07-07-2007 14:20  
Bellissima recensione, va detto. Molto interessante e di grande chiarezza espositiva.
Mi hai messo addosso una certa voglia di vedere il film, magari anche per dissentire dal tuo giudizio negativo.

Un grazie all'utente Oronzocanà per avermi istigato alla lettura di questo ottimo pezzo.

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oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 07-07-2007 14:53  
questa è un'ottima recensione.
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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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