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Autore Boiling point
parret

Reg.: 14 Set 2004
Messaggi: 446
Da: milano (MI)
Inviato: 13-01-2006 23:08  
Da Boiling point a Sonatine, verrebbe in un primo momento da pensare, notando la comune presenza di Kitano in qualità di attore e di regista, la vicinanza cronologica fra le due produzioni e la centralità tematica in entrambe del gioco e della regressione infantile all’interno di quotidiane storie di yakuza: un percorso di maturazione che partendo dalla crudeltà più lancinante dell’esperienza, dal caos, dal degrado, dall’alienazione urbana, giunga a una più serena contemplazione dell’esistenza, attraverso magari una ricerca di purezza nella natura, scoprendosi bambini a giocare a piedi nudi sulla sabbia. A una seconda visione, al contrario, il primo film mi è parso molto più gaio, divertito e liberatorio del secondo. E’ vero, l’universo tecnologico cittadino da cui prende l’avvio Boiling point ha il sapore dell’apocalisse, così desolatamente spersonalizzante (un nulla percorso da strade, macchine, moto, un silenzio interrotto dal rumore dei motori; qua e là qualche bar, stazione di servizio, concessionario di motocicli), così capillarmente pervaso da violenza (che è ovunque: nella circolazione stradale, nel lavoro, nelle attività ricreative, nella massiccia presenza della yakuza). Un universo gratuito, per lo spettatore magari risibile, che si impone al protagonista adolescente nella sua totale assenza di senso, in modo da castrarne, impedirne qualsiasi libera espressione e autonoma presa di posizione. Centrale nel secondo tempo irrompe la figura di boss senza regole interpretato da Kitano. Se la vita, il mondo non ha senso, perché non tuffarcisi con tutta la nostra imperfezione, mossi dal mero piacere di assecondare le nostre pulsioni più strampalate ed estemporanee? Perché non tuffarsi nel caos che ci circonda, non viverlo fino in fondo, perché non cogliere sempre e imprevedibilmente di sorpresa la realtà, l’alterità, invece che subirle passivamente? Violandole magari, di continuo e instancabilmente, e, sembra paradossale, ma come risultato di tanta irruenza fisica incontrollata e non programmata (amputazioni di dita, stupri, omicidi, percosse) sarà un’intensissima tenerezza fanciullesca, un rinnovato stupore, una pulizia nello sguardo nel relazionarsi al mondo e alle cose. La morte e la sofferenza faranno poi parte necessariamente del gioco, prezzo da accettare nell’esporsi tanto visceralmente nei confronti dell’esterno. In Sonatine invece alla dimensione ludica, pur presente tematicamente, mi sembra prevalere il momento posteriore, più maturo, della coscienza dilaniata com’è fra pulsioni di vita e pulsioni di morte. Il lirismo, gli splendidi scenari naturali, le trovate estrose del protagonista sulla spiaggia che coinvolgono la donna e i propri sottoposti hanno qui il sapore della disperazione. Un film sul suicidio come atto estremo ed inspiegabile, tanto l’amore nei confronti della vita che accompagna il gesto

[ Questo messaggio è stato modificato da: parret il 15-01-2006 alle 13:03 ]

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