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Il neorealismo: valutazioni |
alessio984
 Reg.: 10 Mar 2004 Messaggi: 6302 Da: Napoli (NA)
| Inviato: 22-05-2005 17:19 |
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In Italia il Neorealismo si afferma nel secondo dopoguerra. Tale corrente cinematografica era in qualche modo collegata con la scuola sovietica per quanto riguardava la scelta degli attori non professionisti in ruolo importanti.
I cineasti del dopoguerra crearono un cinema moderno adattato sul cinema sonoro.
Grosso modo si possono delineare tre tratti caratteristici dello stile e della forma del neorealismo in generale:
1) I registi si sforzano di essere il più fedeli alla realtà di quanto non fossero stati, a loro giudizio, i loro predecessori, impegnandosi nella denuncia dell’antagonismo di classe, degli e/orrori del fascismo, della guerra, e dell’occupazione nazi-fascista. Si preoccupavano quindi di inserire nei loro film tematiche che facevano parte di quelli che allora erano i problemi sociali del momento.
2) Questo realismo obiettivo condusse molti cineasti verso un tipo di narrazione più aperta, fatta di scorci di realtà, ben diversa dalle trame fortemente strutturate di Hollywood: l’obiettivo indugiava a volte su una scena dopo che l’azione si era conclusa, senza eliminare quei momenti in cui “non succede niente”. Secondo i neorealisti nella vita “vera” non c’è una vera e propria causa che lega i vari momenti fra di loro, e quindi questi non hanno un ordine imprescendibilmente naturale. Da qui quindi il continuo ricorso ai piani sequenza allo scopo di mantenere inalterate rispetto al reale le 3 unità di spazio, tempo e azione, senza manipolazioni di montaggio.
Nel neorealismo “la scena B segue alla scena A semplicemente per il fatto di essere avvenuta dopo, non perché la scena A ne sia la causa”. Lo stile quindi tende ad “appiattire” tutti gli eventi allo stesso livello attenuando le scene più intense e privilegiando situazioni e comportamenti ordinari (esempio calzante è il risveglio della cameriera in “Umberto D” di De Sica)
Allo stesso modo si andarono delineando nuovi stili di recitazione: gli attori non professionisti dovevano parlare in modo “naturale”, le loro frasi erano quindi interrotte, e i discorsi frammentari ed ellittici. Un modo di recitare molto lontano dalla pomposità degli attori hollywoodiani.
3) Vi è il “commento dell’autore”: qualcuno (il regista) sottolinea qualche particolare degli avvenimenti a cui
assiste lo spettatore.
Il neorealismo italiano visse dal 1945 al 1951. Alcuni film precursori furono “Ossessione” di Visconti del ’42 e “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica del ’43.
Questi i film più importanti del filone:
1945: “Roma città aperta” di Roberto Rossellini
1946: “Paisà” di vedi sopra
“Sciuscià” di De Sica
“Il bandito” di Lattuada
“Caccia tragica” di Giuseppe De Santis
1947: “Germania anno zero” di Rossellini
1948: “La terra trema” di Luchino Visconti
“Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica
“Riso amaro” di De Santis
“La macchina ammazzacattivi” di Rossellini
1949: “Stromboli terra di Dio” di Rossellini
1950: “Umberto D” di De Sica
“Bellissima” di Visconti
“Europa ’51” di Rossellini
1952: “I vinti” di Michelangelo Antonioni
“Lo sceicco bianco” di Federico Fellini
1953: “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini
1954: “Senso” di Visconti
“La strada” di Fellini
Dopo il 1954 vi è un abbandono di quello che potremmo chiamare il neorealismo più “puro”, e il cinema italiano crea un certo tipo di “Neorealismo rosa”, cioè combina elementi di neorealismo a quelli di commedia all’italiana; quest’ultima comincia a spopolare grazie a Risi, Monicelli e Germi.
Visconti si da ai melodrammi e alle storie d’amore spettacolarizzate (di questo tipo di film fa pare anche “Senso”), mentre Fellini si sposta su un piano più fantastico e onirico che diventerà poi il suo marchio di fabbrica.
Certo lo stile dei registi neorealisti si differenziava da autore a autore. Uno degli esempi migliori è la differenza di base fra il cinema di Visconti e quello di Rossellini. Il primo tendeva appunto ad una spettacolarizzazione che sfiorava il formalismo, il secondo risolutamente anti-spettacolare e de-drammatizzante.
Di certo però tutti loro si spostavano con la macchina da presa per le strade e per le campagne, e tentavano un certo esame critico della storia (a loro) recente.
Vi erano temi comuni nei loro film, dall’esaltazione dell’eroismo partigiano (“Roma città aperta” e “Paisà”), all’analisi dei problemi sociali quali la disoccupazione e l’inflazione (“Ladri di biciclette”), della vita rurale (“Riso amaro”) e di quella di mare (“La terra trema” ispirato tra l’altro a “I Malavoglia” di Verga). Altro elemento comune era il consuetudinario “finale aperto” soprattutto per quanto riguarda Rossellini.
Una volta dissero Giuseppe De Santis e Mario Alicato: “Siamo convinti che un giorno creeremo il nostro film più bello seguendo il passo lento e stanco dell’operaio che torna a casa”.
Oggi i dibattiti sul filone neorealista continuano, c’è chi sostiene che si sia trattato di un movimento rivoluzionario, e chi che invece sia stato un movimento “gonfiato” e che molte delle innovazioni nella forma cinematografica apportate da questo filone siano state già usate in precedenza, ma che siano state attribuite al neorealismo grazie al suo prestigio internazionale.
André Bazin dal canto suo non si è mai stancato di tessere le lodi verso questo movimento. Egli affermava che lo stile documentaristico del movimento neorealista rendesse lo spettatore consapevole della bellezza della vita di ogni giorno.
Godard, invece nutriva una dichiarata e profonda passione per Rossellini. Una volta disse: “Il realismo non consiste in come sono le cose vere, ma in come sono veramente le cose”.
Si ritiene di solito che il tipico film neorealista sia girato in esterni con attori non professionisti e inquadrature grezze, improvvisate, ma in realtà i film con questa caratteristica sono ben pochi; la maggior parte delle scene in interni è girata in set ricostruiti in studio e illuminati con cura, e il dialogo è quasi sempre doppiato, permettendo un controllo anche a riprese ultimate.
Alcuni interpreti sono effettivamente non professionisti, ma più comunemente si ha quella che Bazin chiama la tecnica dell’”amalgama”, in cui gli attori non professionisti sono mescolati a divi (tipo “Roma città aperta” con Anna Magnani e Aldo Frabrizi).
Inoltre molti film sono montati rispettando le norme dello stile classico hollywoodiano.
E’ tipico dello stile neorealista l’uso di maestose (e fastidiose) colonne sonore che ricordano l’opera lirica nel modo in cui si sottolinea lo sviluppo emotivo della scena.
Quindi, il neorealismo:
Uno dei più importanti filoni della storia del cinema, o grossa baggianata?
A voi l’ardua sentenza……………
[ Questo messaggio è stato modificato da: alessio984 il 22-05-2005 alle 17:24 ]
[ Questo messaggio è stato modificato da: alessio984 il 22-05-2005 alle 17:27 ] |
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sandrix81
 Reg.: 20 Feb 2004 Messaggi: 29115 Da: San Giovanni Teatino (CH)
| Inviato: 22-05-2005 18:33 |
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quote: In data 2005-05-22 17:19, alessio984 scrive:
Vi erano temi comuni nei loro film, dall’esaltazione dell’eroismo partigiano (“Roma città aperta” e “Paisà”), ...
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attenzione, qui si potrebbe fraintendere.
Nella formazione di un'identità nazionale del cinema italiano, si possono distinguere tre momenti, tre periodi più o meno corrispondenti a tre diverse strade seguite (almeno dal punto di vista dei contenuti) per la produzione di significati della nazione, con cui identificarsi.
Se nel cinema del Ventennio, l'aspetto fondamentale era di certo l'idea della trasmissione genealogica e generazionale dei valori nazionali e patriottici, e soprattutto il principio di sacrificio dell'eroe virile in nome di ideali sovranazionali (e qui si guardi, per avere un riferimento, Cavalleria di Alessandrini), il periodo successivo - quello proprio del Neorealismo - ricerca maggiormente l'aspetto del sacrificio degli individui, della collettività, in nome di un comune interesse (e qui penso di più a Paisà di Rossellini, e in particolare al finale). Infine, nel periodo successivo, aperto probabilmente e perfettamente rappresentato proprio da Senso di Visconti, si assiste, attraverso l'analisi storica e una sorta di rilettura dei fatti storici, alla comparsa della rinuncia del sacrificio tra i valori più ricercati.
_________________ Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina. |
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Richmondo
 Reg.: 04 Feb 2008 Messaggi: 2533 Da: Genova (GE)
| Inviato: 19-05-2008 16:08 |
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quote: In data 2005-05-22 18:33, sandrix81 scrive:
quote: In data 2005-05-22 17:19, alessio984 scrive:
Vi erano temi comuni nei loro film, dall’esaltazione dell’eroismo partigiano (“Roma città aperta” e “Paisà”), ...
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attenzione, qui si potrebbe fraintendere.
Nella formazione di un'identità nazionale del cinema italiano, si possono distinguere tre momenti, tre periodi più o meno corrispondenti a tre diverse strade seguite (almeno dal punto di vista dei contenuti) per la produzione di significati della nazione, con cui identificarsi.
Se nel cinema del Ventennio, l'aspetto fondamentale era di certo l'idea della trasmissione genealogica e generazionale dei valori nazionali e patriottici, e soprattutto il principio di sacrificio dell'eroe virile in nome di ideali sovranazionali (e qui si guardi, per avere un riferimento, Cavalleria di Alessandrini), il periodo successivo - quello proprio del Neorealismo - ricerca maggiormente l'aspetto del sacrificio degli individui, della collettività, in nome di un comune interesse (e qui penso di più a Paisà di Rossellini, e in particolare al finale). Infine, nel periodo successivo, aperto probabilmente e perfettamente rappresentato proprio da Senso di Visconti, si assiste, attraverso l'analisi storica e una sorta di rilettura dei fatti storici, alla comparsa della rinuncia del sacrificio tra i valori più ricercati.
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Mah...concordo sulle prime due fasi. Ma, sinceramente, mi pare che collegare il Cinema di Visconti con la qualità di un'ipotetica terza fase del Cinema nostrano sia abbastanza arduo. Nel senso che Visconti ha fatto il suo Cinema, che corrisponde per buona parte della sua filmografia a ciò che hai scritto tu, ma che direi che non ha nulla che vedere con il rimanente Cinema italiano, il quale si presneta eterogeneo di situazioni rappresentate, senza un filo conduttore ben preciso.
In ogni caso vorrei riportare un mio intervento sul Neorealismo, che avevo scritto su un altro forum.
_________________ E' meglio essere belli che essere buoni. Ma è meglio essere buoni che essere brutti. |
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Richmondo
 Reg.: 04 Feb 2008 Messaggi: 2533 Da: Genova (GE)
| Inviato: 19-05-2008 16:27 |
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Dal momento che qualcuno sostiene che il Neorealismo manchi dello spirito cinematografico, nella misura in cui l'eccessiva tendenza a "documentare" e filmare solo ciò che è visibile annienterebbe lo stesso spirito della Settima arte, mi trovo costretto - in qualità di strenue difensore di questa corrente artistica che ha risollevato le sorti del nostro Cinema - ad imbastire un'arringa che sia sufficentemente convincente e che dia adito a ben poche obiezioni.
Partirò, quindi, dalla dichiarazione di Leo Longanesi, in qualche maniera considerato (informalmente) il predecessore di Cesare Zavattini (quest'ultimo, invece, il vero ed "ufficiale" teorizzatore del Neorealismo, nonché celebre sceneggiatore di numerose pellicole che appartengono a quel periodo storico): Bisogna scendere nelle strade, nelle caserme, nelle stazioni. Solo così potrà nascere il vero Cinema all'italiana.
Ma fu proprio tale spirito che ispirò Zavattini nel suo idealizzare i concetti di "pedinamento sociale" (la mdp che segue un uomo della strada, che lo accompagna nel suo vagabondare, nei suoi incontri, fino a farne scoprire l'indole e fino a creare la storia ). Continuava Zavattini, parlando del suo concetto di "racconto cinematografico": una scena di strada, durata appena un minuto, un urto fra due passanti, una lite, uno sparo. E tutto viene analizzato per un film di novanta minuti, con lo stesso spirito avangurdistico con cui Antoin Artaud pensò di ottenere un lungometraggio dal soggetto "36 secondi".
A ben pensarci film come Ladri di biciclette nascono proprio da qui, dalla forza della quotidianità, dalla banalità del piccolo gesto che si ripete, durante la giornata, chissà quante volte. Solo con l'aggiunta di un evento un po' meno scontato.
Ma perché questo rappresenterebbe l'antitesi del Cinema? Innanzi tutto è bene precisare che, per il momento, ci troviamo ancora di fronte ad argomentazioni abbastanza scarse (ma in quest'ambito dubito che sia sensato operare un'analisi più di tanto approfondita del Neorealismo , la quale richiederebbe un libro intero da scrivere, cosa che non interessa fare ma, soprattutto, compito che io non sono in grado di svolgere). Ma, cosa più importante, che simili concetti, più quelli che aggiungerò adesso, servono unicamente a dare un volto - ripeto: estremamente essenziale - al Neorealismo nelle sue componenti più letterarie, ideoloiche, quindi in ciò che veniva scritto nei suoi proclami, nei suoi manifesti. Insomma: per ora riflettiamo sul "che cosa", a breve arriveremo finalmente a parlare del "come" (il Cinema).
Mi pare che fosse Mario Verdone ad aver riportato in un suo libro, che lessi, le parole a loro volta scritte sulla pubblicazione edita da non so chi di qualche film (mi sembra Umberto D , ma non ci giurerei), che sintetizzavano, in due punti basilari, l'essenza narrativa, concettuale e morale del Cinema neorealista (provo a riformularli con parole mie):
1) Il Cinema precedente al Neorealismo faceva nascere, da un fatto, un altro fatto, poi un altro ancora e via così. Nel Cinema neorealista, invece, pensata una scena, non la si abbandona, ma si indugia su di essa. Quindi la "forza centrifuga" che che era la caratteristica fondamentale del Cinema di sempre, si è trasformata in "forza centripeta".
2) Mentre prima il Cinema aveva raccontato la vita nei suoi momenti più appariscenti ed esterni (vado a memoria, spero di riportare correttamente le parole), oggi il Neorealismo afferma che ognuno di questi fatti o momenti contiene in sé materia sufficiente per un film.
Un esempio: due persone che cercano casa, nel Cinema antecedente al Neorealismo , si traducono in un fatto "esterno", un'azione che compone un tutto e che solo propio in qualità di "azione" ha un suo significato nll'ambito del film. Con il Neorealismo , invece, si va verso un'analisi approfondita non solo dell'atto, ma anche del fatto o dei fatti che ad eso hanno condotto, fino a divenire pura sintesi di quel tutto che il Cinema precedente ricavava dall'abbandono dello stesso. Col Neorealismo , insomma, ci si concentra sul fatto, fino a rievocarne gli echi e le ripercussioni su tutte le altre vicende, che da qui scaturiscono.
Va bene. Ci sarebbe naturalmente molto di più da scrivere, ma accontentiamoci.
Partiamo da qui, per interogarci come mai qualcuno sostiene che in ciò ci sia assenza di Cinema. Conscio che la novità è semrpe un azzardo - ed il Neorealismo , proprio narrativamente, è una novità rispetto al Cinema di sempre, un qualcosa che nasceva senza precedenti e che moriva senza eredi - vediamo di capire come il Cinema italiano di questo periodo si sia esaltato, proprio per le sue qualità più tipiche della Settima arte.
Per guardare all'aspetto più prettamente cinematografico del Neorealismo , occorre fare riferimento alle parole di Rossellini. Di questo movimento, egli scrive:
Un bisogno, proprio dell'uomo moderno, di presentare le cose come sono, di rendersi conto della realtà, direi in una maniera spietatamente concreta, conforme all'interesse, tipicamente contemporaneo, per i risultati statici e scientifici. Una sincera necessità, anche, di vedere con umiltà gli uomini quali sono, senza ricorrere allo stratagemma di inventare lo straordinario. Una coscienza di ottenere lo straordinario con la ricerca. [........] V'è, tittavia, chi pensa al Neorealismo come a qualcosa di esteriore, come ad un'uscita all'aperto, come ad una contemplazione di stracci e di sofferenze. Per me non è che la forma artistica della verità. Quando la verità è ricostiituita, si raggiunge l'espressione. Se è una verità spacciata, se ne intende la falsità e l'espressione non è raggiunta.
Ecco, penso che sia su queste parole che alcune persone fanno leva, quando criticano negativamente il Neorealismo e lo tacciano di mancanza di spirito cinematografico. Ma, quando di vive il Cinema, io suggerisco sempre di farlo in profondità, evitando di rimanere troppo in superficie (che spesso è scivolosa) . Infatti Rossellini continua:
Oggetto del film neorealistico è il "mondo", non la storia, non il racconto. Esso non ha tesi precostituite, perché esse nascono da sé. Non ama il superfluo e lo spettacolare, anzili rifiuta. Ma va al sodo. Non si ferma alla superficie, ma cerca i più sottili fili dell'anima.
Oh, finalmente. Da questa seconda dichiarazione emerge il vero spirito cinematografico del Neorealismo , che ne implica il valore artistico, espressivo. La ricerca stessa della verità, il tentare di porre problemi e di ragionre su di essi....sono concetti artistici e che esulano dall'idea di bieco realismo.
Perché il gretto verismo del Neorealismo ...in realtà è tutto racchiuso qui. E' solo una forma diversa per rappresentare qualcosa, come dice Rossellini.
Anche nel filmare la statuaria presenza delle donne che vedono (a differenza dello spettatore, che è posto con le spalle al mare) l'arrivo o meno dei propri uonini, con lo svolazzare dei propri veli neri al vento impetuoso ed intransigente che le investe, pur senza suscitare in loro nessuna reazione di insofferenza, c'è essenza cinematografica, nonostante La terra trema sia tutto costellato di finestre aperte sulla realtà. Perché anche nella ricerca spasmodica della verità, c'è il Cinema.
Anche negli scorci filtrati attraverso le visioni dal varco del convento - lo specchio dell'anima pura di uomini che pregano per la pace - in Paisà c'è, pur nella mancanza di "ricostruzione" (e quindi del concetto di vera e propria "rappresentazione" che caratterizza da sempre il Cinema quale "spettacolo fondato sull'illusione"), un voluto e trovato contrasto fra il Mondo esterno e quello interiore, che vola ben oltre la linearità o l'oggettività verista che rifugga l'sternazione di sensazioni o sentimenti.
Così come c'è Cinema autentico nel rifiutare i totalitarismi verticali che per anni hanno afflitto l'Italia (riducendola ad un rudere a cielo aperto), attraverso le riprese quasi sempre orizzontali, mediate dalla visione del popolo, che si muovono proprio attraverso le macerie, le strade impolverate, affollate (Ladri di biciclette ) o deserte (Ossessione ).
Per non parlare delle metafore che dei veri genii come De Sica o Germi hanno saputo introdurre nel Cinema. Pochi giorni fa mi è capitato di discutere proprio di Ladri di biciclette , riguardo al fatto che avrebbe forti analogie con un altro film di De Sica, dal titolo I bambini ci guardano , ma anche con Il ferroviere di P. Germi: c'è un personaggio, una costante in certo cinema neorealista, che è un vero testimone degli eventi drammatici, che egli stesso vive, in qualche misura, solo chiudendosi in un mutismo che riversa i suoi pensieri nel fuori campo (il bambino de Il ferroviere ) o nei rari dialoghi, quando non nei pianti per l'esasperazione di una situazione a cui anche solo assistere provoca la lacerazione del cuore (Ladri di biciclette ). E tale personaggio è il bambino. Un testimone che, al pari dello spettatore (frastornato da un'Italia che esce dal Fascismo e dalle guerre), può comprendere le sofferenze dei protagonisti del film solamente fino ad un cero punto (cfr il post di Ladri di biciclette in proposito ).
Il bambino rimane sempre accantonato, e spesso la "visione" della mdp rimane condizionata dal suo silenzioso pensiero. Forse lo sguardo del ragazzino e quello dello spettatore (che, anni ed anni dopo, Tarkovskij riabiliterà a "testimone" di ciò che il film narra, separandolo dal semplice spettatore di un quadro o dal lettore di un libro, che si rapportano all'opera d'arte con un costante distacco) si fondono, dando alla luce un film.
Un film che può però essere compreso solo attraverso l'occhio innocente di chi vuole giungere alla verità, senza mai giudicare. E così il bambino forse non comprende, piange e si vergogna in conclusione del film, per il gesto estremo compiuto da suo padre. Ma non giudica. Reagisce emotivamente. In maniera del tutto antitetica al testimone che - nell'omonimo film di Germi - filtra la realtà con gli occhi dell'orgoglio. O, ancora, in maniera oposta rispetto alla folla dello stesso Ladri di biciclette , che giudica senza conoscere. O, infine, in maniera analoga al precedente film di De Sica, I bambini ci guardano (del 1943) o all'ottimo e già citato Il ferroviere di Pietro Germi.
C'è insomma la costante di visioni laterali, ma che in realtà sono primarie, quali quelle di personaggi piccoli nelle fattezze, ma grandi nello sguardo, formalmente incapaci di cogliere l'essenza delle cose, potenzialmente "testimoni" oculari ed indagatori, spesso dagli occhi commossi, di una realtà che lo sguardo omologato della folla non è in grado di captare. Il bambino del Neorealismo è lo spettatore del suo tempo.
E forse è per questo che oggi in molti non percepiscono il Cinema autentico che risiede qui.
Assenza di Cinema? No, grazie.
Già pubblicato sul mio blog .
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