denisuccia
 Reg.: 14 Apr 2002 Messaggi: 16972 Da: sanremo (IM)
| Inviato: 29-06-2004 23:13 |
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... anche detto "fight for freedom".
Generalmente non mi capita spesso di guardare film sulla guerra, questo perché, forse erroneamente, penso che sia troppo difficile riuscire a narrare/documentare una storia di guerra senza cadere nei soliti “errori” quali possono essere, ad esempio, la retorica e il buonismo.
Così, l’altra sera, mi sono ritrovata un po’ spiazzata dovendo vedere, a casa di amici, “Fight for freedom” anche chiamato “To end all wars”.
Un film di cui, tra l’altro, non solo non avevo mai sentito parlare ma, addirittura, di cui non conoscevo nemmeno il nome del regista.
L’ho scoperto dopo due giorni: David L. Cunningham.
Mai sentito prima.
Dunque…
La trama è relativamente semplice perché, più che gli avvenimenti storici, il film si impegna ad affrontare uno spaccato relativo di ciò che è stata la seconda guerra mondiale.
Siamo in Giappone e, alcuni soldati inglesi e americani, vengono presi in ostaggio nei campi, appunto, giapponesi andando contro tutto ciò che la convenzione di Ginevra o l’Aia avevano deciso.
Il film si concentra sulla vita di questi soldati che devono fare i conti con un lavoro pesante (la costruzione in tempi minimi della nuova linea ferroviaria) e con le torture psicologiche e fisiche alle quali vengono sottoposti giorno dopo giorno.
Io non so quanti di voi abbiano visto il film ma devo ammettere che alcune scene sono effettivamente spiazzanti. Si va da torture psicologiche quali possono essere maltrattamenti dovuti all’inferiorità razziale fino a vere e proprie torture fisiche.
Non mi metterò di certo a raccontare l’impressionabilità di alcune scene (quella della crocifissione è molto toccante) ma vorrei soffermarmi sul coraggio del regista che ha tentato di narrare diversamente un periodo storico decisamente abusato senza dare eccessive colpe o meriti ai due schieramenti, tentando (cadendo anche lui nel buonismo tipico del genere) di soffermarsi sulle personalità, sulle potenzialità di ognuno dei personaggi che è sì un soldato, ma può essere considerato uomo, amico, fratello o, in alcuni casi (quali la crocifissione, appunto) un simbolo.
Vengono contrapposte due fedi diverse e forti che si scontrano dall’inizio alla fine del film e si uniscono solo sotto un unico aspetto: la fede, appunto, verso ciò/chi in cui crediamo.
Giapponesi da una parte e Inglesi dall’altra.
Bashido e Cristiani.
Onore visto da occhi e mentalità diverse che si esprime attraverso una parola che ha un significato totalmente diverso per ognuno dei personaggi raccontati.
Inutile soffermarsi troppo sulla trama, un po’ violenta e un po’ filosofica che, purtroppo, come già ho accennato, tende a marcare troppo la mano su un buonismo e una forza interiore che a volte, nella realtà, vengono meno per motivi diversi.
Mi viene abbastanza naturale, invece, fare un vero e proprio elogio agli attori.
KieferSutherland tra i più conosciuti si unisce ad un gruppo che vale realmente la pena di essere visto. Attori in grado di donare caratteristiche e personalità a teste rasate e uniformi tutte uguali. Attori reali, convincenti e molto emozionanti che danno al film il tocco di realismo che, con scelte di cast diverse, sarebbe venuto a mancare e, anzi, sarebbe potuto cadere facilmente nell’inverosimile ridicolaggine.
Molto spesso, nei film sulla guerra, si tende a creare personaggi “eroi” o soldati forti e invincibili. La forza di questo film (che a mio parere sta proprio nel cast e nelle interpretazioni) è proprio la forza del gruppo, che non rende eroe un solo personaggio, ma rende uniti e veri tanti uomini comuni, ricchi di difetti ma in grado di imparare (chi più chi meno) dalla vita e dal caso.
La regia non è indimenticabile, piuttosto lineare se non fosse per scatti momentanei in cui vengono sovrapposte immagini ferme (fotografie in bianco e nero) a scene veloci (a colori).
Colonna sonora abbastanza mediocre e scialba, se non fosse per il continuo ripetersi della celeberrima Amazing Grace.
_________________ L'improvviso rossore sulle guance di Thérèse, identificato immediatamente come il segno dell'Amore, quando io avevo sperato in una innocente tubercolosi. |
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