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Autore dogville
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 18-11-2003 17:15  
Dogville segue la linea intrapresa da Lars Von Trier dopo il uso unico film Dogma,Idioti.
Un cinema quindi di pura finzione,completamente artefatto a partire dalla scenografia. Qui siamo addirittura agli estremi,laddove Dancer in the Dark si "limitava" ad una chiara ironia sbeffeggiando e scimmiottando i film di genere -in realtà andando ben oltre.

Mi vorrei soffermare però principalmente sulla storia del film,che presenta spunti interessanti,quindi da ora in avanti saranno tutti spoilers.

Lo schema tipico ormai di Von Trier è quello di prendere la sua malcapitata eroina di turno e farle accadere ogni possibile disgrazia. Questo risultava dal film con Bjork, dove si condannava una persona senza che questa avesse la minima possibilità di difendersi adeguatamente.
Lo stesso avviene in Dogville.
Questa volta il tema è l'accettazione del diverso,dello straniero in una comunità.

Una cittadina come tante,perbenista e conformista,che accetta l'intruso con sospetto,a costo di non rimetterci nulla.
Un manifesto appeso da qualche parte in quella città avverte che Grace è scomparsa e che la si cerca. Solo con il ricatto alla protagonista viene concesso di restare. La paura preoccupa i benpensanti . Grace si inventa quindi lavori del tutto inutili e superflui per la comunità; un secondo manifesto delle autorità indica la nostra eroina come ricercata. La comunità chiede un ulteriore sacrificio a Grace ,che si trova a lavorare il doppio a metà del salario.
Viene via via sfruttata fino alle conseguenze più estreme da una comunità di persone ciniche con il coltello dalla parte del manico ,e che per questo si sentono in diritto-persino i bambini- di trattarla come se fosse una schiava.
Finirà infatti,in una scena di sublime ironia,con la catena al collo.
Impossibile non notare l'aspra critica alla società moderna,alle sue paure ataviche riguardo a coloro che sono diversi ,che vengono da fuori e alterano lo status quo.
La minacciosa presenza in tutto il film della polizia mantiene sotto pressione la comunità che sfrutta la questione per un tornaconto personale.L'idealista della cittadina,il fidanzato di Grace, alla fine si rivelerà la persona più cinica. Come qualcuno ha già fatto notare,solo la porta del negozio è materialmente presente,simbolo del potere economico che detta regole diverse da quelle prettamente logiche.
Tutto il film è una metafora della società e la grandezza di Von Trier sta nel fatto di aver raggiunto una storia universalmente valida mettendo in scena un modellino di città e 4 abitanti in croce raggiungendo però una profondita psicologica notevole e un'analisi sociale valida.
Naturalmente sempre secondo il suo credo,che è quello di portare una situazione fino all'eccesso per farla esplodere ,in questo caso in una terribile vendetta.
_________________
E' una storia che è successa ieri, ma io so che è domani.

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ZoraDomina
ex "Dalila"

Reg.: 30 Lug 2002
Messaggi: 4182
Da: vico equense (NA)
Inviato: 18-11-2003 21:40  
sì ma resta il fatto ke Mallory non recensisce!
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NancyKid
ex "CarbonKid"

Reg.: 04 Feb 2003
Messaggi: 6860
Da: PR (PR)
Inviato: 18-11-2003 21:41  
quote:
In data 2003-11-18 21:40, ZoraDomina scrive:
sì ma resta il fatto ke Mallory non recensisce!




ma ki sene frega

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Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 18-11-2003 22:54  
questa è la recensione che ho fatto per film scoop



La minuscola cittadina di Dogville in realtà non esiste. Non perchè sia un nome di fantasia o chissà cosa. Non esiste proprio sullo schermo. Non c'è. Gli interpreti si muovono su un palco, sul cui suolo sono scritti i nomi delle case, delle strade, delle panchine e perfino dei cespugli di uvaspina. Ed è proprio questa afisicità dello spazio, questa estrema libertà dello sguardo a rendere il film claustrofobico. Dopo le provocazioni del "Dogma 95", in cui von Trier predicava l'assoluta "verginità" del regista, ovvero tutta una serie di condizioni per cui la macchina da presa doveva riprendere solo quello che c'era, così com'era, il cineasta danese fa un passo avanti, e tenta una nuova provocazione.

Dodville è un connubio di cinema, teatro e prosa letteraria. La macchina da presa gira una storia introdotta, commentata e vissuta da una voce narrante, che la suddivide in nove capitoli più un prologo. E la scena, come già accennato, si svolge interamente su un palcoscenico, dove le case sono rappresentate da una scritta di gesso e uno scrittoio, la chiesa da quattro panche e un organo, la miniera da un'architrave di legno.
La parte cinematografica si inserisce discretamente nella riproduzione dei rumori naturali (i passi sulla strada, le porte che si aprono e chiudono) e in un uso sapiente, e mai abbandonato dal regista, della telecamera a spalla.

Nella piccola comunità di Dogville si inserirà Grace, una stranita Kidman, che porterà scompiglio nella routine quotidiana.
Accettata fino a quando rimane in debito, la ragazza finirà per essere rifiutata quando avrà raggiunto la possibilità di un relazionarsi alla pari, quando avrà completato quella che nel film è la raccolta delle sette statuine di porcellana.

Le contraddizioni di una America che marcisce allegramente, sono portate alle estreme, paradossali conseguenze dell'ultimo quarto di film.
Lo spaccato non è però quello dell' America, ma quello della cinematografia americana. Von Trier, non si è mai recato negli States, e per questo descrive, in modo un pò farraginoso e cervellotico, ciò che dalla pellicola traspare di quel mondo.
Paradossalmente il film, nella sua tensione teatral-documentaristica, funge da monuumentale introduzione alla sigla finale, dove nelle immagini alternate di suoi vecchi film e vecchie foto dell'America degli anni '20, von Trier ci mostra il solo vero lato possibile che mostra un cinema non corrotto: la vita quotidiana.

Dictus ac factus...


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"Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate"

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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 19-11-2003 12:23  
SpoilersIl conclusivo dialogo tra Grace e il padre rivela un estremo travaglio interiore del principale personaggio femminile e induce a riflettere su alcune implicazioni non molto indagate per quanto posso sapere.

"Il perdono? E' un'arroganza": con questo ammonimento alla figlia il vecchio gangster mette in luce una verità difficile da ammettere.

La bontà, l'altruismo, l'abnegazione più lodevoli potrebbero essere in realtà falsa coscienza, compiaciute autorappresentazioni che travestono sottesi bisogni innati del nostro ego, se non altre remunerazioni.

Dissimulate manifestazioni egoistiche alle cui profonde e inconsce radici un'analisi delle motivazioni potrebbe far scoprire un narcisismo forsennato e l'inconfessata e intollerabile supponenza di chi ha la certezza di detenere un'etica incontrovertibile o la verità assoluta per sentirsi, che non vuol dire per forza essere, migliore ed esemplare; da cui anche
implicitamente giudicante.

Già Hume nota che l'egoismo e le benevolenti azioni verso gli altri si equivalgono in quanto la loro comune origine è l'amor proprio.

La vita di Dogville , piccola città provinciale, non solo è ovvia e meschina, ma gli abitanti personificano il male stesso adornando con una facciata perbenista la più spregevole malvagità.

La condotta individuale sembra conforme ai valori riconosciuti del gruppo e il loro buon apparire assicura la solidarietà e la sopravvivenza della comunità, ma "quando l'uomo è sottoposto a norme collettive tanto maggiore è la sua immoralità individuale" (Jung).


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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 19-11-2003 12:23  
spoilersI benpensanti si dichiarano pronti ad accogliere e sostenere la fuggitiva, ma stanno così sublimando tramite un altruismo inculcato la repressione delle pulsioni sessuali e aggressive, conflittualità infine risolta con il poter liberamente manifestare i loro istinti peggiori slatentizzati da un evento imprevedibile.

Grace diventa il capro espiatorio delle loro colpe attirando su di sè la violenza dei cittadini e la sua espulsione può restituire loro l'innocenza.

Infine Grace raffigura il problematico rapporto tra processi mentali e comportamento. E' incerta sulla giustificazione del suo agire sottomesso: e se in effetti la colpa non esistesse?
Forse nessuno può essere diverso da ciò che è o che diventerà.
Riferendoci a un determinismo assoluto, la causalità renderebbe tutti incolpevoli, oltrepassando lo stesso relativismo e soggettivismo morale per cui il bene assoluto non esiste; bene è ciò che a noi piace, male ciò che ci dispiace.
Ma bene e male sono pronti a trasformarsi l'uno nell'altro; la realtà è ambigua e il bene stesso può generare il male; talora le buone intenzioni sortiscono pessimi effetti, come far emergere il lato più perfido del prossimo verso cui non sempre è facile provare pietà.

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DrCuccu

Reg.: 27 Ott 2002
Messaggi: 29
Da: Porto San Giorgio (AP)
Inviato: 19-11-2003 17:20  

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"Noi non la creiamo la nostra natura: Ci Viene consegnata con il cuore, il pancreas e tutto il resto...."

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Dubliner


Reg.: 10 Ott 2002
Messaggi: 4489
Da: sanremo (IM)
Inviato: 24-11-2003 09:58  
Avete già detto tutto quindi continuo con le riflessioni cominciate da Quilty. Carne al fuoco ce n'è molta e tante cose che pensavo le avete già dette voi (mi riferisco a Quilty e Shaka78 che sono gli unici che hanno affrontato approfonditamente il messaggio e la metafora dietro la cittadina di Dogville).
I cittadini di Dogville sono tutti convinti di essere brave persone, che sanno accettare e aiutare il prossimo ma che invece hanno fatto del quieto vivere e delle false apparenze un modo per convivere senza problemi. Tutti sanno tutto degli altri abitanti ma fanno finta di essere discreti e di non sapere quando si trovano davanti all'interessato. Tutti sanno che il camionista va al bordello ma fanno finta di non essere al corrente, tutti sanno dellla ciecità dell'anziano signore ma gli fanno credere di non accorgersene. Tutto è falso, tutto è apparenza a Dogville, una facciata per compiacersi e compiacere gli altri.
Il nuovo, il diverso è visto con occhi sospettosi in quanto probabile strumento che altera l'armonia della piccola cominità, un elemento che possa far crollare le falsità che gli abitanti hanno imparato ad accettare e che si sono costruiti. Ed ecco che il diverso viene accettato solo per autocompiacersi della bontà dei cittadini, e nonostante nessuno abbia lavori da far fare a Grace, piano piano tutti le trovano qualcosa da fare, anche inutile e giocano sul fatto che sia stata lei a chiederglielo e che in realtà sono loro che fanno un favore a lei per sfruttarla sempre di più, fino a trattarla come una bestia. E le cose che per anni non hanno mai fatto e non sono mai servite diventano indispensabili e tutti si sentono in diritto di avere qualcosa in cambio da Grace. E' palese il riferimento al fatto che nessuno fa niente per niente, che il vero altruismo non esiste e che tutti nessuno escluso agiscono per il proprio tornaconto. E grace viene umiliata in ogni modo, e le cose che prima venivano fatte di nascosto (come le violenze sessuali) diventano routine e vengono fatte alla luce del giorno senza che nessuno si dispiaccia. Anche questo mi sembra un esplicito riferimento alle brutalità che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi e alle quali abbiamo fatto l'abituidne, nemmeno le vediamo più e ci sembrano normali, cose da tutti i giorni.
Non è un sermone come qualcuno ha detto ma a mio giudizio una pura e semplice presa di coscienza, l'uomo non può essere perfetto, e anzi più crede di esserlo e cerca di mostrarlo, più è vero il contrario. Tutti vengono meno ai propri ideali e chi si mostra debole, come Grace, viene sfruttato. Mostrandosi forti e irreprensibili gli abitanti di Dogville credono di essere migliori, ma è Grace l'unica che cerca, come in un esperimento scientifico, di mettere alla prova Dogville e vedere se almeno uno degli abitanti riesce a tener fede agli ideali che ostenta. E nemmeno Grace ci riesce ed è sconfitta secondo me, perchè la sua teoria cede e lei si vendica, e nemmeno lei riesce a tener fede ai suoi ideali e fa uccidere tutti. E' lei che è davvero arrogante?
secondo me questo film è anche una presa di coscienza della natura umana, freddo e senza giudizi, solo lucido e spiazzante nella sua sincerità.
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Io sono grande. E' il cinema che è diventato piccolo.
I miei dvd

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Shaka1978

Reg.: 11 Dic 2002
Messaggi: 379
Da: PsE (AP)
Inviato: 24-11-2003 16:09  
quote:
In data 2003-11-24 09:58, Dubliner scrive:
secondo me questo film è anche una presa di coscienza della natura umana, freddo e senza giudizi, solo lucido e spiazzante nella sua sincerità.




commento solo questa tua osservazione per mancanza di tempo. Sono d'accordo con molto di quello che hai detto. Aggiungo che la riflessione prende a tema la natura umana, si, ma per negarla: è come dire, in termini esistenzialistici, che "se Dio non c'è, tutto è permesso", come direbbe più o meno Dostoevskij.
Voglio dire: di fronte a una coscienza divina (come quella che Grace pretende di attuare) l'uomo HA UNA NATURA, e proprio in quanto tale i suoi atti sono perfettamente comprensibili (e perdonabili!), nient'altro che la concretizzazione inessenziale di una legge sovrastante.
Che succede poi? Che caduta Grace dal livello del Dio (ossia dal livello della solitudine) a quello dell'uomo, scopre che faccia a faccia parlar di natura è impossibile: l'uomo NON HA natura, ma FA la sua natura, essendo di qui responsabile dei suoi atti e meritando per le proprie colpe una condanna direttamente proporzionale alla propria colpa. In assenza di Dio, è questo l'unico punto di vista possibile dell'uomo sull'uomo.

In questa mia riflessione mi sono parecchio ispirato ai miei studi di filosofia, quindi se scorgete qualche influenza di Sartre, io non la nego. E' che qui il discorso mi sembra proprio calzare alla grande, si tratta solamente di fare una ermeneutica con gli attrezzi che uno si ritrova ^^
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"Se tu dovessi incontrare Dio, lo trapasserai"(KillBill) "It's water, that's all"(Dancer in the dark) "La rivoluzione non passa per il buco del culo"(Fragola&Cioccolato) "Come si fa ad essere maschilisti con2tette di quella portata?"(Tutto su mia madre)

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Dubliner


Reg.: 10 Ott 2002
Messaggi: 4489
Da: sanremo (IM)
Inviato: 24-11-2003 16:37  
E' interessante quello che dici Shaka, io purtoppo filosofia l'ho studiata poco e non ho gli strumenti per inoltrarmi in un discorso simile...

Mallory, tu che sei l'esperta di Von Trier, che dici??? siamo orfani del tuo commento qui!
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Andrew

Reg.: 01 Dic 2002
Messaggi: 17
Da: Lecce (LE)
Inviato: 28-11-2003 15:59  
Tecnicamente, una sorprendente e spiazzante utopia; artisticamente, una gioiosa apoteosi del virtuosismo più genuino; contenutisticamente, un vibrante atto d’accusa, fin troppo audace per ottenere il beneplacito della benpensante critica americana e della commissione degli Academy (scommetto che non riceverà nemmeno l’ombra di una candidatura). E poi, c’è tutto il discorso che procede ben oltre le immagini, ben oltre i dialoghi e lo svolgimento della vicenda. Ma andiamo per ordine. Se qualcuno, sino ad oggi, ci avesse parlato di trasferire letteralmente il palcoscenico con tutti gli attori all’interno dello schermo cinematografico, avremmo sicuramente fatto a gara per rinchiuderlo. E non perché il cinema non sia all’altezza del teatro. Anch’esso è in grado – ahinoi sempre meno negli ultimi tempi – di concederci la sua magia, ma si tratta di due <<magie>> completamente diverse. Manca di certo quell’immediatezza che crea un rapporto straordinario e perturbante con gli attori, la stessa che fa sì che la battuta-clou desti emozioni, sensazioni che si racchiudono in quell’istante così sfuggente eppure così carico di una sua valenza intrinseca eterna che ne consente la rievocazione, o che al contrario può lasciare impassibile lo spettatore; ed allora, non si potrà tornare indietro per sublimare le proprie intenzioni, non ci sarà una seconda visione. Come si fa a lasciare che una realtà così evanescente possa compenetrare appieno in un’altra così nitida e prossima alla nostra dimensione? Ebbene, Von Trier ci è riuscito, in uno spazio davvero “da palcoscenico” con uno sfondo uniforme nelle due sole varianti del bianco per il giorno e del nero per la notte, con parte degli oggetti immaginari e parte dipinti col gesso, con una capacità stupefacente di dar forma a personaggi così sfumati e ad atmosfere surreali eppure pervase da quella stessa immediatezza che ce le fa respirare in tutta la loro corposità. Tra corpi fluttuanti in uno spazio che in realtà sembra immenso si muove l’eterea immagine di Grace, strumento di quell’accusa di cui si diceva prima, portavoce di un afflato polemico contro l’ipocrisia umana in generale, e quella americana in particolare. E poi, una sensazione inquietante e ancor più perturbante di quella che ci faceva avvertire gli attori così vicini a noi: quella di compiacersi davanti ad un finale apparentemente catartico. Ed ecco che non possiamo essere così ipocriti ed arroganti da non lasciare che esseri così immondi, che macchiano indelebilmente la società “civile”, ricevano la libertà di scontare le proprie colpe. E quando questa libertà viene loro concessa, giungiamo a goderne, in un impeto liberatorio di bestialità ferina. Lo spettatore, per un momento, si ritrova in questa dimensione; poi si ferma, e pensa…Ma non è assurdo gioire della distruzione dell’altro essere? Lo è. E allora, perché quel finale ci dona tale e tanta soddisfazione? Perché siamo come loro, in un modo o nell’altro. Qual è l’ipocrisia più grande? Quella di una Grace che ha bisogno del chiaro di luna per comprendere la falsità di un perdono gratuito anche dinanzi alla crudeltà più insensata, o forse quella di una cittadina che la condanna all’annientamento della sua stessa persona solo per un nome su di un manifesto che turba la quiete di un 4 luglio, tutti riuniti di fronte ad una tavola imbandita? Quale arroganza è più grande? Quella di chi non vuol lasciare agli altri la libertà di assumersi le proprie colpe e pagare i debiti a quattr’occhi con la propria coscienza, o quella di chi si assurge al ruolo di giudice e punitore supremo? Che siamo da una parte o dall’altra, ci caschiamo anche noi. E la reazione che Von Trier suscita in noi nel finale ne è l’esplicita dimostrazione. Siamo tutti lì. Siamo tutti a Dogville. Impeccabile la regia – così come lo era stata per “Dancer in the Dark” – la Kidman è ormai una garanzia ma mai così brava, e il teatro che ci ritroviamo davanti sbalorditivamente reale. L’urgenza narrativa si fa sentire sempre più man mano che ci si avvicina alla fine – non senza qualche venatura ironica (citerò soltanto la schermata dove si annuncia l’inizio del nono ed ultimo capitolo, in cui la tanto attesa visita arriva e “finisce il film”). Una parabola poetica ed immensa che sfiora la perfezione. Da non perdere
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Marco82

Reg.: 02 Nov 2003
Messaggi: 924
Da: Lodi (LO)
Inviato: 02-12-2003 22:44  
scusate se riprendo questo topic ormai un po' indietro nel forum...ma io l'ho visto solo oggi
e......cavolo che bel film!! Un film di denuncia così non lo avevo mai visto...e poi troppo originale il modo in cui è stata pensata Dogville...la Kidman bravissima e il finale sicuramente da rivedere (una volta sola credo non basti per capire tutto ciò che il padre le dice).
Bello bello bello! E domani come torno dal lavoro mi leggo le ultime 2 pagine di questo post per sapere cosa ne pensate anche voi

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Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 03-12-2003 18:27  
Dogville e' un buon film, gioca molto sulla scenografia del tutto "particolare" e sull'ormai consueta ottima interpretazione della grande Kidman, anche se nel secondo tempo, a mio parere cade nel troppo dramma della vicenda che viene gran lunga estremizzata e quasi resa atetica dall'improbabile finale
_________________
La ragione è la sola cosa che ci fa uomini e ci distingue dalle bestie

René Descartes

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Ilariuccia

Reg.: 18 Ott 2003
Messaggi: 92
Da: Garbagnate (PT)
Inviato: 04-04-2004 01:33  
quote:
In data 2003-11-16 09:51, arancino scrive:
Dogville , la città del cane , di un cane finto , inesistente , che si limita ad abbaiare a chi arriva , impaurito dall’estraneo.Che sta li , fermo , disegnato in una cuccia disegnata per terra , senza speranza.
Cos’è questo cane , cos’è se non una magistrale rappresentazione di un sentimento che accomuna tutti gli abitanti di una piccola cittadina , la paura.
Ecco cos’è Dogville , una fattoria , una fattoria dove c’è il maiale , la mucca , la gallina , ci sono tutti , e quando vedono l’agnello , quell’essere che incarna la perfezione , la bontà assoluta , il perdono incondizionato , si impauriscono , hanno paura delle sue qualità e che fanno , lo distruggono , lo insultano , lo deridono e compiono anche la più difficile delle imprese :Lo cambiano.
Si , l’agnello cambia , diventa cattivo e per il fato , per il destino , per quella cosa che chiamiamo giustizia divina , l’agnello non si limita a togliere i peccati , lui i peccati li commette.
E si signori cari , basta con questa pietà autolesionista , basta a perdonare e a volgere l’altra guancia , non è il diluvio universale , i peccati non vengono estirpati alla radice , viene tolto proprio il terreno, uccidiamo tutti i pulcini dinanzi agli occhi della gallina , pecchiamo pure perché tanto il mondo non si cambia.


_________________
Se qualcosa puo andar male, lo farà.
Arthur Bloch (La legge di Murphy)

[ Questo messaggio è stato modificato da: arancino il 24-11-2003 alle 16:11 ]



Ottimo commento !

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pilade


Reg.: 07 Mar 2004
Messaggi: 192
Da: Rubiana (TO)
Inviato: 06-04-2004 18:10  
Le parole non bastano per descrivere questo film.... Gli interpreti sono eccellenti -tutti, senza distinzione - (straordinaria la figura del cieco, impersonata dal grande Ben Gazzara..).Dogville è un'efficace denuncia di un certo stile di vita americano, e non solo: dietro la vellutata patina di buonismo di alcune comunità locali (povere, sì, ma rette su dei sani principi morali) si celano le pulsioni più feroci e distruttive. A farne le spese, in questo caso, è la povera Grace (una magistrale Kidman) che, credendo di poter fuggire alle insidie del male, si ritrova in vece in balia del lato oscuro di persone apparentemente ospitali e sorrette da retti costumi. Il finale, caratterizzato da un pessimismo soffocante sulla natura umana e dall'andamento tipico di un dramma elisabettiano, è semplicemente sconvolgente e da solo basterebbe a spiegare la grandezza del film in questione e del suo regista. Per chi è alla disperata ricerca di titoli di qualità nel panorama cinematografico attuale, è un delitto non vederlo!
_________________
"Noi, i viventi, io lo vedo, non siamo che fantasmi e vane ombre"

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